V per VicepresidenzaLa maggioranza di von der Leyen si è incartata su Raffaele Fitto

L’audizione del commissario designato italiano è andata bene, ma la sua approvazione è stata sospesa dai coordinatori della commissione competente, provocando la sospensione dell’intera procedura per tutti e sei i vicepresidenti esecutivi proposti all’Europarlamento da Ursula von der Leyen. Che ora dovrà disinnescare la crisi politica se vuole che il suo secondo Collegio entri in funzione entro il prossimo dicembre

AP/Lapresse

Doveva chiudersi ieri (12 novembre) la partita dei commissari designati, cioè i membri del nuovo esecutivo comunitario indicati dai governi dei Paesi membri, con le audizioni parlamentari dei sei vicepresidenti esecutivi del secondo Collegio von der Leyen. Invece, nel super Tuesday all’Eurocamera di Bruxelles, la partita è appena cominciata. I gruppi politici che compongono la maggioranza europeista – Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e liberali (Renew) – si sono fatti lo sgambetto a vicenda e, con una serie di veti incrociati, hanno bloccato l’iter di formazione dell’esecutivo comunitario. Ora la palla è di nuovo in tribuna e serviranno nuovi negoziati per uscire dalla palude, nella quale sembrano sprofondati soprattutto il meloniano Raffaele Fitto e la socialista spagnola Teresa Ribera.

Si respirava un’aria tesa, martedì sera, tra i corridoi del Parlamento europeo. Quello che doveva essere un passaggio formale per approvare i sei vicepresidenti esecutivi della nuova Commissione – il cerchio magico di collaboratori più stretti di Ursula von der Leyen che include i liberali Kaja Kallas e Stéphane Séjourné, la popolare Henna Virkkunen e la socialista Roxana Mînzatu (oltre appunto a Fitto e Ribera) – si è trasformato in un pantano a causa del fuoco amico tra forze politiche che, almeno sulla carta, figurano come alleate.

Da un lato i Popolari, che hanno stravinto le europee dello scorso giugno e possono contare sul gruppo più folto in Aula nonché su quattordici commissari designati su ventisei. Dall’altra i tradizionali partner socialdemocratici e liberali, attestati sulla difensiva in un continente dove la destra radicale sta raccogliendo consensi in maniera trasversale. Nel mezzo, il terzo incomodo: i Conservatori e riformisti (Ecr), il partito della destra radicale europea egemonizzata da FdI e dal Pis polacco e che nell’emiciclo di Strasburgo è la quarta forza per numero di seggi.

E proprio sul candidato italiano, fedelissimo della premier Giorgia Meloni, si è spaccata la cosiddetta maggioranza Ursula 2.0, quella che lo scorso luglio aveva permesso la rielezione di von der Leyen alla guida dell’esecutivo comunitario: Ppe, S&D e Renew più i Verdi, che avevano puntellato dall’esterno la traballante coalizione europeista.

Il problema, denunciano i progressisti, è stata la cooptazione dell’Ecr nell’area di maggioranza. Un movimento non ancora completato ufficialmente, ma ampiamente evidente già nei mesi precedenti il voto europeo con il flirt tra la presidente della Commissione e la leader italiana – soprattutto sul tema cruciale della gestione dei flussi migratori, dove la linea Meloni ha fatto scuola.

La giravolta acrobatica dei Fratelli d’Italia, in effetti, è avvenuta dopo che l’Europarlamento ha dato il via libera al bis di von der Leyen: precisamente quando la stessa popolare tedesca ha offerto all’azionista di maggioranza del governo di Roma la tanto agognata vicepresidenza esecutiva del prossimo esecutivo comunitario, nonostante l’astensione della premier al Consiglio europeo di giugno e il «no» convinto degli eurodeputati meloniani. Mentre ora, assicura il capopattuglia a Strasburgo Carlo Fidanza, FdI voterà il sostegno al nuovo Collegio nella sua interezza quando arriverà il momento, cioè nella plenaria di fine novembre o, se ci fossero complicazioni, in quella di dicembre.

Ma il gioco di sponda tra cristiano-democratici e Conservatori non è piaciuto a tutti. Così, dopo aver segnalato in svariate occasioni ai partner del Ppe (e alla stessa von der Leyen) che l’assegnazione di un incarico apicale a Fitto rappresentava una linea rossa da non valicare, i coordinatori di S&D e Renew hanno deciso ieri di far saltare il banco durante le votazioni nelle commissioni parlamentari competenti. Tutto fermo, quindi: nonostante l’audizione di Fitto in commissione Sviluppo regionale (Regi) sia passata sostanzialmente liscia, l’approvazione finale è stata posticipata a data da destinarsi. Qualcuno parla di oggi, altri di domani, ma non è da escludere nemmeno che si possa slittare alla prossima settimana: quest’ultima opzione, secondo il capodelegazione del Carroccio all’Europarlamento, Paolo Borchia, sarebbe «una mazzata alla credibilità» dell’istituzione e dell’intero processo delle audizioni dei commissari designati.

Sul candidato di Meloni si è spaccata non solo la maggioranza ma lo stesso centro-sinistra europeo: per i Verdi (G/Efa) e la Sinistra (The Left), Fitto non è adatto a essere commissario per la sua vicinanza all’estrema destra, mentre i Socialisti si sono concentrati più che altro sul titolo di vicepresidente. Dal Partito democratico lo ha detto chiaro e tondo Dario Nardella: l’audizione dell’attuale ministro agli Affari europei è stata «tendenzialmente positiva», ha spiegato ai giornalisti dopo che diversi altri suoi colleghi avevano lodato la presentazione di Fitto (Raffaele Topo, ad esempio, ha dichiarato che avere il salentino a gestire i fondi di coesione sarebbe «un elemento di ricchezza» per il Mezzogiorno), ma il punto di caduta è proprio la carica apicale offertagli da von der Leyen. La quale dovrà ora «risolvere» la «questione» sollevata dai socialdemocratici.

Un «problema politico» insormontabile anche per l’eurodeputato dem Brando Benifei, secondo cui questa «è la posizione della netta maggioranza del gruppo parlamentare dei Socialisti e democratici, senza il quale la Commissione europea non ha i voti per essere approvata». La minaccia, per nulla velata, è quella di far saltare l’approvazione dell’intero Collegio se il capo dell’esecutivo comunitario non farà marcia indietro sulla vicepresidenza esecutiva a Fitto.

La logica del pacchetto, per cui le sei vicepresidenze esecutive dovrebbero essere approvate in blocco (insieme, forse, al commissario designato ungherese Olivér Várhelyi, «rimandato» la scorsa settimana a causa del mancato accordo tra i coordinatori delle commissioni Ambiente ed Agricoltura), rende estremamente complessi i negoziati tra i gruppi politici: se salta la testa di uno, rischiano di cadere tutti. Come nel più classico degli stalli alla messicana, dunque, il via libera a Fitto si è intrecciato con l’approvazione di Ribera – che i popolari spagnoli vorrebbero bocciare per le responsabilità che le imputano nella malagestione delle alluvioni nella regione di Valencia – e degli altri quattro vicepresidenti.

L’aritmetica in questo caso non è tutto, perché i numeri in Aula hanno anche una precisa valenza politica. Per approvare i commissari designati occorre la maggioranza dei due terzi tra i coordinatori dei gruppi politici nelle commissioni parlamentari competenti: se per due volte questa soglia non viene raggiunta, la palla passa alle commissioni nel loro intero, che decidono a maggioranza semplice dei propri membri. Ma se la somma algebrica degli eurodeputati favorevoli a Fitto consentirebbe a quest’ultimo di passare agevolmente lo sbarramento, per il Ppe sarebbe improponibile portare a casa quel voto grazie all’estrema destra e contro ai propri partner europeisti. Del resto, andare alla conta non conviene nemmeno ai Socialisti, che rischiano di finire sotto con Ribera.

Serve dunque un’operazione più sofisticata per trovare il compromesso politico in grado di sbloccare tutto il quadro senza che nessuno ci rimetta troppo. Nel pomeriggio di ieri, mentre procedevano le audizioni, von der Leyen si è recata in persona al Parlamento per gettare acqua sul fuoco. Ha avuto due brevi colloqui, separati, con la capogruppo socialista Iratxe García Pérez e con la leader liberale Valérie Hayer, mentre non ha incontrato il capo-padrone del Ppe Manfred Weber. L’unica cosa certa, per ora, è che questa vicenda non finisce qui.

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