Giunto alla sua ventiduesima edizione, il C2C Festival (31 ottobre-3 novembre) si è sviluppato intorno al tema “Living with the Gods”, ispirandosi all’omonimo saggio dello storico d’arte britannico Neil MacGregor. «In un mondo in cui la prossimità sembra rappresentare un pericolo e l’alterità diventa una minaccia, i suoni sperimentali e le forme d’arte performativa ricordano che credenze e pratiche condivise sono da sempre parte della società», spiegano in una nota gli organizzatori dell’ex Club To Club, che è molto più di un festival di musica elettronica, ma un punto di riferimento della scena avant-pop internazionale.
«In questa visione – prosegue il comunicato – la dimensione sociale della festa nelle sue molteplici forme di manifestazione è uno straordinario collante in grado di sopravvivere ai tempi e alle diverse culture. Davanti alla ritualità di tali celebrazioni è possibile connettere tra loro gli esseri umani attraverso frequenze sonore».
Tra i debutti di quest’anno, sul main stage sabato 2 novembre ha esordito anche il gruppo mancuniano Mandy, Indiana, un quartetto post-punk emerso dal sottobosco di Manchester e composto dal chitarrista e produttore Scott Fair, dalla voce e dalla scrittura di Valentine Caulfield, dal batterista Alex Macdougall, e dai sintetizzatori di Simon Catling. Il nome della band è un riferimento alla città statunitense Gary, nell’Indiana, centro urbano storicamente dominato da grandi attività industriali e sede di una delle acciaierie più grandi del Nord America.
La band si forma nel 2018 tra Manchester e Berlino, e comincia a registrare i primi brani l’anno successivo. Le tracce confluiscono poi in un EP, pubblicato nel 2022. Nel 2023 i Mandy, Indiana debuttano con il loro primo album “I’ve seen a Way”: undici tracce che spaziano dal noise rock al rock sperimentale, e dall’elettronica alla techno.
«Suoni sperimentali di un mondo sconosciuto», li descrive così Valentine, che abbiamo raggiunto telefonicamente. Con suoni e rumori registrati nei luoghi più disparati, tra cave, cripte, e urla in un centro commerciale, l’intero album esplora il sentimento di disillusione politica nei confronti della società contemporanea. Attraverso suoni disturbanti, l’album interroga il pubblico su temi etici che riguardano la società odierna, e denunciano con rabbia la direzione che ha preso oggi il mondo, e le evoluzioni sociopolitiche degli ultimi anni. Un prodotto musicale che tratta temi politici, ma lo fa con un approccio disilluso nei confronti di un cambiamento possibile.
«Dans cette saloperie d’société, j’ai plus envie d’me réveiller / Quand on laisse des humains / Crever dans la mer Méditerranée, dans des immeubles pas chauffés / Dans nos pays de gros tarés (In questa società di merda, non voglio più svegliarmi / Quando lasciamo gli umani morire nel mar Mediterraneo, in edifici non riscaldati / Nei nostri paesi di grandi pazzi)», recita il testo del brano “Pinking Shears”.
«Penso che sia un progetto che guarda molto al mondo, e lo fa soprattutto attraverso i testi. Gran parte di quello che scrivo riguarda quanto io sia stanca del mondo», racconta la cantante. L’obiettivo dell’intero progetto, infatti, non sembra quello di cercare di mobilitare le persone, ma di esprimere la frustrazione di intere generazioni, che è aumentata nel corso degli anni. «Mi sento solo arrabbiata. La musica non fa alcuna differenza: Trump è appena stato rieletto, ci sono intere popolazioni che hanno votato contro i loro interessi. Non credo che nulla possa giocare più un ruolo, oggi», chiude cinicamente Valentine. «Negli ultimi anni ho pensato ci potesse essere un po’ di speranza. Penso che d’ora in poi la nostra produzione sarà ancora di più caratterizzata dal bisogno di sfogare la rabbia».
«Spesso usiamo strumenti in modi che li facciano sembrare qualcos’altro – continua Valentine –. Nel primo EP che abbiamo pubblicato c’era una chitarra che ricordava la voce di una corista. Per i Mandy, Indiana ogni scelta non è casuale, come anche la decisione di cantare in lingua francese, che conferisce a ogni brano un carattere pungente, e provoca nell’ascoltatore un curioso straniamento «Per me (cantare in francese, ndr) è stato sfidante: sono nata e cresciuta a Parigi, ma l’inglese è la lingua in cui mi esprimo normalmente – racconta Valentine –. Uso il ritmo e le consonanti in modo che le persone capiscano, soprattutto per chi non conosce il francese. Penso che questa sia solo uno dei modi di usare la lingua, e che possa fare la differenza nel veicolare un messaggio».
Il progetto musicale dei Mandy, Indiana è caratterizzato anche da un’attenta ricerca sonora: alcuni suoni contenuti all’interno dei brani sono stati infatti registrati in diversi spazi, molti dei quali anche inusuali. «C’erano questi spazi liminali e la musica suonava bene in questi grandi spazi vuoti. C’è un centro commerciale a Bristol che in un punto preciso ha un’ottima acustica. Un giorno stavamo suonando in quella città e dopo la chiusura siamo andati lì e abbiamo registrato un urlo – continua Valentine –. Quando ne abbiamo discusso ci siamo detti “ok, registreremo le batterie nelle grotte”, ma è qualcosa che non credo avremo bisogno di fare con il prossimo album».