La guerra d’invasione della Russia sul territorio ucraino va avanti da quasi mille giorni. Più passa il tempo, più l’esperienza, il vissuto e le conoscenze acquisite dagli ucraini nella loro resistenza diventano un fattore in questa guerra logorante. E diventano una risorsa preziosa anche per l’Unione europea, per la Nato, per tutto l’Occidente. «Anche per questo motivo l’integrazione di Kyjiv nelle istituzioni internazionali e sovranazionali deve essere considerata una priorità strategica, quasi esistenziale, per il mondo democratico». Lo ha detto la vice primo ministro ucraina Olha Stefanishyna in un’intervista con la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali Nathalie Tocci, seguita in diretta streaming dalla stampa italiana.
Stefanishyna è anche la figura dell’esecutivo ucraino che cura il processo di integrazione europea e atlantica. «A differenza dell’Europa o degli Stati Uniti, noi non stiamo assistendo alla guerra, ci siamo dentro. Quindi noi meglio di tutti possiamo dire quali sono le priorità al momento e nel prossimo futuro», ha detto Stefanishyna, spiegando in questo modo anche la distanza tra Kyjiv e i suoi alleati quando si tratta di aiuti militari, sostegno politico, pacchetti economici. «L’ambizione ultima dell’Ucraina è la Nato perché entrare a far parte dell’Alleanza significherebbe mandare un segnale di unità forte a [Vladimir] Putin, che ormai abbiamo capito che è intenzionato a sfruttare ogni nostra esitazione, ogni debolezza: per quanto noi possiamo dire che non vogliamo in alcun modo un’escalation del conflitto, sappiamo bene che la Russia non si ferma davanti a niente. E abbiamo la prova sulla nostra pelle, e quella dei nostri cari, che è così».
Da una decina di giorni, dopo le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, gli osservatori di politica internazionale dicono che la vittoria di Donald Trump sarà un problema enorme per l’Ucraina. Non è difficile immaginare perché: Trump minaccia da tempo di ridurre l’impegno economico e militare nei confronti dell’Europa, si professa amico di Putin, dice di avere un piano per porre fine alla guerra in ventiquattro ore ma non dice a quali condizioni. Per Stefanishyna però è ancora presto per il pessimismo. Se fosse una partita di poker, quanto meno andrebbe a vedere cosa propone il piatto. «Zelensky sa che in questo momento, per quanto sia presidente di un Paese in guerra, non può andare a Washignton e convincere nessuno, ma di certo possiamo lavorare per migliorare la nostra posizione e prepararci a ogni scenario». E poi, ancora: «È importante che Trump sia almeno convinto di poter raggiungere il risultato che ha proposto, cioè finire la guerra il prima possibile, come diceva in campagna elettorale. Per il resto, è vero che da gennaio 2025 l’arrivo di Trump alla Casa Bianca potrebbe cambiare la filosofia della guerra, o magari potrebbe convincere i nostri alleati ad alzare la posta, ad aiutare di più l’Ucraina».
Secondo Stefanishyna il primo grande segnale politico che può mandare Bruxelles è quello dell’allargamento dell’Unione. Non solo guardando a Kyjiv, ma anche a tutti gli altri Paesi in attesa. «È nostro interesse mantenere la stabilità nel continente, e questo processo di allargamento è un pezzo fondamentale di questo discorso», dice la vice primo ministro ucraina, che poi indica altri strumenti per dare maggiore solidità all’Europa.
Ci sono le sanzioni, ad esempio. Ma la Russia ormai ha trovato il modo di aggirarle. I soggetti sottoposti a limitazioni si sono abituati a una nuova normalità. Ed è come se le sanzioni avessero esaurito almeno una parte dei loro effetti. «In questi mille giorni di invasione ci sono un sacco di cose che i russi non sono riusciti a fare a causa delle sanzioni, ma evidentemente non bastano e forse dobbiamo rimodellarle, rivederle. Ad esempio: non dobbiamo solo congelare i loro asset ma dobbiamo capire come valorizzarli per usarli contro di loro», dice Stefanishyna.
In questi mille giorni, anche l’Ucraina si è abituata a una nuova normalità, ha imparato a convivere con una situazione di eccezionalità e urgenza costante. Un Paese in guerra da quasi tre anni, infatti, è anche un Paese che ha fatto il callo alla legge marziale, solitamente una condizione temporanea che mal si concilia con l’evoluzione democratica e trasparente di un Paese – e con tutte le riforme che Bruxelles chiede a Kyjiv nel suo percorso di ingresso nell’Unione europea.
Gli ucraini però hanno saputo costruire su questa condizione straordinaria un’eccezione. È la classica crisi generatrice di opportunità di cui si parla in tutti i libri di teoria economica. «È fondamentale in un Paese in guerra cogliere la palla al balzo per avviare una profonda trasformazione statale e sociale», dice la vice primo ministro ucraina, che è anche ministro della Giustizia ed era avvocato prima della guerra. «Perché in guerra se c’è una cosa fondamentale è avere uno Stato funzionante. Ovviamente ci sono sempre zone grigie che devi cercare di illuminare, di rendere più trasparenti. Ma qui a Kyjiv sappiamo che se vogliamo entrare nell’Unione europea non possiamo dare niente per scontato e niente ci è dovuto, per questo lavoriamo per tenere sempre tutto insieme, la guerra e le riforme, nonostante tutto».
Alla fine della sua conversazione con Nathalie Tocci, Stefanishyna ha voluto mettere l’accento sull’enorme aiuto che il governo ha avuto dalla società civile in questi mille giorni. L’Ucraina non avrebbe potuto sostenere il peso del conflitto e portare avanti l’intera macchina statale senza gli sforzi di una vibrante società civile che è stata in prima linea fin dall’inizio per far conoscere la condizione del Paese all’Europa e al resto del mondo. «La forza democratica degli ucraini è forse il primo motivo per cui la Russia non è mai riuscita a ottenere i successi che sperava in Ucraina», ha concluso. «Da sole le nostre istituzioni non potrebbero fare tutto ciò di cui c’è bisogno in questo momento, e gli ucraini stanno facendo un grande lavoro, in altre città, nelle capitali europee, negli incontri internazionali. È una grande forza che nessun potere politico o economico straniero può deviare, ridurre o cancellare».