Il tribunale di Roma ieri ha sospeso il giudizio sulla convalida del trattenimento dei sette migranti, cinque provenienti dal Bangladesh e due dall’Egitto, appena arrivati in Albania, rinviando la questione alla Corte di giustizia europea. E dunque, non essendoci la convalida dei fermi entro le 48 ore previste dalla legge, anche loro tornano in Italia, con tanti saluti all’inutile decreto sui paesi sicuri varato in tutta fretta dal governo non si capisce bene perché (se cioè perché davvero convinto di poter scavalcare le norme europee, o semplicemente allo scopo di precostituirsi un ulteriore motivo per denunciare il complotto dei magistrati).
Sia come sia, il centro albanese si svuota per la seconda volta e il governo torna a prendersela con i giudici. Lo fa, tra un video e l’altro contro le «zecche rosse», l’ineffabile vicepresidente del Consiglio leghista, Matteo Salvini, ma lo fa anche il più compassato vicepresidente del Consiglio forzista, nonché ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Mentre il mondo si interroga sugli effetti che l’elezione di Donald Trump avrà sulla politica europea e occidentale, l’Italia si dimostra così, almeno in questo campo, un laboratorio d’avanguardia. Tutte le grandi domande che riempiono le analisi della stampa internazionale trovano, a loro modo, una risposta nelle cronache italiane di questi giorni. Da un lato nei toni sempre più violenti e provocatori utilizzati dal governo verso le opposizioni, con il tentativo di strumentalizzare le stesse forze dell’ordine, dopo gli scontri di Bologna.
Dall’altro nei reiterati attacchi alla magistratura, e per suo tramite al principio fondamentale su cui si regge l’Unione europea, cioè la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno (augurandoci sempre che qualcuno, nell’audizione di oggi, ci faccia la cortesia di chiedere un parere in merito a Raffaele Fitto, visto il ruolo di vicepresidente che dovrebbe ricoprire nella nuova commissione).
Intervistato da Le Monde, il politologo Yascha Mounk ricorda giustamente che la vittoria di Trump non dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per l’Europa solo dal punto di vista della politica estera, perché l’Unione deve fare i conti anche al suo interno «con personalità come il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, o la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, entrambe vicine a Trump». Un problema di cui certo farebbe bene a preoccuparsi maggiormente l’Europa, ma pure l’Italia.