Fateci caso, le parole che nei prossimi giorni incontrerete più spesso nei commenti alla vittoria di Donald Trump, specialmente da parte di un certo tipo di esperti e di osservatori, saranno sempre queste: «Piaccia o no». Piaccia o no, l’immigrazione (e via con i soliti discorsi sull’immigrazione). Piaccia o no, il politicamente corretto (e via con i soliti discorsi sul politicamente corretto). Piaccia o no, le élite, le star di Hollywood, la ztl, i guasti della globalizzazione e quelli delle doppie punte. «Piaccia o no» sta al fine analista intervistato da giornali e talk show all’indomani delle elezioni come «Ho tanti amici negri» sta all’avventore del bar intervistato dai tg all’indomani di un fattaccio di cronaca.
Ci aspettano lunghi mesi, temo anni, di piaccia o no. Preparatevi. Per quanto mi riguarda, ho già la risposta pronta, qualora mi capitasse di essere presente alla declamazione di questo genere di pompose banalità, prima ancora che l’intellettuale di turno abbia finito di pronunciare la prima frase: no, non mi piace.
A rischio di passare per un fanatico o per un ingenuo, incapace di misurarsi con i dati di fatto nella loro cruda oggettività, completamente digiuno di realismo politico e senso storico, rivendico il diritto, almeno per i prossimi quattro anni, di mettere preventivamente in chiaro la mia posizione riguardo a tutti i piaccia o no dei nostri solleciti Trumpversteher, dei nostri capitori di Trump, come li chiamerebbero forse in Germania. Del resto, nell’arte di comprendere le ragioni del vincitore, modestamente, noi italiani non siamo secondi a nessuno.
Detto questo, la mia personale impressione è che le ragioni della vittoria di Trump siano fondamentalmente due. Una sola delle quali è effettivamente imputabile ai democratici. Ma è anche la principale, e cioè l’avere sostenuto fino a poco più di tre mesi fa un presidente uscente in età avanzata e in evidente declino cognitivo come Joe Biden, continuando a negare l’evidenza fino a un minuto prima di sostituirlo, all’indomani di un disastroso confronto con Trump, e con molte penose resistenze da parte dell’interessato (con cui temo si sia giocato ciò che più gli stava a cuore, la sua legacy, come ho già avuto modo di dire).
La seconda ragione è l’attentato a Trump, che ha reso di fatto inutilizzabile – o meglio, non utilizzabile con qualche speranza di successo – il principale argomento della propaganda democratica contro di lui, in quanto fomentatore di odio e minaccia per la democrazia. Poi avranno avuto senz’altro un peso tutte le amare verità che riempiono oggi analisi e commenti dei giornali e con cui la sinistra mondiale dovrà fare i conti nei secoli dei secoli, che le piaccia o no, ovviamente. Ma penso che, date quelle due premesse, ci sarebbe stato poco da fare comunque, per chiunque.