Negli ultimi anni, il mondo ha assistito a un preoccupante regresso della democrazia. L’invasione russa dell’Ucraina, la guerra di Gaza e il crescente pericolo di un conflitto regionale in Medio Oriente rappresentano minacce per i sistemi liberali. Un’eventuale rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti sarebbe un duro colpo alla tenuta delle istituzioni di uno dei principali fari democratici a livello globale.
Secondo un’analisi pubblicata da Foreign Affairs, la crescente diffusione di regimi autocratici è «una seria minaccia per le libertà e i diritti umani». Questo fenomeno, noto come «recessione democratica», richiede un’azione a livello globale per invertire la rotta e ripristinare i valori democratici fondamentali.
Il 5 agosto 2024, il Bangladesh ha vissuto un momento storico con le dimissioni e la fuga in esilio del primo ministro Sheikh Hasina, dopo settimane di proteste studentesche di massa. Durante il suo mandato, Hasina ha esercitato un controllo sempre più autoritario, manipolando i tribunali, i ministeri e le agenzie governative per silenziare i media e perseguitare i suoi avversari. E le elezioni bangladesi del 2014 sono state emblematiche di questo declino: la maggior parte dei partiti di opposizione ha scelto di boicottarle, denunciando la violazione delle norme costituzionali. Questa scelta ha accelerato la caduta del Bangladesh verso un’autocrazia, e sul consolidamento del potere da parte di Hasina. Nel gennaio 2024, mentre il leader bangladese si preparava al suo quarto mandato consecutivo, le proteste popolari sono aumentate e gli studenti universitari sono scesi in piazza. La risposta del governo è stata brutale: la polizia e l’esercito hanno represso le manifestazioni, portando a centinaia di morti, oltre ventimila feriti e più di diecimila arresti nei due mesi successivi. Dopo aver perso il sostegno dell’esercito, Hasina ha scelto di fuggire in India.
La caduta di Sheikh Hasina si inserisce in un contesto più ampio di regimi autocratici che si sono affermati in tutto il mondo negli ultimi dieci anni. Da El Salvador all’Ungheria, al Nicaragua e alla Turchia, molti leader corrotti hanno svuotato le istituzioni democratiche, stabilendo quelli che i politologi Steven Levitsky e Lucan Wa definiscono regimi «autoritari competitivi».
«L’ascesa dell’autocrazia a livello globale è il risultato di una combinazione complessa di fattori», si legge ancora su Foreign Affairs. In molti Paesi, la democrazia si è diffusa in contesti che ancora non avevano le basi economiche e le istituzioni necessarie per garantire lo stato di diritto e combattere la corruzione. Allo stesso tempo, però, nazioni come la Liberia e il Malawi, pur essendo molto povere, sono riuscite a preservare i loro progressi democratici. L’immagine della democrazia è stata danneggiata in maniera significativa anche all’inizio degli anni Duemila, in particolare con l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, quando la promozione della democrazia è stata associata all’uso della forza militare, con conseguenze disastrose per la regione.
Un altro fattore di instabilità è rappresentato dalla crisi finanziaria globale che ha destabilizzato vari governi, inclusi quelli di stampo democratico. «A peggiorare la situazione, potenze illiberali come la Cina e la Russia hanno messo in atto strategie per screditare i principi liberali», scrive Foreign Affairs. La Cina, utilizzando ricchezze, propaganda e tecnologia, ha promosso il suo modello autoritario, mentre la Russia ha cercato di minare le istituzioni democratiche, intervenendo persino nelle elezioni di altri Paesi. Anche l’aumento drammatico della disuguaglianza di reddito ha contribuito a una crescente insoddisfazione, con una piccola frazione della popolazione che accumula ricchezze, mentre le classi medie e inferiori affrontano stress economico.
Questa disuguaglianza alimenta la polarizzazione politica, accentuata, ad esempio, dalle campagne per l’uguaglianza di genere o dalle manifestazioni per la parità tra gruppi sociali. Molte democrazie avanzate, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, hanno spesso inquadrato l’immigrazione come una minaccia alla stabilità economica e sociale, aumentando ulteriormente le tensioni. Quando un regime oppressivo si insinua nelle istituzioni di un paese, la resistenza interna diventa sempre più difficile, rendendo necessaria una mobilitazione di massa per affrontare il governo.
Il successo di un movimento democratico però è più probabile nel momento in cui vengono adottate strategie pacifiche: le manifestazioni, gli scioperi e la resistenza non violenta possono rallentare la discesa verso l’autoritarismo. La strategia migliore per il cambiamento però rimane quella che si ottiene tramite le urne. Ne sono un esempio Paesi come Bolivia, Brasile, Ecuador, Guatemala, Polonia, Senegal, Sri Lanka, Zambia e Stati Uniti, dove le elezioni democratiche e l’applicazione dei limiti di mandato hanno contribuito a frenare la deriva autoritaria.
Le recenti vittorie elettorali a favore della democrazia condividono caratteristiche importanti: le forze di opposizione si uniscono dietro una piattaforma comune, evitando divisioni che possano favorire il partito al governo, spesso impopolare e internamente diviso. La pressione esterna delle democrazie liberali può aumentare i costi della repressione e può portare all’allontanamento dei gruppi che sono al potere. Inoltre, è fondamentale usare delle strategie comunicative efficaci, in modo da mobilitare una vasta base elettorale, compresi gli elettori che in passato hanno sostenuto il regime, e da coinvolgere segmenti diversi della società. E la scelta di affrontare questioni concrete, come le prestazioni economiche, la lotta alla corruzione e il miglioramento dei servizi pubblici, aiuta a riconquistare la fiducia e il patriottismo dei cittadini.
È cruciale dimostrare che la leadership democratica può essere altrettanto forte e convincente quanto quella di un oppressore. In questo contesto, le democrazie liberali devono potenziare le proprie difese esterne e promuovere una cooperazione più stretta per mantenere il loro vantaggio in campo economico, militare e tecnologico, senza trascurare le difese interne: la democrazia può facilmente scivolare verso l’autocrazia se non riesce a garantire politiche efficaci per affrontare questioni legate al crimine, al terrorismo, alla gestione dei confini e alle divisioni sociali, oltre a fornire opportunità economiche e sicurezza ai cittadini.