Questo articolo è stato pubblicato nella pagina degli editoriali del Las Vegas Sun.
Il razzismo, il sessismo, la xenofobia e la propensione alla corruzione di Donald Trump lo hanno sempre reso inadatto a qualsiasi carica pubblica, figuriamoci la presidenza. Ma la sua candidatura per un secondo mandato alla Casa Bianca ha visto un cambiamento inquietante e innegabile che porta molti esperti, osservatori e persino alcuni sostenitori di Trump a concludere che anche dal punto di vista cognitivo l’ex presidente stia peggiorando, che la sua salute fisica e la sua resistenza siano in declino, e che la sua frustrazione e la sua rabbia stiano invece esplodendo.
Gli americani di entrambi gli schieramenti politici dovrebbero essere allarmati dalle parole e dal comportamento di Trump. Oltre al suo carattere odioso, l’ex presidente appare debilitato dal punto di vista mentale e mostra chiari segni di debolezza.
Non è necessario ricorrere alla psicologia da salotto per interpretare ciò che appare evidente. Se vincesse, Trump sarebbe il presidente più anziano mai insediato. Nelle ultime settimane, ha cancellato un numero enorme di eventi pubblici a cui avrebbe dovuto partecipare, e il suo stesso comitato elettorale ha citato la stanchezza del candidato come motivazione dell’assenza. Quando appare pubblicamente, Trump fa fatica a completare le frasi o a mantenere un pensiero coerente, e mostra una forte difficoltà di concentrazione e una tendenza a ripetersi.
Ad esempio, durante un recente comizio nel New Hampshire, Trump ha iniziato discorrendo di infrastrutture per poi finire a fare un monologo sconnesso sulla lealtà e sulle ingiustizie percepite a suo danno, concludendo con un commento sconcertante sulle pale eoliche che causerebbero il cancro.
Questo non è un caso isolato. Un’analisi recente del New York Times ha osservato che i discorsi di Trump ai comizi degli ultimi otto anni sono diventati più cupi, lunghi, volgari e sempre più confusi e disarticolati — un segnale inquietante che non è più in grado di formulare idee o ragionare come ci si aspetterebbe dai leader politici. Questo lo rende vulnerabile alle manipolazioni del suo stesso staff o, peggio, al controllo di politici stranieri.
Ciondola senza una meta, farfuglia e talvolta parla in modo incomprensibile. È da sempre un bugiardo patologico, ma ora che i suoi discorsi non sono altro che una serie di falsità intrecciate in un groviglio nella sua testa. Sembra che non sia nemmeno più consapevole di stare mentendo.
Ha invocato la prigione per i giornalisti, ha promesso di ripulire il governo da presunti agenti del «deep state» che percepisce come sleali, e ha amplificato la sua retorica tirannica. In più, sono aumentate le lodi pubbliche per dittatori come Vladimir Putin e Xi Jinping, usando un linguaggio sempre più fascista per descrivere coloro che considera nemici politici. L’ex presidente ha persino suggerito l’uso dell’esercito contro i suoi critici interni — un approccio che ricorda i regimi repressivi della storia e che spesso è stato il preludio a un autoritarismo strisciante.
Con la fragilità di Trump arriva una crescente dipendenza da sostenitori che mostrano l’inquietante volontà di assecondare le sue frustrazioni e amplificare la sua paranoia. Tra questi sostenitori c’è il suo compagno in questa candidatura, il senatore J.D. Vance dell’Ohio. Se Trump fosse giudicato inidoneo a fare il presidente, Vance prenderebbe il potere.
Una volta era un conservatore “Never Trump”, uno di quelli che lo criticava apertamente e lo vedeva come un pericolo, ma da allora Vance ha abbracciato un’ideologia estremista, trasformandosi in un acceso sostenitore del movimento Maga, desideroso di emulare i peggiori istinti di Trump.
Oltre alla sua strana ossessione per le donne senza figli, che definisce «squilibrate» e «sociopatiche», e alla sua propensione per diffondere teorie cospirazioniste sugli immigrati e altre comunità marginalizzate, Vance rappresenta una minaccia diversa alla democrazia rispetto a Trump. Ha ripetutamente dimostrato di essere poco più di un burattino dei suoi benefattori miliardari dell’hedge fund e ha dichiarato apertamente di non accettare il risultato delle elezioni del 2020, suggerendo così che sarebbe capace di subordinare i principi costituzionali al profitto e al potere personale.
La sua disponibilità a rinunciare a qualsiasi principio mostra che probabilmente non opporrebbe resistenza agli eccessi di Trump o al suo deterioramento mentale. Anzi, potrebbe abbracciare un autoritarismo trumpiano, esacerbando i pericoli che affrontiamo con l’attuale declino mentale di Trump.
Se la storia ci ha insegnato qualcosa, è che le democrazie sono fragili. I fondatori d’America hanno immaginato che la presidenza potesse rappresentare una forza stabilizzatrice. L’instabilità di Trump, unita alla sua e alla crescente volontà di Vance di calpestare le norme democratiche e il disprezzo visibile per chiunque non sia come lui, ha trasformato quello che un tempo poteva essere visto dai conservatori come uno stile di leadership scomodo in una minaccia esistenziale per la democrazia americana.
Per coloro che credono in un Paese governato da pesi e contrappesi e dallo stato di diritto, un ritorno alla leadership trumpiana è già di per sé pericoloso. Ma farlo con un leader debilitato, incapace di governare in modo competente e affiancato da un altro personaggio autoritario, è addirittura rischioso.
Mentre gli elettori valutano la nuova candidatura di Trump alla presidenza, è essenziale riconoscere che questa elezione non è solo una scelta tra gruppi politici o di fedeltà al partito. È una prova della nostra volontà di proteggere la nazione da leader la cui idoneità alla carica è seriamente in discussione. Questa elezione riguarda la protezione dell’integrità della nostra democrazia da chi permetterebbe il suo collasso in nome del potere, della lealtà o della convenienza.
Donald Trump non ha mai avuto la bussola morale per guidare questo Paese. I suoi sostenitori non possono permettersi di ignorare che il loro leader potrebbe non avere più le facoltà mentali per guidarlo. La posta in gioco è troppo alta.