MODENA – Il primo marchio italiano a mettere il latte in un contenitore di cartone negli anni Sessanta fu la Centrale del latte di Modena. Gli svedesi di Tetra Pak erano arrivati in Italia, Emilia Romagna, nel 1965. Quindici anni prima, Anders Ruben Rausing aveva brevettato a Lund, nel Sud della Svezia, la prima confezione di cartone «asettico», impenetrabile all’aria, che non richiedeva di essere messo in frigo.
«Fare qualcosa che nessuno ha mai fatto prima è piuttosto difficile», diceva Rausing. Il suo obiettivo era sviluppare una tecnica per conservare a lungo il latte, in modo che potesse essere esportato in Paesi lontani senza sprechi. E così fu. Fino ad allora spopolavano le bottiglie di vetro. Ma in pochi anni le macchine riempitrici dei cartoni a forma tetraedica di Tetra Pak cominciarono a girare per mezzo mondo. Dalla Germania al Messico, dagli Stati Uniti al Libano, fino all’Italia.
Più di settant’anni dopo, quell’invenzione nata a Lund si è trasformata nella più grande multinazionale del packaging al mondo, presente in 160 Paesi con oltre ventiquattromila dipendenti. Nel 2023, sono state consegnate 235 nuove macchine riempitrici. E nello stesso anno in tutto il mondo sono state vendute 180 miliardi di confezioni Tetra Pak, circa ventidue per ogni persona sulla Terra, per un fatturato di 12,7 miliardi di euro.
Nel frattempo, il tetraedo ha lasciato spazio alla forma rettangolare e al prisma di cartone. E il nome Tetra Pak viene usato ormai per indicare generalmente il brick delle confezioni di latte, ma anche di succhi di frutta, passati di verdura, vino, olio, legumi, salsa di pomodoro, yogurt e sempre più spesso anche acqua. Diventando uno strumento di marketing strategico sugli scaffali dei supermercati di mezzo mondo. Che però, ora, pone sempre più il problema su come differenziare e riciclare questi imballaggi. Perché, per conservare a lungo gli alimenti, questi packaging non sono fatti solo di carta. E quelle confezioni sugli scaffali del supermercato nascondono un’industria più complessa di quello che sembra.
Ogni foglio stampato da Tetra Pak nei cinquantuno impianti di produzione sparsi nel mondo è composto da tre strati: 70 per cento di cartone, più un 25 per cento di plastica (quattro fogli in totale tra interno ed esterno) per la protezione degli alimenti dall’umidità e un 5 per cento di alluminio contro l’ossigeno e la luce.
Sulle confezioni Tetra Pak c’è un Qr code attraverso cui trovare le informazioni. Ma ogni comune italiano dà ai cittadini indicazioni proprie sulla raccolta differenziata: c’è chi dice di gettarle nella carta, chi nell’indifferenziato, chi nella plastica.
Il Comune di Milano, ad esempio, dove «i Tetrapak» devono essere gettati nei cassonetti per carta e cartone, dal 2023 trasporta i rifiuti in un impianto di Novate Milanese. Qui esiste una macchina in grado di riconoscere in maniera automatica le confezioni miste separandole dal resto della carta. I brick poi vengono spediti nelle Cartiere Saci, a Verona, tra le poche in Italia – insieme alle cartiere Lucart di Lucca – capaci di differenziare la plastica e alluminio Tetra Pak per recuperare poi la carta da riutilizzare.
Dallo scorso luglio, invece, l’amministrazione di Palermo ha chiesto ai cittadini di non buttare più le confezioni Tetra Pak nel cassonetto della carta, ma in quello della plastica e metalli. Questo grazie a un nuovo impianto a Termini Imerese che seleziona in modo automatico brick, poi spediti alla Lucart per il riciclo della fibra in cellulosa.
E per riutilizzare invece il polyal, la componente di plastica e alluminio, Tetra Pak collabora anche con Ecorevive ed Ecoplasteam, due aziende specializzate nella produzione di un nuovo polimero, l’ecoallene, interamente riciclabile.
I singoli materiali delle confezioni sono quindi separabili meccanicamente, e in teoria la fibra di cellulosa e il polyal possono trovare nuovi utilizzi. Ma servono gli impianti adatti. Il tasso di riciclo su scala europea oggi è superiore al 50 per cento, in Italia al 40 per cento. Insomma, siamo ancora a metà strada.
Tetra Pak continua a investire in ricerca e sviluppo per semplificare la struttura delle confezioni, riducendo ad esempio la plastica di origine fossile con polimeri riciclati o a base vegetale. «La ricerca sui materiali, per rendere i cartoni più facilmente riciclabili e meno impattanti sull’ambiente, è costante», spiega Roberto Mastri, managing director di Tetra Pak Packaging Solutions. «Su 500 milioni annui di investimenti in ricerca e sviluppo dell’azienda, 350 milioni sono destinati ai materiali sostenibili».
In Italia, a Modena, nel cuore della Food Valley, esiste uno dei sei centri Tetra Pak di ricerca e sviluppo, il secondo più grande al mondo, con oltre mille dipendenti. Qui ingegneri e tecnologi hanno annunciato lo scorso anno il lancio sul mercato di una nuova confezione, che sostituisce la barriera di alluminio con una di carta, in modo da semplificare il riciclo e ridurre di un terzo l’impronta di carbonio.
Ma il passaggio verso confezioni senza alluminio non è scontato. Perché comporta in primis grossi cambiamenti sulle linee di produzione. Oggi i fogli a tre strati vengono arrotolati in lunghi tubi, poi saldati dalle macchine con un sistema a induzione, prendendo una forma simile a delle caramelle. «Rimuovere l’alluminio vuol dire quindi cambiare i sistemi di saldatura», spiega Elisa Schianchi, New Packaging Solutions Programme Director di Tetra Pak. «Oltre al fatto che bisogna lavorare a una barriera adatta per assicurarsi la conservazione dei prodotti a lungo».
I primi cartoni con la barriera di carta già presenti sul mercato sono ad oggi solo le monoporzioni del latte al cioccolato portoghese Lactogal, realizzate con circa l’80 per cento di cartone, lanciate circa un anno fa. Nel 2024 questi eco-mini brick sugli scaffali portoghesi sono stati 24 milioni. Ma ora anche i grandi marchi di yogurt, latte e bibite stanno studiando negli uffici di Modena esperimenti simili. E di recente Tetra Pak ha creato per Lactalis Spagna anche il primo packaging dove lo strato barriera in plastica è ottenuto dal riciclo delle plastiche degli stessi imballaggi.
Finora l’unica confezione green di Tetra Pak era stata quella plant-based, realizzata nel 2015 con cartone e plastica a base di canna da zucchero, adatta solo alla distribuzione nella catena del freddo. Nel 2021 sono state vendute 17,6 miliardi di confezioni a base vegetale, che è quindi ancora una piccola parte rispetto alla produzione totale.
Per tutto il resto, la strada è lunga. L’azienda lavora con oltre 170 riciclatori nel mondo, investendo 40 milioni di euro l’anno in programmi di riciclo. Nel 2023, circa 1,3 milioni di tonnellate di imballaggi in cartone di Tetra Pak sono stati raccolti e avviati al riciclaggio, con un aumento del 7 per cento rispetto al 2022. Tetra Pak si è impegnata per l’incremento del tasso di riciclo delle sue confezioni in Ue dal 50 per cento attuale al 70 per cento entro il 2030. Mentre, entro fine 2024, l’obiettivo è triplicare la capacità di riciclaggio di polyal.
Intanto, dallo stabilimento di Modena è stata lanciata pure quella che definiscono «la macchina più veloce al mondo nel packaging». Oggi le macchine Tetra Pak producono in media venti-venticinquemila confezioni all’ora. Questa nuova macchina arriva a quarantamila confezioni all’ora, undici al secondo. Ma la novità è soprattutto la rimozione del perossido di idrogeno per la sterilizzazione delle confezioni, sostituito da una tecnologia a emissione di elettroni che riduce del 45 per cento il l’utilizzo di acqua. Per il momento è stata testata solo sulle confezioni più piccole, richieste in grande quantità soprattutto nelle megalopoli della Cina. Dove, quattro anni fa, è stato creato nella città di Xiamen il primo centro di smistamento automatico per i milioni di brick Tetra Pak che finiscono ogni giorno nelle pattumiere cinesi.