Il male minoreLa divisione dei progressisti in Romania rafforza l’estrema destra

Il Partito Socialdemocratico di Marcel Ciolacu è favorito al voto del 24 novembre, ma l’ascesa del partito Aur non è da sottovalutare. La crisi dei partiti centristi e il disimpegno degli intellettuali amplificano il rischio di derive populiste nell’eventuale secondo turno dell’8 dicembre

LaPresse

Il 2024 è per la Romania un anno denso di appuntamenti elettorali. Dopo le europee e le amministrative di giugno, Bucarest si prepara ad andare alle urne per tre domeniche di seguito. Si parte il 24 novembre con il primo turno delle presidenziali e l’eventuale ballottaggio l’8 dicembre. Nel frattempo il 1° dicembre, giorno della Festa Nazionale, i romeni saranno chiamati a scegliere il nuovo Parlamento, con sistema proporzionale diretto e sbarramento al cinque per cento. 

Un sistema elettorale che è un capestro per alcuni piccoli partiti di area centrista e progressista, ma che forse non impedirà all’estrema destra di S.O.S. Romania (il partito della fanatica eurodeputata Șoșoacă, per intenderci) di entrare in Parlamento con il sei per cento, stando agli ultimi sondaggi. Di contro, l’Udmr di Kelemen Hunor, storico partito della minoranza ungherese, rischierebbe di restarne fuori (4,5 per cento). Il Partito Socialdemocratico (Psd), di cui è presidente l’attuale primo ministro Marcel Ciolacu, si attesterebbe comodamente tra il trentuno per cento e il trentacinque per cento, staccando di molto l’alleato dell’attuale coalizione di governo, il Partito Nazional-Liberale (Pnl-Ppe) al venti-ventidue per cento. 

Subito dopo, alcuni sondaggi danno l’Alleanza per l’Unione dei Romeni (Aur-Ecr), partito populista di estrema destra, ormai non più una novità e radicato sul territorio (dodici per cento-sedici per cento), altri l’Unione Salvate la Romania (Usr-Renew), con percentuali simili. Secondo altri sondaggi, il Pnl sarebbe invece secondo prima di Aur. Dettagli non banali, se pensiamo che anche i sondaggi delle presidenziali variano molto da un istituto all’altro. Ma nella corsa per la massima carica dello stato, la tappa “intermedia” delle parlamentari potrebbe determinare chi andrà al ballottaggio. Alla vigilia del primo turno, secondo Hotnews il candidato del Psd, lo stesso premier Ciolacu, è in testa con il 24,5 per cento, seguito dal fondatore di Aur George Simion (13,7 per cento) alla pari con Elena Lasconi, presidente di Usr, e da Nicolae Ciucă, presidente del Senato ed esponente Pnl, al terzo posto (9,8 per cento). 

Se vincerà, Ciolacu sarà passato a ricoprire nel giro di tre anni la carica di presidente della Camera, quella di premier, fino alla presidenza del paese. Un leader apprezzato dai partner internazionali, tra cui Giorgia Meloni, anche se attaccato di recente internamente per via di uno scandalo legato a un gruppo immobiliare. Tuttavia, il governo di coalizione Psd-Pnl, che Ciolacu ha condiviso con Ciucă, premier dal 2021 al 2023 prima di lui, ha conferito un periodo di relativa stabilità alla Romania, a cui ha contribuito il presidente uscente Klaus Iohannis, anch’egli esponente Pnl. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nella prima parte del 2024 il paese ha registrato una crescita del 2,8 per cento, che l’anno prossimo toccherà il 3,3 per cento. Il tasso di inflazione, anche se il più alto tra i paesi Ue (7,3 per cento), si dimezzerà nel 2025. 

È la seconda volta che i liberali di Usr propongono una candidatura alla presidenza, dopo quella di Dan Barna nel 2019, il cui quindici per cento giungeva sulla scia delle europee dove il partito, in alleanza con Plus di Dacian Ciolos, aveva conquistato il ventuno per cento. All’epoca l’elettorato vedeva in Usr un partito di rottura e anti-sistema, una En Marche romena, ma nata più marcatamente dal basso, dalle liste civiche di Bucarest fino ad arrivare partito nazionale. 

Entrato al governo in una coalizione di centrodestra con Pnl e Udmr, Usr decide poi di togliere la fiducia al premier Florin Cîțu dopo una mozione di sfiducia sostenuta insieme ad Aur. Un fatto che ha fortemente compromesso la reputazione del partito, scosso anche da lotte interne e da una scissione che ha portato nel 2022 alla formazione di Reper, partito guidato dagli ex europarlamentari Ramona Strugariu e Dragoș Pîslaru, membro del Partito Democratico Europeo (Renew). Reper, attestato al 2,6 per cento, dopo il fallimento delle europee di giugno, partecipa per la prima volta alle parlamentari, proponendo un programma liberalsocialista e progressista, con un accento su temi che i vecchi partiti di maggioranza hanno ancora timore a difendere. 

Usr ha generato la fuoriuscita di un altro europarlamentare, Nicu Ștefănuță, che un anno prima delle europee ha aderito al gruppo dei Verdi, primo romeno al suo interno. Con una campagna serrata e un focus su politiche per i giovani, diritti e libertà civili, e una politica molto contatto con le persone, Ștefănuță è riuscito a farsi rieleggere e a fondare un nuovo partito, composto in gran parte da giovani. Il movimento Sens, attestato all’un per cento nei sondaggi per le parlamentari, è oggi, insieme a Reper, una delle novità politiche più interessanti di queste elezioni.

Il declino e la scissione di Usr hanno avuto altri effetti negativi indiretti. Hanno infatti regalato un po’ di elettorato anti-sistema ad Aur, un altro dei motivi per cui George Simion, euroscettico e dichiaratamente contro gli aiuti militari all’Ucraina, potrebbe arrivare al ballottaggio. 

Sorprendente nei sondaggi il quinto posto attuale dell’ex vicesegretario Nato, Mircea Geoana (8,8 per cento), ex PSD e ministro degli esteri, candidatosi da indipendente e inizialmente favorito nella corsa a Palazzo Cotroceni. Ma negli ultimi mesi Geoana è stato oggetto di varie accuse, una tra le tante la vicinanza di un membro dello staff di campagna a un propagandista filoputiniano. Altra accusa è l’aver sfruttato la sua posizione nell’alleanza atlantica per preparare la sua candidatura. 

Non sorprende invece l’esclusione dalla corsa elettorale di Diana Șoșoacă da parte della Corte Costituzionale. Le sue posizioni apertamente filorusse avrebbero messo in pericolo l’appartenenza della Romania all’Ue e alla Nato. Qualcuno pensa che i motivi dell’esclusione siano stati politici. Troppi candidati di estrema destra avrebbero spaccato il voto e dato la possibilità ad altri, come Lasconi, di arrivare al ballottaggio. Per Ciolacu è invece più auspicabile e “facile” affrontare un candidato come Simion.

I candidati alla presidenza si sono affrontati in un dibattito televisivo, che a detta di molti si è rivelato deludente e mediocre. Ne è emerso un parziale livello di impreparazione per quanto concerne le sfide attuali, e un certo livello di conservatorismo della classe politica romena. Simion e Lasconi sono risultati i migliori, l’uno per le posizioni nette e il senso dell’umorismo, l’altra per aver dimostrato maggiore concretezza. 

Il ballottaggio presidenziale che si profila vede, con tutta probabilità, vincitore Marcel Ciolacu, il quale ha già dichiarato che, se eletto, non intende nominare un esponente di Aur alla guida del governo. Potrebbe vincere perché i romeni, si dice, amano la stabilità e scelgono il male minore. E perché, se sfiderà Lasconi, i romeni non sono ancora pronti per una donna presidente. 

Trentacinque anni dopo la rivoluzione del 1989 che pose fine al regime di Ceausescu, la Romania è uno stato membro dell’Ue, con un ruolo sempre crescente nella geopolitica europea, una guerra a pochi chilometri dai suoi confini e un paese vicino, la Repubblica Moldova, da “salvare” sostenendolo nel percorso di integrazione europea. Per la prima volta la Romania avrà una vicepresidenza nella Commissione europea in pectore, quella della socialdemocratica Roxana Mînzatu, con portafoglio alle persone, competenze e preparazione. 

Le elezioni in Romania sono meno appassionanti di quelle in Moldova. Non ci sarà un’altra Maia Sandu, anche se, avendo la cittadinanza romena, nulla le vieterebbe di candidarsi. Non ci sono più le manifestazioni oceaniche del 2017-18 contro il governo socialdemocratico di allora, colpevole di aver fatto approvato di notte una riforma salvacorrotti. Eppure c’è un pericolo ben più grave, la possibile presidenza a un fascista nostalgico di Codreanu e del generale Antonescu. Ancora una volta, gli intellettuali sembrano essersi ritirati dal dibattito pubblico, il più lontano possibile dalla politica reale. Un problema non recente in Romania, ma che potrebbe pesare. 

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