Un «enorme luogo fuso». Questo sarebbe il destino di Kyjiv, secondo l’ex presidente russo Dmitry Medvedev, se i Paesi occidentali permetteranno ai loro missili di colpire obiettivi militari in Russia. Queste parole facevano parte di uno dei discorsi settimanali ormai abituali di Medvedev sul tema della decadenza occidentale e sulla guerra santa della Russia. Un uomo che un tempo era considerato il leader della fazione riformista russa orientata verso l’Occidente è diventato la voce più forte nel chiedere l’uso di armi nucleari contro l’Occidente e l’Ucraina. Ma non è certo l’unico a farlo.
Queste minacce, naturalmente, non sono prive di fondamento. La Russia possiede l’arsenale nucleare più grande al mondo, con circa cinquemilacinquecento testate. Sebbene l’esercito russo abbia dimostrato molte volte le sue debolezze, la reputazione delle sue forze strategiche missilistiche è rimasta inalterata. Non ci sono dubbi che la Russia potrebbe, se lo volesse, dare seguito alle sue minacce apocalittiche.
E questo ha avuto delle conseguenze. Molti Paesi hanno lasciato che le linee rosse tracciate dalla Russia dettassero le condizioni di questa guerra. Hanno posto limiti all’uso di missili contro obiettivi militari in Russia, pur sapendo perfettamente che la maggior parte dei missili e dei droni lanciati contro i civili nelle città ucraine provengono dal territorio russo. Molte persone stanno morendo perché i Paesi occidentali considerano credibili quelle minacce nucleari.
Tuttavia, considerare l’élite russa come un gruppo di folli pronti a distruggere il mondo da un momento all’altro significa cadere vittima della propria immaginazione. Queste dichiarazioni, per quanto allarmanti, riflettono una strategia calcolata più che un’intenzione apocalittica. Né Vladimir Putin né i membri del governo russo sono folli; possono cadere nelle loro illusioni di grandezza, ma in fondo sono persone molto scaltre che hanno raggiunto le loro posizioni apicali passando sui cadaveri dei loro rivali. Sono giocatori d’azzardo che continueranno a scommettere finché non sentiranno di iniziare a perdere.
Putin non ha attaccato l’Ucraina perché cerca di distruggere il mondo. Lo ha fatto perché ha continuato a spingere più in là i suoi limiti senza mai affrontare conseguenze e, nella sua mente, sarebbe stato stupido fermarsi dopo una serie di successi. Non importa quanto Medvedev possa parlare di bombardare Parigi in caso di superamento delle cosiddette linee rosse in Ucraina o nel Kursk: più e più volte quelle stesse linee rosse sono state attraversate e nulla è accaduto, se non qualche simbolica dimostrazione di forza. Questo è successo prima con l’aiuto militare generale, poi con i carri armati occidentali, poi con i missili occidentali e ora con gli attacchi in territorio russo.
L’Europa non deve lasciare che paure infondate dettino le sue azioni, né permettere che esse compromettano la nostra umanità o ci accechino di fronte alle conseguenze a lungo termine dell’inattività. La Russia non distruggerà il mondo per Kursk, né per la perdita dell’Ucraina. Non lo avrebbe fatto neanche per la Crimea o per la Georgia. Eppure l’Occidente non si muove, per paura e interesse personale, e molti hanno pagato il prezzo di questa inattività. E se continueremo a non agire in modo deciso, molti altri ne pagheranno le conseguenze.
Medvedev traccia linee rosse di continuo, salvo poi dimenticarsele quando queste vengono attraversate. Le persone stanno morendo e la nostra paura di una ritorsione nucleare sta solo prolungando la sofferenza in Ucraina, mettendoci su un percorso di un futuro instabile.
Gli artefici della Seconda Guerra Mondiale continuavano a mettere alla prova le istituzioni democratiche, prima in patria e poi all’estero, senza trovare una risposta decisa. Negli anni Trenta, le democrazie esitavano a confrontarsi con i regimi autoritari, confondendo l’appeasement con la pace. Meno di un secolo dopo, rischiamo di ripetere lo stesso errore, consentendo a un regime disposto a usare la paura come arma di minare la sicurezza globale. L’ombra di una minaccia nucleare potrebbe essere enorme, ma non possiamo permettere che condizioni le nostre decisioni, perché chi cerca l’appeasement di fronte alla violenza non troverà mai la pace.