Buco nell’acqua La mancata goccia che in Sicilia ha fatto traboccare il vaso delle proteste anti siccità

La pessima gestione delle risorse idriche costringe gli abitanti di Agrigento, Enna e Caltanissetta a fare la lavatrice di notte, a comprare insalata già lavata e a non mandare i figli a fare sport perché altrimenti si sporcano. La Regione ha inviato alcuni silos, ma non è abbastanza per fronteggiare la situazione

LaPresse

Alla fine l’acqua è arrivata, è arrivata davvero. Sotto forma più preziosa, quella di lacrima. Stille dagli occhi della signora Lucia, come la santa protettrice della vista. E sembra una Madonna delle Lacrime, la signora Lucia, casalinga, cinquantacinque anni, quando, tra i singhiozzi, dice una frase breve, semplice e lancinante: «Così non si può vivere». È una delle centinaia di persone che hanno fatto una qualcosa di inedito per la Sicilia, isola restia da sempre a ogni forma di protesta organizzata, lasciare per un giorno la casa, la famiglia e il lavoro, e andare, da ogni angolo delle province siciliane, a Palermo per un corteo dallo slogan più breve del mondo: «Acqua!». Con tanto di punto esclamativo. Non una parola in più, non un verbo. «Acqua! Acqua! Acqua!», hanno gridato come assetati questi cittadini attraversando le vie del centro di Palermo fino al palazzo della Regione. Acqua! La chiedono, la vogliono. 

Sono venuti dalle province lontane: Agrigento, Enna, Caltanissetta, le più disparate. E sono soprattutto donne, a guidare questa protesta, mamme, ormai costrette a decidere tra una lavatrice e una doccia per i figli, a mendicare gli spiccioli delle due gocce che il Comune manda a infiniti giorni alterni. Mamme che raccontano di come sono diventate brave a fare lo shampoo ai figli con la bottiglia, a innaffiare le piante agonizzanti con l’acqua raffreddata della pentola per la pasta, a farsi loro, per prime, la doccia a pezzi, come avevano visto fare alle loro mamme, e anche alle loro nonne, perché questa storia dell’acqua che manca, in Sicilia, è tutto fuorché un’emergenza, dicono, è stato sempre così, l’acqua per pochi, gli altri ad assetarsi. 

«Non è possibile vivere così», raccontano. E aggiungono i particolari di una vita che non appartiene al calendario delle persone normali, di noi che dividiamo il nostro tempo in giorni e in settimane. Il loro calendario non conosce domeniche o lunedì, ma è caratterizzato solo dall’implacabile macigno del tempo trascorso tra un’erogazione e l’altra dell’acqua. Il giorno in cui arriva l’acqua è il giorno zero, quasi una festa, ormai, se in questa miseria di diritti esiste ancora il concetto di festa. Poi comincia la conta. Sette giorni, anzi, dieci, anzi, trenta. «L’acqua, poi, quando arriva raccontano viene erogata inspiegabilmente di notte». E allora, per cercare di sfruttare il più possibile quel momento magico, nonostante la basse pressione dell’erogazione, mentre la cisterna si riempie, si cerca di fare più cose insieme: lavare i pavimenti, fare il bucato. 

Eccolo, cos’è, il tempo trasformato della siccità. Quando si compie il miracolo dell’erogazione, a casa è mezzogiorno, anche a notte fonda. Ma così non si può vivere: «Sono stanca di svegliare i miei figli alle quattro di notte per lavarli racconta una mamma –. Siamo qui anche per chiedere alcune cose elementari, come questa». Mamme che rinunciano a mandare i figli a fare sport, perché è prezioso non sporcarsi, mamme che comprano insalate in busta già pronte perché ogni goccia è preziosa, anche quella per lavare le verdure, mamme che si ingegnano con caraffe e bacinelle in bagno per evitare dispendiosissimi scarichi dello sciacquone, ormai un lusso per ricchi. 

Ma non finisce qui. Perché l’acqua che arriva non solo è poca, ma è brutta: «Certe volte arriva acqua di colore giallo racconta un’altra donna e con residui di ruggine. Alcune persone stanno avendo problemi di irritazione alla pelle. Anche il mio bambino». Quando protestano, rivolgendosi al loro Comune o all’ente che eroga l’acqua, la risposta è sempre la stessa: «Stiamo facendo delle verifiche». Poi più nulla. In realtà, dicono gli esperti, c’è ben poco da verificare, il fenomeno ha una sua logica: quando le condotte più vecchie (in ferro) rimangono ferme per due o più giorni, perché non c’è acqua, tendono a ossidarsi. Quando l’acqua viene immessa nuovamente, ne viene fuori un liquido torbido e giallino. 

In questo contesto, l’unica via per avere un’apparenza di vita normale è l’autobotte. Ma è un lusso che davvero pochi possono permettersi, con i prezzi saliti a dismisura in queste ultime settimane. E infatti i partecipanti al corteo si scambiano informazioni, ed esperienze, numeri di telefono e pizzini con nomi e contatti preziosi: si scopre che, mediamente, in quasi tutta la Sicilia l’autobotte piccola, da dieci metri cubi d’acqua, è passata da un costo di settanta euro a un costo di duecento euro. 

La vera crisi si registra a Enna, dove è iniziato il conto alla rovescia per il divieto di utilizzo della diga Ancipa. Perché? Semplicemente, perché non esiste più. La data cerchiata in rosso è il 15 novembre. L’invaso ha circa mezzo milione di metri cubi d’acqua. I tecnici definiscono questo livello: «volume morto». A regime, potrebbe contenere cinquanta milioni di metri cubi d’acqua. Tra poco si dovrà pensare anche a ricollocare i tanti pesci che vivono nel lago e che cominciano a morire per mancanza di ossigeno nell’acqua.

Per calmare la rabbia dei manifestanti, il presidente della Regione, Renato Schifani, ha ricevuto una delegazione, individuando subito un responsabile, il commissario nazionale per l’emergenza siccità Nicola Dell’Acqua, da lui attaccato pesantemente, il giorno dopo, intervenendo nel parlamento siciliano per l’ennesimo dibattito sul tema: «Il nostro atteggiamento allo stato attuale nei confronti dell’attività svolta dal commissario, devo dirlo in quest’aula, è estremamente negativo, me ne assumo la responsabilità»

Un giro di parole per una stroncatura netta. In ballo ci sono, come sempre, i soldi. Dalla Regione fanno sapere che sono pronti alla fase due per gestire l’emergenza. Si tratta di un pacchetto di circa centotrentadue misure (per lo più, escavazione di nuovi pozzi o manutenzione di quelli esistenti). Ma, mentre per i primi novantasei interventi c’è la copertura finanziaria (trentatré milioni di euro), per i restanti trentasei, la Regione aspetta ancora le risorse da Roma. 

A Caltanissetta, il presagio del nuovo aggravarsi delle cose ha avuto un segnale chiaro: l’arrivo in città di tre grossi silos inviati dalla Regione, e che le persone hanno subito ribattezzato, dato che Natale è dietro l’angolo, «panettoni». Erogheranno l’acqua che non si può più prelevare dalla diga Ancipa. In tutto, ne verranno collocati dodici, da diecimila litri ciascuno.Le istruzioni per i cittadini sono chiare: ognuno può andare e riempire i bidoni che ha, e solo quelli. 

Siccome la guerra dell’acqua è soprattutto una guerra tra poveri, le misure di sicurezza attorno a questi panettoni sono ingenti, e ricordano quasi l’operazione “Vespri siciliani”, quando lo Stato inviò l’esercito a presidiare i luoghi sensibili in Sicilia. Qui, invece, si presidiano i silos, per prevenire tumulti e furti, perché si vedono scene che rimandano alla guerra del pane dei Promessi Sposi. A vigilare sui i silos sono le associazioni dei militari in congedo, e i volontari della Protezione Civile. La notte, prima di andare via, mettono enormi lucchetti, e smontano i rubinetti.

Tutto questo avviene mentre la Sicilia è nella morsa del maltempo. È pioggia ingiusta, che arriva forte, tropicale, allaga strade e scantinati, fa chiudere le scuole, ferma i treni. Ma non disseta, non allevia l’arsura. Come se ci fosse un regista occulto che si diverte a mettere i siciliani sulla corda, poi, piove troppo nelle fragili città, e pochissimo nella Sicilia interna, nelle campagne. Lo ammette sconsolato anche Salvo Cocina, responsabile della Protezione Civile in Sicilia: «Piove dappertutto, tranne dove serve».

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