Qualcuno alza già gli occhi al cielo quando sente parlare di panettone. E non per cercare la romantica cometa che porta alla grotta del Dio bambino, ma perché vorrebbe imprecare, stufo dell’assillante conversazione che si genera intorno al lievitato di Natale.
Già da novembre la discussione si accende tra gare mondiali e comunali di panettone, classifiche personali o con team di numerosi esperti che si riuniscono per decidere il migliore panettoni dell’anno. Al Consiglio superiore della magistratura si scompongono sicuramente meno per valutare i magistrati.
Ma per quanto si possa stressare con il migliore panettone, per quanto il mercato inizi a essere saturo di lievitati artigianali da mangiare entro il sei gennaio, ci dimentichiamo dell’impegno che un prodotto come questo richiede ai laboratori e ai loro artigiani. Un impegno di risorse ingenti, che vanno dall’acquisto di ingredienti costosi al tempo passato dentro i laboratori. Questo è il panettone artigianale: lo sforzo produttivo di un professionista che, se va bene, viene ripagato con il successo di aver portato a termine una delle lavorazioni più sfidanti della pasticceria, oltre che una discreta fetta di guadagno a chiusura dell’anno fiscale.
Per capire meglio il dietro le quinte del panettone, abbiamo fatto un giro su Milano, per scoprire cosa accade a novembre dentro i laboratori. Abbiamo scelto realtà riconosciute e apprezzate, ma di diverse dimensioni: Pasticceria Marchesi, Pavé e Tone.
Storie diverse, produzioni quantitativamente agli antipodi per alcuni, eppure accomunati dalle stesse sfide e smossi dalle stesse emozioni.
Questo articolo nasce dalla curiosità scaturita durante una visita nel laboratorio centralizzato di Pavé, lo scorso anno, dove Giovanni Giberti, pasticciere e uno dei tre soci del progetto di pasticceria (e non solo) che da dodici anni migliora la colazione di Milano, raccontava la riorganizzazione delle attività di laboratorio in vista della produzione di Natale.
«Il panettone impatta tanto nell’organizzazione del lavoro. Cambiamo gli orari di turnazione. Chi fa il turno pomeridiano slitta e finisce alle 21 perché si occupa dell’impasto. Impastiamo alle 18 e serve poi il tempo per estrarre il prodotto e ripulire tutto. Se durante l’anno accade una volta a settimana (Pavé vende il panettone tutto l’anno), adesso è giornaliero, per l’intensificarsi della produzione. Si allungano le ore di lavoro per un mese».
Giovanni conferma la fatica di questo periodo dell’anno, ma che gli dà grandi soddisfazioni nonostante sia lui, da owner, a farsi onere dell’extra lavoro per non sovraccaricare i dipendenti. Che il lavoro aumenti è evidente anche dall’ingressi di nuovi dipendenti che arrivano sempre in questo periodo dell’anno. Diego Bamberghi, altro socio di Pavé insieme a Luca Scanni, ci tiene a sottolineare che il rinforzo del personale non è direttamente indotto dal panettone, ma da un generale aumento del lavoro, compresi gli sfogliati da colazione, che interessano le pasticcerie nel periodo invernale.
Anche lo spazio può rappresentare una sfida, specie per le realtà di quartiere come Tone, il laboratorio del pane conosciuto per i lievitati ispirati alle tradizioni di diverse parti del mondo. Se sui pani si guarda al mondo, sul dolce del Natale si gioca in casa. Giovanni Marabese ci racconta che da novembre a dicembre il laboratorio si adegua alla produzione del panettone che ha processi ben più lunghi del pane, con lievitazioni che durano tutto il mattino per poi cuocere al pomeriggio. «Questo stravolge un po’ il lavoro e gli spazi di un forno come Tone».
Cosa significa fare il panettone
Si capisce allora che per fare fronte alla produzione del dolce di Natale, prima di ogni cosa, prima dell’acquisto di qualsiasi buon ingrediente, serva solo una cosa, ed è Diego Crosara, maestro pasticciere di Pasticceria Marchesi 1824 (che ha celebrato i suoi primi duecento anni con un libro) a metterlo subito in chiaro: « Per gestire la produzione del panettone serve organizzazione, che si tratti di un piccolo o grande laboratorio. Questo perché, afferma Crosara, la gestione degli ingredienti è suscettibile a variabili che possono alternarne il risultato. All’organizzazione si unisce la competenza teorica, aspetto non banale.
«Il lievitato ha ingredienti nobili che vanno gestiti a certe temperature. Quindi serve avere preparazione non solo teorica, ma capace di rispondere a eventi, come ad esempio una variazione di temperatura all’interno del laboratorio, che possono andare a compromettere i tempi di produzione, nonché il risultato finale. Serve quindi una capacità manuale per poter intervenire anche al variare di certe condizioni.
Fare il panettone non è come fare una torta. Non si butta via l’impasto e si ricomincia, perché, come ci raccontano i professionisti, la preparazione di un panettone richiede tre giorni di lavoro, non certo qualche ora. È evidente che sbagliare una produzione significa una perdita di tempo e risorse che possono pesare all’attività. Questo contribuisce al valore finale del lievitato una volta inscatolato.
Nella conversazione, tutti hanno poi fatto emergere una questione che per un consumatore non è scontata: il panettone è un prodotto vivo. Come tutti i lievitati questi impasti sono assai suscettibili. Non basta seguire una ricetta, ma serve controllare i tempi e le temperature. Il lievito madre, poi, è la parte viva che necessita di attenzioni costanti, di cura umana affinché sia sempre in forze per dare la spinta vitale al panettone.
Tutti i nostri intervistati non hanno esitato alla domanda su quale fosse l’aspetto più difficile del panettone: «La gestione del lievito», ti rispondono.
Chi lavora al panettone?
Il numero di persone che in un laboratorio si occupano del panettone varia a seconda dal quantitativo di prodotto che si intende produrre. Quel che è certo è che tutti i pasticcieri e artigiani del lievitato sono pronti a investire molte ore di lavoro nel mese che anticipa il Natale.
Pavé e Tone allungano i turni di lavoro, ma nessuno va oltre gli orari spingendosi al turno di notte. Questo grazie alla tecnologia, su cui un pasticciere di grande esperienza come Crosara spende delle parole molto interessanti: «Iniziamo a lavorare presto al mattino, ma la tecnologia ha migliorato la qualità della vita in laboratorio. Le celle di lievitazione programmabili ci facilitano il lavoro e permettono al pasticciere di risparmiare ore di lavoro e avere prodotti migliori. Questa è la vera evoluzione della pasticceria».
Ma se la tecnologia è a supporto, il lavoro del panettone artigianale è un’operazione che richiede la cura umana, dal suo impasto, passando per controllo delle lievitazioni, pirlatura, cottura, raffreddamento e confezionamento.
Panettone a tutti i costi?
Nessuno ha fatto trasparire la fatica di questo periodo dell’anno dentro il laboratorio. «Fare il panettone è uno stress mentale per un pasticciere» dice Giovanni, proprietario di Tone, perché si è focalizzati sul risultato. Ma è anche una piacevole sfida, conferma il team del laboratorio.
A prescindere che si tratti di una produzione del Natale o continuativa, il panettone è un impegno che dura lungo tutta la vita di un laboratorio. Ogni nuova produzione è una sfida al rialzo verso la produzione precedente. Per Giovanni, pasticciere e co-owner di Pavé, sono serviti dieci Natali per arrivare a un risultato che oggi definisce ottimale. E il lavoro di miglioramento è costante, vivo quanto il lievito.
Costa fatica il panettone, ma costa denaro a chi lo compra. La ragione di questo articolo serve anche per spiegare i costi del panettone rappresentati in buona parte dalle materie prima di qualità, ma anche dal tempo che un lavoro artigiano e complesso richiede.
Oggi il lievitato del Natale non rappresenta più, come diversi anni fa, una grossa opportunità di guadagno per i laboratori che lo producono. E i motivi sono dati dall’estrema frammentazione delle produzioni (anche il panificio sotto casa fa il suo panettone) e l’aumento del prezzo degli ingredienti. Secondo Tone i rincari sono importanti: «Dal cioccolato ai canditi, e al burro. Il nostro fornitore di burro ci ha presentato rincari del 15 per cento. Con il cioccolato stiamo un più 150 per cento e il suo aumento continua».
Eppure fare il panettone, secondo gli artigiani, ha ancora senso. Se un tempo era una questione legata in gran parte ai guadagni oltre che alla soddisfazione personale, oggi i motivi sono diversi.
«Fare il panettone – racconta il proprietario di Tone – è anche una questione di immagine, è un modo per risultare tra i forni più importanti e interessanti. Noi non facciamo croissant perché li fanno tutti e ci impegniamo a fare prodotti che siano di stimolo alla diversità, ma non fare il panettone perché lo fanno tutti è sbagliato, perché si parla di un dolce importante, è qualcosa di simbolico. Ma non mi piace l’idea di farlo tutto l’anno, perché nella stagionalità del prodotto si esalta il suo stesso senso».
Pavé, invece, il panettone lo offre ai suoi clienti tutto l’anno, ma ha lavorato molto per non dipendere da questo prodotto: «L’obiettivo è stato quello di creare un’attività che non avesse bisogno del panettone per stare in piedi. All’inizio non è stato così, ma già da tre anni il nostro modello di impresa non è dipeso dal lievitato di Natale». Eppure, per loro questo prodotto rimane sicuramente identitario della città e della loro offerta.
Il futuro del panettone
Viene da chiedersi fino a che punto sia sostenibile produrre questo dolce con le condizioni attuali. Al netto del suo fascino, è indubbio come il panettone rappresenti uno sforzo produttivo che richiede più lavoro (e meglio pagato) e maggiori risorse. Tutti aspetti sempre più difficili da assorbire al punto che ricadono anche sul cliente. Quest’anno in molti produttori aumenteranno il prezzo dei panettoni, specie i gusti al cioccolato perché il prezzo del cacao è molto aumentato.
Il più senior degli intervistati, Diego Crosara di Pasticceria Marchesi, ci offre uno sguardo interessante sul futuro del panettone. «Negli ultimi dieci anni c’è stata una grande attenzione del pubblico verso il panettone grazie a un lavoro di gruppo dei pasticcieri per portare il prodotto ai massimi livelli. Tutti hanno studiato e fatto ricerca, alzando molto il livello. Ma alzando ulteriormente il livello non vorrei che questo ci portasse a fare, sul mercato del panettone artigianale, una guerra dei prezzi. O magari una selezione dove rimarranno i migliori. Quando la qualità si alza troppo si perde l’interesse del consumatore di andare da una parte o dall’altra del mercato».
Quanto il panettone è tradizione e quanto è diventato velleità? C’è da chiederselo per capire cosa muove gli artigiani nel produrlo e i consumatori nello sceglierlo.
Nell’eccesso di conversazioni, di classifiche e complimenti sembra che ci dimentichiamo del motivo che lo rende prezioso o finiamo col ridurlo a qualcosa di lusso, senza sapere perché. Da prodotto artigianale a status symbol del Natale. Ma nell’era in cui anche i brand di moda del lusso iniziano a scricchiolare, cosa possiamo aspettarci da un panettone?
Forse questo sarà il primo Natale in cui vedremo la saturazione del mercato del lievitato artigianale. Persino l’industria ci sta fornendo segnali, con l’innalzamento della qualità a cui stanno lavorando molti marchi.
Mettere in pratica le competenze tecniche e mostrare il meglio è un dovere per un artigiano, che si deve sentire libero di poter produrre un panettone anche se questo significa farlo pagare tanto per compensare le spese degli ingredienti e del lavoro. Ma il giorno in cui un panettone artigianale costerà troppo o troppo poco dovremo riconoscere di aver messo in crisi una tradizione.
Lavorare meno al proprio lievitato per trovare il tempo utile a capire (e spiegare ai consumatori) come tutelarli tutti, potrebbe essere un modo per mantenere vivo il panettone nel tempo. Perché non basterà più solo il lievito.