L’Unione europea deve prepararsi a un mondo sempre più pericoloso, a minacce nuove e diverse rispetto al passato, a crisi sanitarie e ambientali difficilmente prevedibili. La sicurezza e la pace dei cittadini europei non è più scontata come lo è stata negli ultimi decenni. E gli avvenimenti recenti, dalla pandemia all’invasione su vasta scala dell’Ucraina, ne sono una dimostrazione. L’Europa non deve solo prepararsi a sopravvivere in un mondo più ostile, ma deve anche imparare a crescere e prosperare in scenari mutevoli. Per farlo, non può rinunciare a una riforma del ruolo delle istituzioni europee, con una nuova integrazione, anche perché al momento gli Stati membri hanno modelli diversi di gestione delle crisi, con priorità diverse, e diverse percezioni delle minacce. Per superare queste divisioni, l’unica opzione rimasta sul tavolo è un’integrazione più forte e definita, un salto di scala simile a quello visto nel secondo Dopoguerra.
L’avvertimento arriva da un rapporto presentato mercoledì a Bruxelles dall’ex presidente finlandese Sauli Niinistö, nelle vesti di consigliere speciale della Commissione europea. L’idea di preparare l’Europa a un mondo più pericoloso è il messaggio centrale del documento di centosessantacinque pagine intitolato “Rafforzare la preparazione e la prontezza civile e militare dell’Europa” richiesto a marzo dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Se la prima necessità è mettere gli Stati membri in condizione di «contrastare tutti i rischi» garantendo ai Ventisette infrastrutture, servizi di base, sicurezza degli approvvigionamenti, sicurezza della popolazione, l’unico modo per riuscirci è passare da un modello reattivo a una preparazione proattiva, che significa soprattutto «cambiare nell’atteggiamento, passare a un nuovo stato mentale: dobbiamo imparare a fidarci gli uni degli altri».
Il rapporto dell’ex presidente finlandese propone un cambiamento radicale nel modo in cui pensiamo e costruiamo la risposta dell’Ue alle crisi. Al momento, ad esempio, a Bruxelles non c’è nemmeno un piano d’azione in caso di aggressione armata contro uno Stato membro, un’ipotesi non più così remota vista l’aggressività della della Russia di Vladimir Putin. «La nostra capacità di risposta alle minacce più gravi – avvisa Niinistö – è limitata da impedimenti istituzionali, legali e politici che rendono troppo difficile riunire rapidamente gli attori rilevanti per affrontare le minacce e gestire una crisi importante».
Rispetto a cinque anni fa, l’Ue è certamente migliorata in questo senso, grazie alle recenti esperienze. Ma non basta, anche perché le crisi non si verificano mai in compartimenti stagni o in successione ordinata: sono sempre interconnesse. E l’Ue non può farsi cogliere di sorpresa da eventi che invece potrebbe prevedere.
L’esempio più evidente dell’incapacità di preparazione europea è nel settore della difesa e della sicurezza militare. L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato che purtroppo ci vogliono due persone per mantenere la pace, ma ne basta una per iniziare una guerra. E l’Europa, senza il contributo degli Stati Uniti, è un attore troppo debole sul piano militare e strategico.
«L’Ue deve assumersi una maggiore responsabilità strategica per la sicurezza in Europa, e questo deve riflettersi pienamente nella nostra preparazione», scrive Niinistö. «Questo è un segnale importante per gli Stati Uniti e altri partner chiave con cui abbiamo un interesse comune a continuare e approfondire la nostra stretta cooperazione di lunga data. Se non stiamo facendo tutto il possibile per la nostra sicurezza, non possiamo chiedere a nessun altro di farlo per noi. La necessità di una maggiore responsabilità europea per la sicurezza va al di là delle singole elezioni o dei cicli politici negli Stati Uniti. Più siamo pronti a lavorare insieme come Unione europea, più possiamo aspettarci che i nostri partner siano disposti a contribuire alla nostra preparazione condivisa».
Si vis pacem, para bellum. Prepararsi alla guerra è propedeutico al mantenimento della pace. «Il rischio di un’aggressione russa oltre i confini dell’Ucraina non può più essere escluso», avverte ancora l’ex presidente finlandese. «Prepararsi a questo non vuol dire cercare l’escalation, ma è un modo per scoraggiare la Russia o qualsiasi altro attore dal prendere di mira l’Unione e i suoi membri. Migliorare le capacità di difesa dei singoli Stati è necessario per garantire che siano in grado di sostenersi a vicenda, in linea con i loro obblighi derivanti dal trattato UE, e in questo modo contribuire a una deterrenza rafforzata». Inoltre, si legge ancora nel documento, l’Europa «dovrebbe aumentare i suoi finanziamenti per la difesa a un ritmo molto più rapido, in modo da poter passare dalle esigenze civili a quelle militari in caso di crisi, ha avvertito».
Gli europei avrebbero molto da imparare dall’Ucraina su come organizzare la propria difesa. Gli ucraini stanno combattendo contro una combinazione di mezzi di guerra ibridi e convenzionali in tutti i settori. Ad esempio, hanno imparato a usare l’intelligence in modo efficiente per supportare il processo decisionale, per portare rapidamente al fronte nuove innovazioni tecnologiche, come i droni poco costosi. Ma hanno anche sviluppato la capacità logistica e organizzativa per accogliere enormi quantità di armi e munizioni e per addestrare e mobilitare centinaia di migliaia di truppe. Ogni giorno, Kyjiv dimostra come ci si difende in una lunga guerra di logoramento contro un aggressore come la Russia. E l’Europa dovrebbe prendere appunti.
Servirebbero anche un servizio di intelligence europea e un nuovo strumento di spesa comune per raggiungere gli obiettivi individuati dal rapporto: «Almeno il venti per cento del bilancio complessivo dell’Ue dovrebbe essere contribuire alla sicurezza e alla preparazione alle crisi». Perché è vero che la preparazione ha un costo, «ma è inferiore a quello che dovremmo sostenere se dovessimo affrontare una crisi grave».
La sicurezza del continente passa anche da una maggior integrazione tra Unione europea e Nato. «Oggi ventitré dei ventisette Stati membri dell’Ue sono nell’Alleanza Atlantica. E la Nato è il fondamento della difesa collettiva dei suoi membri e il fondamento della sicurezza dell’Europa rispetto alle minacce militari», scrive Niinistö. «Tuttavia, un’aggressione contro uno Stato membro dell’Ue appartenente alla Nato avrebbe un impatto fondamentale anche sull’Unione nel suo complesso. Sarebbe importante garantire che le due organizzazioni siano pronte a lavorare mano nella mano, con una chiara divisione dei compiti e vedere come la difesa collettiva ai sensi dell’articolo 5 e le misure nell’Ue si completino e si rafforzino reciprocamente nel modo migliore possibile». Ma non solo. Perché – e qui torna ancora utile l’esempio ucraino – nessuna difesa militare può avere successo se l’economia, i servizi di base e i beni essenziali per i civili non restano operativi, se non si può garantire la mobilità e la comunicazione dei militari e di altri attori della crisi, sostenendo al contempo il fronte, i cittadini e tutta la società.
Prepararsi alla guerra, dopotutto, non è una questione solo militare. Nell’ottavo capitolo del suo rapporto, Niinistö scrive che si costruisce resistenza reciproca con i partner anche partendo da una diplomazia europea più assertiva e convincente.
Il punto di partenza devono essere interessi comuni e valori condivisi. «L’Unione deve rimediare a una competizione strategica crescente in ambito internazionale, dal commercio alla connettività, sia nel sia vicinato che nei rapporti con il Sud globale», scrive Niinistö. «Per rispondere a questa sfida, ha già ampliato la sua offerta di investimenti per migliorare infrastrutture digitali, energetiche, sanitarie ed educative nei Paesi partner, puntando alla sostenibilità e al rispetto dei diritti umani attraverso il programma Global Gateway. Ma non tutti i partner accettano che le loro relazioni con l’Unione siano parte di una contesa globale, specialmente quando preferiscono mantenere una politica multi-partnership. In questo senso, l’Ue offre un’alternativa che rafforza l’indipendenza geopolitica di questi Paesi».
Negli ultimi anni l’Unione ha progressivamente ridotto l’assistenza a lungo termine in contesti fragili, come il Sahel o l’Afghanistan, principalmente a causa della crescente instabilità politica di quelle aree. Ma Bruxelles è ancora un’importante forza umanitaria, al fianco gruppi vulnerabili e nella promozione della sicurezza in regioni strategiche come l’Ucraina e il Medio Oriente, ma anche in Africa subsahariana. «Per proteggere un ordine mondiale basato sulle regole, in un contesto internazionale frammentato, l’Unione europea deve assumere un ruolo più assertivo e dinamico», scrive Niinistö. «Di fronte alla concorrenza globale, l’Unione ha bisogno di rafforzare le proprie partnership globali, valorizzando un approccio collaborativo di lungo termine, che sia percepito come solido e affidabile».
Il cambio di approccio proposto da Niinistö deve quindi essere universale, deve interessare tutti i settori e le attività europee: l’unico modo per poter affrontare le minacce esterne da una posizione di forza, possibilmente collaborando con Paesi alleati in tutto il mondo per rafforzare un ordine internazionale basato su regole condivise. In parte, l’aveva anticipato anche Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività presentato a settembre. E il legame tra competitività e sicurezza è strettissimo, e funziona in entrambe le direzioni. E solo un’Europa più integrata e competitiva economicamente, conclude Niinistö «è in grado di mantenersi al sicuro e influenzare gli sviluppi globali, anziché limitarsi ad adattarsi a essi, e di fornire il miglior ambiente per le aziende per crescere e avere successo».