Analfabeti d’ItaliaLe scarsissime competenze dei lavoratori italiani

Secondo l’ultima indagine Ocse, siamo agli ultimi posti tra i Paesi avanzati per abilità di calcolo e comprensione del testo. La povertà conoscitiva aumenta insieme a quella economica

(Unsplash)

I dati dell’indagine Ocse Piaac, la versione per adulti dell’indagine Pisa sulle competenze, collocano l’Italia agli ultimi posti tra i Paesi avanzati. A pochi giorni dal quadro impietoso fornito dal rapporto Censis sullo scarso livello di cultura generale del Paese, lo studio dell’organizzazione parigina dice che i lavoratori italiani nelle competenze di base come comprensione del testo, abilità di calcolo e risoluzione dei problemi hanno raggiunto sempre punteggi mediamente inferiori tra i trentuno Paesi presi in considerazione.

Rispetto all’ultima indagine del 2013, le cose sono anche peggiorate. Nonostante nella media i risultati siano rimasti invariati, le competenze si sono ridotte ancora per chi ne aveva già poche e sono invece cresciute tra chi le aveva già alte. Con il risultato di allargare le disuguaglianze nel mercato del lavoro. Con sempre più persone relegate in professioni poco qualificate e pagate poco, mentre le aziende faticano a trovare personale specializzato.

Ai primi posti della classifica mondiale ci sono Finlandia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. L’Italia è sestultima per capacità di lettura e comprensione del testo, quartultima per abilità di calcolo e terzultima per analisi dei problemi.

Gli intervistati italiani hanno ottenuto in media 245 punti in comprensione del testo (contro una media Ocse di 260), 244 in abilità di calcolo (contro una media Ocse di 263) e 231 nella capacità di risolvere i problemi (contro una media Ocse di 250). E più di un quarto degli italiani ha raggiunto un punteggio complessivo pari o inferiore a uno, in una scala da uno a quattro.

Nella comprensione del testo il 35 per cento è arrivato un punteggio pari o inferiore al livello uno, contro una media Ocse del 27 per cento: chi rientra in questo livello riesce a comprendere solo testi brevi ed elenchi organizzati quando le informazioni sono chiaramente indicate. Chi è rimasto sotto il livello uno, invece, sa al massimo comprendere frasi brevi e semplici. All’opposto solo il 5 per cento degli adulti ha superato il livello quattro, meno della metà della media Ocse del 12 per cento.

Quanto alle competenze matematiche, i risultati sono perfino più bassi rispetto all’indagine del 2013: più di due terzi dei rispondenti si limita a saper fare calcoli semplici su numeri generici e soldi, ma fa fatica con calcoli che richiedono più passaggi.

E i risultati peggiorano ulteriormente per le capacità di risolvere problemi in modo «adattivo». In Italia il 46 per cento dei rispondenti si colloca tra livello uno o al di sotto, contro una media Ocse del 29 per cento. Al livello uno si riescono a risolvere solo piccoli problemi con poche variabili. Solo l’1 per cento si colloca sopra al livello quattro, che prevede una capacità di adattarsi anche a cambiamenti improvvisi.

«La performance è costantemente inferiore rispetto alla media», scrive l’Ocse. E il divario tra gli adulti con competenze più elevate e quelli con livelli più bassi si è ampliato negli ultimi dieci anni.

Un record negativo per un Paese con una produttività bassissima, che però non viene neanche controbilanciato dal capitale umano apportato dall’immigrazione. Poiché, come spiega l’Ocse, l’esclusione sociale degli stranieri genera a cascata anche la povertà educativa e poi economica.

Dai risultati Ocse, viene fuori infatti come i nati da genitori italiani mostrino una comprensione del testo maggiore rispetto a rispondenti stranieri nati da genitori stranieri. Secondo l’Ocse, però, una parte di queste differenze dipende soprattutto dalla condizione economica e dal contesto sociale. Anche tra chi è nato da genitori italiani, infatti, se è figlio di persone più istruite mostra risultati migliori, soprattutto per comprensione del testo e abilità di calcolo. È il famoso ascensore sociale bloccato, che non viene sbloccato dall’istruzione scolastica.

Ma c’è anche una differenza generazionale. I più giovani ottengono risultati migliori per tutte e tre le competenze. Una tendenza che si nota nella maggior parte dei Paesi analizzati, ma in Italia il divario è mediamente meno ampio. Il che non è però necessariamente una buona notizia, perché dipende dagli scarsi risultati dei più giovani e non da un buon livello di istruzione delle persone più adulte.

E questo è evidente anche dal fatto che le differenze più marcate tra l’Italia e il resto dei Paesi si nota nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni. I laureati italiani, seppure ottengano risultati più alti dei connazionali con titoli di studio più bassi, hanno competenze inferiori dei diplomati finlandesi. La differenza, nel confronto internazionale, la fa quindi anche la formazione professionale e continua, che in Italia è ancora scarsissima.

Le conseguenze, però, si vedono poi sull’accesso al mercato del lavoro e sulle retribuzioni ottenute, confermando il legame tra povertà educativa e povertà economica. Il peso delle competenze persiste infatti anche quando si paragonano persone con lo stesso titolo di studio. Chi ha più alte capacità di calcolo ha sette punti percentuali in più di probabilità di avere un lavoro e un rischio di essere disoccupato inferiore del tre per cento. Chi ha maggiori abilità coi numeri ha in media uno stipendio del 5 per cento più alto.

Ma un Paese con competenze medie così basse è condannato anche ad avere bassa produttività del lavoro e stipendi medi più bassi. Ripartire dall’istruzione, a tutti i livelli, secondo l’Ocse, resta la priorità.

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