L’anno che verrà Ci tocca sperare nella vanità di Trump

La migliore garanzia per l’Ucraina potrebbe derivare dalla suscettibilità infantile del presidente americano, qualora l’arroganza di Putin gli facesse correre il rischio di sembrare un loser in chief

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. O in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia dal 28 dicembre.

Donald Trump è un personaggio imprevedibile, ma allo stesso tempo è anche l’uomo più prevedibile del mondo. Sappiamo già che cosa farà, non illudiamoci che una volta che si sarà installato alla Casa Bianca metterà la testa a posto.

Trump non ha la testa a posto. L’ultimo atto da presidente, nel gennaio 2021, è stato quello di istigare un assalto armato al Congresso, dopo aver tentato in tutti i modi di non far certificare il risultato elettorale.

Da lui dovremo aspettarci qualsiasi cosa, anche in questo sequel alla Casa Bianca: sia la realizzazione delle più bieche e vili promesse elettorali sia l’esatto contrario, a seconda di come gli girerà al momento, ma questa volta senza quei guardrail che, durante il suo primo mandato, i pochi adulti dell’Amministrazione avevano costruito a protezione del Paese dai suoi testacoda.

Trump non ha un’ideologia coerente e definita a informare la sua agenda politica, ha solo istinti autoritari e un’unica priorità: la salvaguarda del suo brand.

L’ideologia di Trump è il marchio Trump, è Trump medesimo. Le cose che farà o non farà saranno sempre e comunque volte a rafforzare la ditta, e gli affari, compresi quelli familiari (ai più attenti non sarà sfuggito che la prossima senatrice della Florida sarà sua nuora Lara; né che Trump ha scelto come ambasciatore in Francia il consuocero Charles Kushner che già alla fine del primo mandato aveva graziato dopo la condanna per evasione fiscale e corruzione di testimone; né che l’altro consuocero, Massad Boulos, è stato nominato inviato speciale in Medio Oriente forte di un curriculum da grande impreditore miliardario, salvo poi essersi scoperto che in realtà è un mitomane, impiegato in una concessionaria di camion in Nigeria, di cui possiede un pacchetto azionario del valore di un dollaro e mezzo; né che, poco dopo il gossip sulla relazione tra suo figlio Donald jr. e un’influencer della Florida, Trump ha annunciato che Kimberly Guilfoyle, ex promessa sposa di Donald jr., sarà la nuova ambasciatrice americana in Grecia, spedita in un Paese lontano dal giovane Trump, ma comunque ben sistemata).

Al di là di queste miserie da satrapo mediorientale, a partire dal 20 gennaio 2025 saranno due le cose più importanti del secondo tragico Trump per l’Europa: le tariffe che imporrà sui beni che, soprattutto noi italiani, esportiamo in America, e le decisioni che prenderà sulla sicurezza dell’Unione europea e sulla difesa dell’Ucraina dall’imperialismo criminale russo.

Sui dazi, Trump lascia intendere che deciderà caso per caso, Paese per Paese, simpatia per simpatia, e così Giorgia Meloni spera di limitare i danni, magari facendosi dare una mano dal co-presidente ombra Elon Musk, ormai di casa a Palazzo Chigi, almeno finché la bromance fra i due oligarchi americani durerà.

Vedremo se prevarrà il Trump prevedibile o quello imprevedibile, ma è sulla difesa europea e dell’Ucraina che sentiremo i maggiori effetti del suo arrivo alla Casa Bianca.

Trump vuole abbandonare l’Ucraina e costringere l’Europa a pagarsi la sicurezza: a metà dicembre ha detto che si aspetta che gli europei contribuiscano ai costi Nato versando il quattro per cento del Prodotto interno lordo, ovvero il doppio dell’impegno del due per cento che già non riusciamo a sostenere. Altrimenti, per lui la Nato può benissimo chiudere i battenti. Nell’uno e nell’altro caso, l’Europa dovrà trovare i fondi per finanziare la difesa, tagliando previdenza, sanità e istruzione, e alzando le imposte.

C’è una terza possibilità: consegnarsi alla Russia, cosa che piacerebbe a molte forze politiche che si abbeverano alla propaganda di Mosca, ma non vorrei dare ulteriori idee ai bipopulisti.

La questione ucraina è la più urgente, l’ultima rete di protezione prima della capitolazione europea. Se aiutassimo adeguatamente Kyjiv a respingere e a sconfiggere la Russia, già uscita a pezzi dalla Siria e impantanata nell’Ucraina orientale, potremmo pianificare con calma la necessaria trasformazione dell’Europa in un continente militarmente autosufficiente.

Se invece l’Ucraina cedesse, perché Trump le taglia i viveri, saremmo tutti nei guai già nel 2025. Le parole di Trump sono state inequivocabili fin qui, e alcune delle sue nomine nelle posizioni chiave di governo vanno nella direzione del cedimento strutturale alla Russia, altre meno.

I piani per l’Ucraina sono stati anticipati da Trump stesso (pace al primo giorno, e altre fregnacce), dal vicepresidente JD Vance (uno dei più feroci anti ucraini di Washington) e da molti altri esponenti del nuovo governo americano.

Tutti questi piani sono incentrati sulla capitolazione di Kyjiv. L’ex generale Keith Kellogg, nominato da Trump come inviato in Ucraina e Russia, ha scritto il progetto più completo per l’America First Policy Institute, ma è un ingenuo e illusorio appello alle due parti a cristallizzare il conflitto, cosa che la Russia non ha alcuna intenzione di fare, e senza alcuna garanzia di sicurezza per l’Ucraina.

Alla fine, anche un buono a nulla, ma capace di tutto, come Trump non potrà regalare l’Ucraina e l’Europa a Putin, perché per il suo brand sarebbe un colpo mortale essere ricordato come il primo presidente americano che si inginocchia a Mosca e perde l’Europa.

Qualsiasi altra soluzione più ragionevole, centrata sullo scudo Nato dell’Ucraina, del resto sbatterà contro il muro di Putin.

Paradossalmente, la maggiore garanzia per l’Ucraina è proprio l’arroganza imperiale di Vladimir Putin che potrebbe arrivare a irritare la vanità infantile di Trump e a macchiare la reputazione vincente del suo marchio, fino a costringere il troppo prevedibile Trump anti ucraino a diventare imprevedibile per evitare di passare alla storia come un loser in chief, un perdente come nessuno mai.

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. O in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia dal 28 dicembre.

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