La Grinch“Love, actually”, “Piccole donne” e altri consigli per (non) superare il Natale

L’interpretazione sonciniana dei doni che riceverete a un pranzo interminabile con parenti che detestate, salvo poi lamentarvi dell’impossibilità di passare più tempo in famiglia. Occhio al cavatappi a forma di delfino

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Sono così vecchia da ricordarmi l’autunno del 2003, quando “Love, actually” ci sembrava un’immane schifezza: una commediola non particolarmente riuscita scritta dal tizio che prima di allora ci aveva dato capolavori quali “Quattro matrimoni e un funerale” e “Notting Hill” e “Bridget Jones”.

Se vivi abbastanza a lungo, vedi i tuoi coetanei diventare nostalgici proprio di tutto, e quindi ora a ogni Natale ci tocca vedere gente che spaccia “Love, actually” per capolavoro, e fin lì. La cosa grave è che ci spacciano Emma Thompson per colei che viene trattata peggio nella storia della tragedia amorosa degli ultimi tremila anni.

Ora, se vivete su questo pianeta già sapete, sennò sono costretta per spiegarvi il punto a svelarvi che in “Love, actually” Alan Rickman, marito di Emma Thompson, compra un collier. Per l’amante. La moglie pensa sia per lei, ma quando apre il pacchetto quadrato ci trova “Both sides now”, il cd di Joni Mitchell. Il che fa certamente di lui un coglione spilorcio (compra due collane uguali, tutto dobbiamo spiegarti: non l’hai visto “Sapore di mare 2”?), ma non è certo il peggior regalo del mondo. Voglio dire: Joni Mitchell.

Poteva andare molto peggio: poteva regalarle “Piccole donne”, il libro che una volta si abbandonava dopo le scuole e che adesso – che possiamo concederci il lusso dell’infantilizzazione perpetua – quarantenni con velleità intellettuali continuano a dichiarare il loro romanzo preferito: quello che comincia con la frase «Natale non sarà Natale senza regali».

Ai tempi di “Piccole donne” (metà Ottocento: “Piccole donne” è il romanzo scemo a latere della guerra civile americana, “Via col vento” è quello intelligente) non andava questa cosa di regalare le esperienze, adesso sì, quindi “Love actually” sarebbe di più difficile realizzazione: il disamore di un marito che ti regala un buono per la palestra è evidente, è l’equivoco che è più complicato. Magari lei pensa che nella busta ci siano due biglietti per le Maldive?

L’esperienza che vi regalo io è l’interpretazione dei doni che riceverete a un pranzo interminabile con parenti che detestate, pranzo che non vedrete l’ora finisca salvo poi, la settimana prossima, lamentarvi dell’impossibilità di passare più tempo in famiglia, impossibilità causata dal liberismo selvaggio che vi vuole competitivi (come no).

Procediamo coi regali, dunque.

L’esperienza, appunto: un buono per qualcosa. Ve lo regala in genere una cognata che non vi vede mai e non ha idea dei vostri gusti né vuole incomodarsi a saperli. Un buono per un massaggio (senza lieto fine: siamo pur sempre in famiglia), per un’ora di yoga di quello che si fa nella sauna (in genere finisce a bestemmie), per un corso di cucina (se siete autrici di parte del pranzo di Natale, è in genere il modo di dirvi che li avete fatti mangiare uno schifo), per una escape room (che se siete normodotati riciclerete o semplicemente lascerete scadere). È la versione ipocrita di quando vostra nonna vi allungava la busta di contanti.

Una sciarpa. Ve la regala quel cugino che, unico abbastanza strategico da organizzarsi per tempo coi regali, ne ha prese dieci uguali ai saldi del Black Friday d’una qualche azienda presso la quale non vi comprerebbe mai un regalo a prezzo pieno. Con l’ottanta per cento di sconto, ha portato invece a casa il regalo per voi, per le sue vicine di scrivania, per la cameriera (che lui chiaramente chiama «signora che ci aiuta in casa»). La sciarpa è progettata per sembrare di cashmere fino al primo lavaggio, e poi diventare simile a un foglio usato di carta da forno.

“Corpo, umano”, il libro di Vittorio Lingiardi. Ve lo porge con gesti ed espressione che svelano intima soddisfazione per il regalo perfetto un amico d’infanzia con cui v’incontrate da sempre la mattina di Natale per lo scambio di regali. Quando lo guardate come mucca guarda treno, vi dice che l’avete chiesto voi: felici, eh? Voi avevate chiesto “Il corpo umano”, il disco di Jovanotti. Che non è ancora uscito, quindi il poverino non ha tutti i torti, e voi potevate esprimervi più chiaramente. Magari fargli vedere la copertina, così si sarebbe comunque sbagliato e vi avrebbe regalato “L’allegro chirurgo”.

I biglietti per Katy Perry a Bologna, nel novembre 2025. Tutti i promoter di tutti gli spettacoli dell’autunno 2025 si sono sbrigati a mettere in vendita i biglietti a Natale 2024, quando la gente ha soldi da spendere ed è disposta a comprare qualunque cosa, non avendo imparato la lezione durante la pandemia, quando i concerti vennero differiti a due anni dopo e chi voleva i soldi indietro perlopiù non li ottenne. Quando vostra cugina vi consegna tutta felice i biglietti per Katy Perry, vi chiedete se sia un regalo per lei stessa, che vuole la accompagniate – ma è peggio: ha visto che cercavate invano di procurarvi i biglietti per gli Oasis, e ha pensato che andasse bene un[‘]esponente qualunque della categoria «gente anglofona che farà concerti tra un anno».

Un profumo (non quello che usate abitualmente). Ve lo regala il nipote in carriera, troppo giovane per sapere che il profumo è la cosa più personale che esista e che nel mondo reale nessuno cambia profumo a casaccio, e troppo indaffarato per non comprare i regali al duty free: che offre una scelta limitata, e non gli sembrava il caso di presentarsi al pranzo di Natale con confezioni di cioccolatini o una bottiglia di cognac.

Un cavatappi a forma di delfino. Lo regalate voi, è ovviamente una citazione, nonché un ritorno alla normalità dei televisori e dei canali televisivi: quest’anno “Parenti serpenti” torna su La7, che ne aveva lasciato scadere i diritti e poi, come le mogli fedifraghe, quando ha visto che il film si era rifatto una vita su Netflix e Prime, si è ingelosita e se l’è ripreso. I nipoti si rifiuteranno di fare quella cosa antiquata che è vederlo in tv, e andranno a guardarselo in streaming sul telefono nelle loro camerette. Quand’eravamo piccoli i genitori ci mettevano il televisore in camera perché potessimo guardare una cosa diversa; adesso i piccoli se ne vanno in camera loro a guardare la stessa cosa nostra ma senza sorbirsi i nostri commenti. Che in effetti spesso non sono all’altezza: a chiunque abbiate regalato il cavatappi a delfino, scommetto che non vi ha ringraziato dicendo «Hai esaudito un sogno».

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