Il contoMance e pagamenti digitali, cosa cambia per gli esercizi commerciali?

Da due anni è in vigore la legge n.197 del 29 dicembre 2022 che prevede una fiscalità di favore per le mance nei pubblici esercizi, ma molte realtà non l’hanno ancora applicata. Cosa non funziona e perché?

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La gestione delle mance ai dipendenti da pagamenti digitali sembra essere una criticità e non un’opportunità per la maggior parte degli esercenti. Da cosa nasce questa percezione e perché sembra così difficile uscire da questa impasse? La nuova norma prevede che le mance non siano tassate con l’aliquota progressiva in funzione del reddito del lavoratore, ma con un’aliquota secca del cinque per cento, e che il datore di lavoro non paghi i contributi su questi importi. Nonostante queste premesse, le realtà che si sono adeguate alla normativa recente sono ancora poche e nel settore si percepisce una certa ritrosia nel farlo. Come mai?

Ci aiutano a fare chiarezza Luciano Sbraga, vice direttore generale di Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) Confcommercio, Giulia Romana Erba, dell’ufficio studi Fipe Confcommercio, Andrea Chiriatti, responsabile relazioni sindacali, previdenziali e formazione Fipe Confcommercio, e Ivano Asaro, direttore dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano.

Per poter fare un’analisi esaustiva e corretta del fenomeno, occorre partire dalla rivoluzione digitale che sta avvenendo nei pagamenti.

Secondo un’indagine Istat, i consumi quest’anno sono cresciuti poco, solo l’1,6 per cento, mentre i pagamenti digitali continuano a crescere in modo importante, anno per anno, segnando un +8,6 per cento nel primo semestre del 2024 rispetto al 2023, su un totale di 220 miliardi di euro di pagamenti. Un dato che aumenta ancora di più è poi il numero di transazioni, +15,6 per cento nei primi sei mesi del 2024, e questo significa che lo scontrino medio, per ogni transazione con carta, sta lentamente scendendo.

Nel 2024 e fino a ora si è registrato uno scontrino medio di 42,8 euro, contro un 44,8 euro a fine 2023. Questo significa che gli italiani si stanno abituando a utilizzare il pagamento digitale anche per spese sempre più quotidiane. All’interno dei pagamenti con carta c’è poi una categoria, quella dei pagamenti contactless, che nei negozi è diventata la normalità. Una modalità che cresce del 23 per cento in termini di euro transati rispetto all’anno scorso e con uno scontrino medio di 37 euro e mezzo, ancora meno dello scontrino con carta. Tra tutte le transazioni digitali, queste ultime sono sicuramente le più utilizzate, sia da giovani, sia da persone adulte. Per la prima volta a fine 2024 si arriverà a un pareggio tra pagamento digitale e contanti.

A questi dati che riguardano la popolazione italiana occorre aggiungere poi la percentuale di transazioni fatte dagli stranieri in visita nel nostro paese. Ebbene l’11 per cento dei pagamenti registrati dai Pos arriva da stranieri che pagano nei nostri locali. Più di una transazione su quattro riguarda pagamenti sotto i dieci euro, quasi l’ottanta per cento delle transazioni effettuate è al di sotto dei cinquanta euro.

«Questo studio – afferma Sbraga – mette in evidenza due aspetti: una crescita esponenziale dei pagamenti digitali rispetto al contante, divenuta ormai un trend strutturale, e la discesa dello scontrino medio con una facilità di pagamento dovuta agli strumenti innovativi ormai di utilizzo comune. In questa analisi si inserisce poi un’abitudine piuttosto diffusa in Italia, che è quella di lasciare la mancia. Come si fa se si utilizzano pagamenti digitali? È fondamentale trovare una soluzione».

Secondo una indagine che ha coinvolto circa ottocento realtà tra cui ristoranti, attività miste e bar, situati per la maggior parte in piccoli comuni, con una media di otto dipendenti e con una clientela composta in gran parte da residenti, si evince che il 62 per cento della clientela è abituato a lasciare una mancia, solitamente in contanti. Soltanto lo 0,8 per cento dei clienti la lascia con un pagamento digitale. E qui iniziano le criticità, perché se è vero che i pagamenti digitali saranno sempre di più, è anche vero che oggi, a disposizione degli imprenditori, non ci sono ancora gli strumenti adeguati per consentire a chi paga con carte, o con telefono, di poter lasciare una mancia.

E per aggirare il problema, le soluzioni trovate dai datori di lavoro hanno a dir poco del comico. Accade che si faccia un pagamento superiore rispetto allo scontrino fiscale, perdendo quindi la corrispondenza tra questo e la transazione, con il rischio di una sanzione. Oppure si aumenta il valore della transazione fiscale per poter includere la mancia, ma avendo battuto uno scontrino superiore a ciò che si è incassato, si pagheranno imposte su qualcosa che in realtà non si è ricevuto. Pochissimi hanno una cassa con la possibilità di battere la voce “mancia”: di questi l’87 per cento la devolve al personale per intero. Una parte trattiene invece una piccola percentuale per rientrare delle imposte che dovrà pagare sulla mancia incassata perché finita nel conto economico.

Altro tema scottante è poi la divisione delle mance. Come vengono ripartite? Tra tutti i dipendenti? Tra quelli di sala? Si lascia fare al personale? Le variabili sono molteplici.

Venendo quindi alla nuova norma che prevede un regime fiscale agevolato per le mance che transitano tramite pagamenti digitali, soltanto un imprenditore su tre è a conoscenza di queste regole, mentre il 69,8 per cento non ne sa nulla. Tra quelli che la conoscono, tuttavia, pochi la applicano. Non piace prima di tutto ai dipendenti che la trovano “complicata”. E anche gli imprenditori la giudicano negativamente.

Qui ancora due considerazioni: le mance sono tutte reddito da lavoro dipendente e come tali vanno tassate, sia quelle che transitano su Pos sia quelle che vengono date in contanti. Se i pagamenti digitali diventeranno maggioritari nei prossimi anni e i consumatori saranno sempre più abituati a usare la moneta digitale per fare tutte le transazioni, anche quelle più spicciole, la vorranno utilizzare anche per dare le mance. E se non troveranno il modo per farlo, perché gli imprenditori non avranno gli strumenti adatti per riceverla, finiranno per non lasciarla più. Sarà un problema solo per i dipendenti? Di certo no.

«Si verificano spesso – spiega la dott.ssa Erba – comportamenti borderline, dovuti alla mancata conoscenza della norma o mancato adeguamento degli strumenti tecnologici, che espongono le aziende a diverse criticità, per gestire una liberalità a favore dei dipendenti».

Perché quindi le imprese rischiano di incorrere in sanzioni?  Quali sono i rischi che l’azienda corre e quali le opportunità nell’adottare questa legge? Cosa è cambiato rispetto a prima?

«La voce secondo cui la norma introdurrebbe una tassazione prima inesistente è falsa» chiarisce Andrea Chiriatti. «Sul reddito da lavoro dipendente si pagano da sempre le tasse e i contributi». Dal 2023 in poi è entrato in vigore questo regime contributivo e di tassazione di miglior favore. La Federazione ha lavorato per sensibilizzare il governo a escludere questo reddito dal calcolo dei contributi: un vantaggio per i dipendenti e per il datore di lavoro. Per semplificare la questione mance, il datore di lavoro dovrebbe definire un regolamento aziendale da far sottoscrivere ai dipendenti, in cui vi sia il campo di applicazione (a tutti i dipendenti assunti a tempo indeterminato, part time, somministrazione e lavoro intermittente), la modalità di raccolta del denaro e di ripartizione tra i lavoratori.

«In definitiva – precisa ancora Chiriatti – la nuova legge porta con sé un vantaggio per entrambe le figure coinvolte, il datore di lavoro e il dipendente. Tenuto fermo che ogni centesimo che entra in una attività va tassato e diventa un reddito su cui l’azienda paga i contributi, in questo caso l’imprenditore non paga i contributi e il lavoratore ha una tassazione agevolata. Quindi non l’aliquota progressiva in funzione del suo reddito, ma l’aliquota secca del cinque per cento». Se i pagamenti diventeranno sempre più digitali, si capisce bene che sarà necessario fare chiarezza per non cadere negli errori citati precedentemente: fare una transazione diversa dallo scontrino o alzare il valore dello scontrino per allinearlo alla transazione. Gli imprenditori si trovano quindi dinnanzi alla prospettiva di dover gestire correttamente le mance che transito sul canale digitale.

«L’alternativa – conclude Ivano Asaro – sarà continuare a commettere errori grossolani oppure passare alla gestione digitale della mancia. La terza opzione potrebbe essere quella di rinunciare alle mance, perdendo però una somma importante per le tasche dei lavoratori (in questo settore si stima che le mance potrebbero ammontare a due/due miliardi e mezzo di euro). È chiaro quindi che se si scegliesse questa strada, il datore di lavoro si troverebbe ad avere dei grossi problemi con i propri dipendenti». Come in ogni situazione, considerare il cambiamento un’opportunità invece che una criticità è senza dubbio l’approccio migliore.

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