«Formare ed educare. I protagonisti per una nuova cultura del cibo». Il titolo dell’assemblea 2024 della Fipe, l’associazione di Confcommercio che raduna bar e ristoranti italiani, prova a guardare avanti in un settore economico che, dopo la pandemia, non è più lo stesso. Provando a spingere l’acceleratore perché la ristorazione italiana faccia finalmente un salto di qualità imprenditoriale, oltre la retorica del mangiar bene e della dieta mediterranea.
Perché nel Paese del ministero della Sovranità alimentare, degli stellati e dei puristi delle ricette, il tasso di sopravvivenza di bar e ristoranti in realtà resta molto basso, troppi si improvvisano ancora ristoratori «per necessità» in mancanza di alternative, gli istituti alberghieri continuano a perdere iscritti e la carenza di personale si fa ormai sentire da anni in un comparto che non gode certo di buona fama per la qualità del lavoro. Anzi.
Lino Enrico Stoppani, confermato alla guida di Fipe, nel suo discorso ha puntato tutto sulla necessità della formazione contro l’improvvisazione. «Esiste un’enorme differenza di longevità e impatto sociale», ha detto, tra «“imprenditoria per necessità” come forma di autoimpiego in assenza di alternative, e la cosiddetta “imprenditoria per opportunità”, di chi si mette in proprio con un progetto di vita e di sviluppo aziendale». Il settore della ristorazione «è stato meta d’elezione dell’imprenditoria di necessità, ma è oggi praticamente impossibile rimanere sul mercato se non si vira verso una prospettiva di opportunità, puntando sulle competenze».
Fipe con Treccani ha realizzato un nuovo master in gestione delle imprese della ristorazione rivolto agli imprenditori. Ci sono le iniziative delle singole imprese, come l’Università del caffè di Illy che ha compiuto da poco venticinque anni. Ma è ancora poco, in un Paese in cui negli istituti alberghieri si fanno poche ore di laboratori pratici e spesso mancano anche le materie prime per permettere a tutti i ragazzi di poter mettere le mani in pasta.
«La politica deve fare la sua parte», ha detto Stoppani. «Se da una parte, riconosce l’investimento professionale degli operatori, dall’altra, deve aiutare a ripristinare il principio “stesso mercato, stesse regole”, più volte leso negli anni, con la deriva normativa sulla sua legislazione, con la rimozione di molti vincoli per l’accesso al mercato e abbassando la dotazione dei requisiti professionali e morali necessari per l’esercizio delle attività di pubblico esercizio». E le conseguenze nel mercato della ristorazione italiana sono sotto gli occhi di tutti. L’elenco di Stoppani non dimentica nulla: «Bassa produttività e marginalità, diffusa concorrenza sleale, strisciante dequalificazione, alta mortalità delle imprese, crescita dei rischi igienico-sanitari e delle malattie cibo-correlate, riciclaggio di denaro con le infiltrazioni malavitose, declassamento reputazionale».
E la previsione del presidente di Fipe non lascia dubbi: «L’abbassamento dei requisiti per accedere ed esercitare la professione e l’assenza di qualsivoglia percorso di formazione continua e obbligatoria per chi voglia rimanere nel mercato, rischia di pregiudicare la nostra riconosciuta leadership sul cibo e penalizzare anche la nostra offerta turistica, con la necessità, quindi, che qualsiasi ipotesi d’investimento sulle competenze non può prescindere dalla contestuale revisione anche delle regole di accesso (e di mantenimento) alla professione».
Ma anche le imprese devono fare la loro parte. Stoppani si è rivolto agli associati perché rendano «più attrattivo il settore, favorendo maggiore consapevolezza sulla importanza della scelta del percorso formativo da parte degli studenti degli Istituti Tecnico-Professionali e, in prospettiva, anche migliori livelli retributivi e di welfare settoriale».
Il motivo per cui molti ristoratori oggi non trovano personale è che per anni in tanti hanno offerto lavoro di scarsa qualità. Oggi lavorare in ristorazione è percepito spesso come un lavoro di scarsa qualità, con scarse prospettive di carriera, stipendi bassi ed equilibrio con la vita privata nullo. Alcuni imprenditori, soprattutto i più grandi, stanno provando a invertire la rotta. Si cambiano i turni, si riducono gli orari, si aumentano gli stipendi. E il contratto collettivo della ristorazione, scaduto a dicembre 2021, è stato rinnovato solo a giugno 2024 con quasi tre anni di ritardo dopo mesi di trattative.
«Sul capitale umano ci giochiamo lo sviluppo delle nostre imprese, ma anche il “mito” della cucina italiana», ha messo in guardia Stoppani dal palco di Fipe, rivolgendosi anche al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e alla ministra del Turismo Daniela Santanchè, intervenuti nel corso dell’assemblea.
Contro le crociate alimentari del gastronazionalismo dilagante, Stoppani ha ricordato anche che «la cucina italiana non è fatta di “purismo” nelle ricette». Il comparto del cibo italiano, ha detto, «è un fattore di crescita economica, sociale e culturale», ma anche elemento di «appartenenza e differenziazione».
Stoppani ha chiesto che l’educazione alimentare diventi «una materia scolastica e i nostri ristoratori dovrebbero sentirsi ambasciatori quotidiani di questa missione». Anche perché l’altro problema è che gli italiani sembrano mangiare sempre peggio. Nel corso dell’assemblea, sono stati riportate le ricerche che vedono l’Italia al primo posto in Europa per obesità infantile, con una quota crescente dei ragazzi che saltano la colazione e consumano poca frutta e verdura.