Secondo Mario Draghi bisogna agire in fretta per contrastare il declino economico e sociale dell’Unione europea. Dal palco del Simposio annuale del Centre for Economic Policy Research (Cepr) di Parigi, l’ex presidente del Consiglio italiano ha delineato un quadro lucido e preoccupante lanciando un appello ai leader europei: se l’Ue continuerà a registrare il tasso medio di crescita della produttività del lavoro dal 2015, tra venticinque anni l’economia avrà le stesse dimensioni di oggi: «Un futuro di entrate fiscali stagnanti e di avanzi di bilancio per evitare che il rapporto debito/Pil aumenti». A preoccupare l’ex presidente della Banca centrale europea è il peso delle passività pensionistiche non finanziate nei ventisette Stati membri che oscillano tra il centocinquanta e il cinquecento per cento del Prodotto interno lordo. Un macigno per la sostenibilità fiscale europea
Draghi ha proposto un utilizzo più strategico delle risorse disponibili, spiegando come sfruttare appieno le nuove regole fiscali dell’Ue possa liberare fino a settecento miliardi di euro da destinare agli investimenti. «Rappresenterebbe un primo passo per rispondere al fabbisogno di investimenti pubblici, stimato in circa ottocento miliardi di euro all’anno per settori cruciali come energia, difesa, digitalizzazione e ricerca», ha spiegato l’ex presidente della Banca centrale europea. Secondo Draghi l’emissione di debito comune da parte dell’Ue potrebbe creare uno spazio fiscale aggiuntivo da destinare a periodi di bassa crescita. Ma «non possiamo iniziare a percorrere questa strada se non sono già in atto i cambiamenti nella struttura dei mercati che potrebbero aumentare i tassi di crescita potenziale nel medio termine»
Per sbloccare il potenziale economico europeo bisogna urgentemente completare il mercato unico e il mercato dei capitali. Secondo Draghi sono questi i meccanismi di base che guidano la crescita della produttività europea. «Le riforme di mercato sono necessarie affinché le politiche macroeconomiche abbiano pieno effetto, e politiche macroeconomiche pienamente efficaci sono necessarie affinché le riforme di mercato producano il massimo della crescita della produttività».
Draghi ha anche affrontato la questione del lavoro, evidenziando come le riforme strutturali non possano più limitarsi a promuovere flessibilità e bassi salari, come accadeva in passato. «Tutti i governi disponevano di uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna, ma almeno fino alla pandemia hanno scelto deliberatamente di non utilizzare questo spazio, preferendo lo sfruttamento della domanda estera e l’esportazione di capitali con bassi livelli salariali: questa costellazione non sembra più sostenibile».
Le riforme devono concentrarsi sulla riqualificazione dei lavoratori europei, promuovendo una crescita della produttività che li includa i lavoratori rendendoli protagonisti della transizione economica e non semplici comparse: «Ciò che intendiamo oggi per riforme strutturali è cambiato. Dieci anni fa, il termine era per lo più limitato a incrementare la flessibilità del mercato del lavoro e a comprimere i salari. Oggi significa aumentare la crescita della produttività senza sostituire il lavoro, ma piuttosto riqualificando le persone».
L’ex presidente del Consiglio italiano ha anche spiegato come i cambiamenti nello scenario mondiale stiano accentuando la vulnerabilità economica dell’Europa. Con il rallentamento dell’economia cinese e la crescente competitività delle sue aziende, l’Europa è diventata sempre più dipendente dal mercato americano. Ma «la nuova amministrazione statunitense sembra poco disposta a fungere da acquirente di ultima istanza per noi», facendo intendere la strategia deliberata degli Stati Uniti per riequilibrare la domanda globale, riducendo i surplus commerciali dei suoi principali partner, un fattore che potrebbe aggravare ulteriormente la debolezza strutturale europea se non verranno adottate misure di riforma e integrazione economica.
Nel finale del suo intervento, Draghi ha voluto ribadire l’importanza di preservare i valori fondanti dell’Ue. «Tutti desideriamo la società che l’Europa ci ha promesso, una società in cui possiamo mantenere i nostri valori indipendentemente da come cambia il mondo intorno a noi. Ma non abbiamo alcun diritto immutabile affinché la nostra società rimanga sempre come vorremmo. Dovremo lottare per conservarla. Sarebbe rassicurante credere che questi problemi non siano così gravi come sembrano e che, essendo un continente ricco, l’Europa possa entrare in una fase di declino gestito e confortevole. Ma in realtà non c’è nulla di confortevole».