Tutti a casaIl blocco dell’asilo ai siriani, la tragedia della storia, e la mediocrità della politica europea

La sospensione dell’esame delle richieste di asilo per i fuggiaschi dal regime di Assad non ha al momento effetti reali, ma consente a vari governi europei, compreso quello italiano, di promettere quel che non potranno mantenere: di immunizzare l’Europa dal contagio del disordine politico e dalle catastrofi umanitarie sulla sponda sud-orientale del Mediterraneo

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La decisione dell’Italia e di altri Paesi europei, dentro e fuori dall’Ue, di sospendere l’esame delle richieste di asilo dei siriani al momento ha avuto rilevanti effetti mediatici, ma scarsissime conseguenze reali, se non quella, peraltro nefasta, di accrescere presso l’opinione pubblica il senso di fastidio e indesiderabilità verso le vittime della più gigantesca catastrofe umanitaria contemporanea, che ha mietuto, come ha ricordato qualche giorno fa Gianni Vernetti, oltre mezzo milioni di vittime civili, centocinquantamila desaparecidos e quasi tredici milioni di profughi. Il tutto in un Paese che nel 2011, all’inizio della guerra civile, non arrivava a ventitré milioni di abitanti.

La sospensione dell’esame delle domande non preclude affatto la loro presentazione e la garanzia della permanenza del richiedente asilo nel territorio del Paese ospite. In Italia le richieste di protezione presentate da siriani dal 2011 a oggi non sono mai state più che qualche centinaio all’anno e, malgrado la riconosciuta fantasia del legislatore nazionale nell’eleggere “sicuri” Paesi che non lo sono affatto, è comunque difficile immaginare che questa qualifica sia rapidamente riconosciuta alla Siria degli ex-jihadisti ripuliti.

Inoltre, è ancora più difficile immaginare che una simile improbabile decisione, pure diligentemente applicata dalle commissioni territoriali, supererebbe indenne il vaglio dei giudici chiamati a pronunciarsi sui ricorsi, anche nel caso in cui il Parlamento istituisse tribunali speciali, a cui ammettere togati selezionati solo tra amici e parenti di ministri e sottosegretari del Governo della Nazione.

Se però è vero che, al momento, la tambureggiante campagna sulla fine della pacchia dei siriani in Ue (messaggio subliminale: “tutti a casa”) opera solo sul piano propagandistico, nondimeno offre una prova eclatante – non solo in Italia – della miserevole sproporzione tra la grandezza della tragedia della storia e la mediocrità dell’intelligenza e dell’ambizione delle classi politiche chiamate a fronteggiarla.

Anche ragionando in termini puramente affaristici, bisogna essere stupidi, prima che cinici, per immaginare di immunizzarsi dal contagio di una reiterata catastrofe politico-umanitaria semplicemente tirando su il ponte levatoio dei permessi umanitari e sigillando burocraticamente il Mediterraneo con norme anti-sbarco.

La Siria è stata fino ad oggi la prova provata di come quando l’Europa e l’Occidente non si impiccia negli affari degli altri e lascia le convulsioni etnico-religiose del mondo arabo al loro corso naturale è poi costretta a spicciarsi – senza alcuna voce in capitolo – conseguenze pure peggiori di quelle che avrebbe voluto evitare con la cosiddetta non ingerenza.

Promettere di fermare le valanghe migratorie prodotte dall’esplosione di alcuni stati e dall’estorsione di altri con la minaccia dei blocchi navali può andare bene, come dimostra la parabola di Giorgia Meloni, finché dura la campagna elettorale.

Subito dopo, tocca far altro: mettere testa a un principio di responsabilità diverso dalla perenne illusione del free riding politico-strategico oppure – scelta prediletta nell’Ue e in Italia – mettere mano al portafoglio e pagare gli estorsori, presentando la cattività degli aspiranti fuggiaschi, propiziata dalle elargizioni ai carcerieri, come un contributo determinante per la difesa e la sicurezza delle nazioni.

È del resto la stessa logica vigliacca e autolesionistica che chiama pace il sacrificio della libertà altrui a beneficio della propria e che un bel pezzo della classe politica europea non vede l’ora di mettere in pratica con l’Ucraina, usando l’arma del disimpegno di Trump o magari glorificando la grandezza del suo realismo umanitario, come – si accettano scommesse – farà l’esecutivo italiano dopo il 20 gennaio 2025.

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