Il ministro Giuseppe Valditara ha fatto causa a Nicola Lagioia, chiedendogli ben ventimila euro per una battuta ironica detta dallo scrittore in tv, e da altri cinquanta milioni di italiani sui social network, a proposito del pessimo italiano utilizzato in un tweet ministeriale dal responsabile (leghista) «dell’Istruzione e del merito», come recita la ridicola definizione introdotta da questo governo.
La vicenda, resa ancora più grave dal precedente caso che ha riguardato Christian Raimo, perché dimostra uno schema consolidato, mi ha ricordato una famosa battuta che politici e giornalisti utilizzano spesso in questi casi, attribuendola sistematicamente al Marchese del Grillo, senza sapere che quella pronunciata nel film da Alberto Sordi era a sua volta una citazione. Si tratta infatti di un sonetto di Giuseppe Gioachino Belli, intitolato «Li soprani der monno vecchio», che comincia così: «C’era una vorta un Re cche ddar palazzo / mannò ffora a li popoli st’editto: / “Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo…”».
Augurandomi di non essere querelato a mia volta, direi che il caso si attaglia perfettamente non solo al ministro leghista, ma all’intero governo Meloni, nemico giurato del politicamente corretto e fierissimo difensore della libertà di espressione, ma solo quando si tratta di prendersela con immigrati, omosessuali, donne (specialmente se femministe) e ogni altro possibile bersaglio di insinuazioni e offese di carattere discriminatorio. Ma non quando si tratta di loro.
Attenzione, però. Dico quando si tratta di loro, non quando si tratta dei politici, perché i nazional-populisti guidati da Giorgia Meloni sono i primi e più ruvidi propalatori di tutte le campagne più sguaiate contro la «casta», ovviamente sempre rivolte contro gli avversari, che hanno accusato perfino di pedofilia. Ricordate la campagna di Meloni su Bibbiano, in compagnia del Movimento 5 stelle, Casapound, Forza nuova e tutto il fior fiore dell’estrema destra?
La vera chiave psicologica di questi sovranisti der monno vecchio sta proprio nel micidiale miscuglio di vittimismo e aggressività, mania di persecuzione e prepotenza, dove la piangnucolosa retorica sulle mille presunte vessazioni subite giustifica e incoraggia preventivamente qualunque loro successiva soperchieria. Ma sarebbe sbagliato parlare di contraddizioni. Non c’è qui infatti nessuna contraddizione, ma al contrario una perfetta coerenza logica e politico-culturale, che lega strettamente le sparate contro «la casta» e gli atteggiamenti da «lei non sa chi sono io», i comiziacci contro i poteri forti e la pretesa di fermare un intero treno per scendere a capriccio, la difesa del generale Vannacci e delle sue invettive contro gli omosessuali che non sarebbero «normali», in nome della libertà di espressione, e la richiesta di ventimila euro di danni a uno scrittore (vero) per aver definito sgrammaticato il tweet di un ministro. Nulla è più rivelatore di questo incredibile impasto di piagnisteo e sbruffonaggine, che ha una precisa matrice politico-culturale e dovrebbe pur ricordarci qualcosa.