Il caso Almasri è senza dubbio il più grave scandalo che abbia segnato l’attività di questo governo. Da ogni punto di vista: politico, giuridico e morale. Se ci fossero stati ancora dei dubbi, la linea difensiva ribadita sabato da Giorgia Meloni li avrebbe definitivamente fugati. Testualmente: «Almasri è stato liberato su disposizione della Corte d’appello di Roma, non su disposizione del governo, quindi non è una scelta del governo, dopodiché quello che il governo sceglie di fare, invece, di fronte a un soggetto pericoloso per la nostra sicurezza, è espellerlo immediatamente dal territorio nazionale».
In altre parole, avendo accidentalmente arrestato il responsabile del carcere di Mitiga, in Libia, accusato dalla Corte penale internazionale di avere «picchiato, torturato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti», nonché di avere «ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli» (sotto la sua direzione, almeno 34 detenuti sarebbero stati uccisi e 22 violentati, tra i quali un bambino di cinque anni), Palazzo Chigi ha ritenuto giusto rispedirlo immediatamente in patria, permettendogli così di riprendere indisturbato il suo lavoro. Anche il più convinto sostenitore di questo governo dovrebbe avvertire un fremito, se non di orrore, almeno di imbarazzo, perlomeno oggi, nella giornata della memoria, dinanzi all’incredibile conclusione del ragionamento svolto dalla nostra presidente del Consiglio davanti ai cronisti.
Detto questo, è giusto sottolineare come fosse falsa anche la sua premessa, o quanto meno formulata in termini decisamente fuorvianti, circa il fatto che Almasri fosse stato liberato per decisione dei giudici e non del governo. Affermazione smentita ieri puntualmente dall’Associazione nazionale magistrati, che peraltro si è limitata a ricapitolare fatti già noti a tutti. E cioè che «Almasri è stato liberato lo scorso 21 gennaio per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto, perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’appello di Roma il 20 gennaio, e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga».
Ministro della Giustizia che era «il solo deputato a domandare all’autorità giudiziaria una misura coercitiva». Ancora più grottesco, da parte di Meloni e di tutta la maggioranza, è poi il tentativo di rivoltare la frittata, accusando la Corte penale internazionale di avere aspettato che Almasri arrivasse in Italia, dopo essere passato da altri paesi europei, prima di spiccare il mandato. Non si capisce, infatti, perché mai arrestare un pericoloso ricercato internazionale per l’Italia non avrebbe dovuto essere motivo di vanto, anziché di imbarazzo. O forse, invece, si capisce fin troppo bene: perché l’Italia sa benissimo, da anni, cosa accade in quelle carceri – o per meglio dire in quei lager – e non ha nulla da obiettare. E proprio per questo il governo non vuole che se ne parli.
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