I dubbi ora sono tanti. Qualcosa non ha funzionato. Il governo non ha carte in mano, almeno in questo momento. L’aria ora è pesantissima, e chissà per quanti giorni ancora Cecilia Sala sarà costretta a dormire per terra nella cella di punizione del terribile carcere di Evin, Teheran, Iran. Forse bisognava muoversi prima. Forse sarebbe stato necessario che nelle ore immediatamente successive all’arresto dello svizzero-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, avvenuto il 16 dicembre, il governo italiano concordasse con gli Stati Uniti un modo per chiudere quella vicenda, dunque prima che Teheran mettesse in atto la più vergognosa delle ritorsioni, l’arresto di una italiana, la trappola in cui il 19 dicembre è caduta la nostra Cecilia Sala.
Forse c’è stato anche un ottimismo eccessivo sulla possibilità di tirarla fuori dal carcere in pochi giorni. Ora è tutto maledettamente più complicato. Lo scambio Abedini-Sala non si può fare. L’Italia è schiacciata dall’intransigenza degli americani, messa per iscritto, perché Abedini, su cui pende una richiesta di estradizione, non sfugga alla giustizia e resti in carcere. Niente trucchi, dice Washington, non si ripeta il caso di Artem Uss, l’imprenditore figlio di un oligarca russo arrestato a Malpensa nell’ottobre 2022 sulla base di un mandato d’arresto internazionale: Uss venne posto ai domiciliari con il braccialetto elettronico in una casa a Milano, da cui fuggì con la complicità di un commando di cinque uomini.
E infatti oggi la Procura generale di Milano ha dato parere negativo alla richiesta del difensore dell’uomo dei droni iraniano detenuto nel carcere di Opera. L’iraniano resta in cella. Vedremo se la Corte d’Appello cambierà la situazione, ma sembra difficilissimo. Messa così la questione, l’Iran non avrà Abedini, almeno non adesso. Per Cecilia Sala la prospettiva è quindi drammatica.
La giovane giornalista – questo è il fatto che ieri ha creato un’enorme emozione e conseguenti subbugli politici – si trova in una condizione orribile. Non era vero che le avessero consegnato indumenti, materiale per l’igiene, una mascherina, addirittura un panettone. Il famoso pacco non le è stato consegnato.
Dispiace dirlo, ma il governo italiano ha rilanciato questa falsa informazione fabbricata dagli iraniani e segnatamente il ministro degli Esteri si è reso responsabile di aver propalato una clamorosa bufala. Perché Cecilia dorme per terra in una piccola cella, al freddo. Un Paese civile non può tollerarlo.
Per questo ieri (finalmente!) Antonio Tajani ha fatto convocare l’ambasciatore iraniano in Italia pretendendo innanzi tutto condizioni umane per la nostra giornalista e ovviamente la sua scarcerazione. Matteo Renzi ed Elly Schlein con Peppe Provenzano hanno chiesto chiarezza e un coinvolgimento dell’opposizione nelle forme che il governo dovrebbe stabilire, fermo restando che nessuno vuole creare polemiche inutili, ma semmai è per rafforzare l’unità nazionale su questa gravissima emergenza che sarebbe opportuno un momento di condivisione politica.
Nel pomeriggio c’è stato un vertice con la presidente del Consiglio, e il sottosegretario Alfredo Mantovano ha dato immediata disponibilità al presidente del Copasir Lorenzo Guerini di riferire al Comitato già stamattina. Spiega Enrico Borghi, componente del Copasir. «Sarebbe il caso di capire quale sia la strategia del governo. È per questo che abbiamo chiesto un tavolo bipartisan, per portare le competenze di ciascuno, sia per capire cosa il governo abbia in mente di fare». L’iniziativa di Renzi e Schlein dunque è servita a sbloccare un’iniziale sordità della maggioranza.
Consapevole che la situazione si sta complicando, Meloni ha voluto incontrare a Palazzo Chigi la madre di Cecilia, la signora Elisabetta Vernoni, dopo aver sentito il padre, Renato Sala. La strada è ingombra di ostacoli. Ormai tutto è in mano alla politica più che alla diplomazia e agli stessi servizi. Il che non è una buona notizia, di questi tempi.