Zoran Milanović ha vinto le elezioni presidenziali al secondo turno con oltre il settantaquattro per cento dei consensi, ottenendo così il via libera a un secondo mandato. Il suo avversario Dragan Primorac, candidato del partito di centrodestra HDZ che esprime anche il primo ministro Andrej Plenković, si è fermato poco sotto il ventisei per cento. L’affluenza è stata molto bassa, intorno al quarantaquattro per cento. Una vittoria annunciata che non è arrivata già al primo turno del 29 dicembre solo per poche migliaia di voti.
Il risultato di Milanović non è una buona notizia per l’Unione europea: pur essendo espressione di una coalizione di centrosinistra guidata dal partito socialista, i suoi primi anni di presidenza sono stati caratterizzati da una retorica nazionalista, una certa avversione nei confronti di Bruxelles — definita «per molti versi non democratica» — e una forte opposizione agli aiuti all’Ucraina. Milanović si è espresso in maniera critica anche rispetto alle restrizioni per la pandemia ed è fermamente contrario all’accoglienza dei migranti, tanto da guadagnarsi il soprannome di Trump croato. Argomenti classici del repertorio sovranista che collocano il Presidente della Croazia più vicino al populismo social-conservatore dello slovacco Robert Fico che alle altre realtà della famiglia socialista europea. Le relazioni con i personaggi di primo piano del sovranismo europeo come Viktor Orbán e Milorad Dodik (il Presidente della Repubblica Srpska di Bosnia) sono ottime, ça va sans dire.
Il potere del Presidente è comunque piuttosto limitato: è una figura con competenze cerimoniali e diplomatiche, anche se agisce come comandante delle forze armate e nomina in sinergia con il primo ministro il direttore dell’agenzia di intelligence. La Costituzione croata prevede che il Capo dello Stato debba essere una figura neutrale e rappresentare tutti i cittadini, un po’ come avviene in Italia. Un ruolo che Milanović ha faticato a ricoprire in maniera adeguata negli ultimi tempi. Lo scorso aprile, infatti, il Presidente croato ha deciso di candidarsi alla guida del Governo, pur non rinunciando al suo incarico super partes. Il principio costituzionalmente garantito della separazione dei poteri ha portato ovviamente alla bocciatura da parte della Corte costituzionale della candidatura di Milanović che ha accusato i tribunali di seguire gli ordini dell’HDZ, in uno dei suoi usuali attacchi alle altre cariche dello Stato.
Il riferimento degli interlocutori europei resta comunque il primo ministro europeista Plenković, che al momento guida un partito fragile continuamente esposto agli scandali di corruzione che coinvolgono i propri rappresentanti. Milanović è la sua nemesi: il Presidente non perde mai occasione di interferire con l’azione di Governo e in passato ha usato parole molto dure nei confronti del primo ministro, attaccandolo soprattutto sui rapporti con l’Europa e la Nato. Una relazione che per certi versi ricorda quella tra Andrzej Duda e Donald Tusk in Polonia.
Anche se il voto del 12 gennaio non influenzerà più di tanto l’azione del Governo di Plenković che ha vinto le elezioni meno di un anno fa, il dato politico è forte: Hdz ha incassato il peggior risultato da quando la Croazia è indipendente. «Paradossalmente al premier croato conviene di più avere Milanović al Pantovčak (la zona di Zagabria dov’è situato il palazzo presidenziale) che non all’opposizione in Parlamento dove avrebbe più margini di manovra. – spiega a Linkiesta Giorgio Fruscione ricercatore dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale – Non credo che questo risultato porterà a una paralisi istituzionale in Croazia visti anche i poteri limitati del Presidente. Occorre però sottolineare l’efficacia delle posizioni populiste di Milanović e il suo opportunismo politico che hanno portato a questo risultato. Su alcuni temi come l’aborto è progressista mentre sui migranti e sui rapporti con l’Unione europea è molto più conservatore. Ora avremo sicuramente un’ulteriore radicalizzazione delle posizioni».
Le relazioni con la Commissione europea e con gli altri Paesi non cambieranno visto che continuerà a essere Plenković l’interlocutore principale. Ma a livello europeo l’atteggiamento di Milanović dovrebbe portare a una riflessione politica all’interno del gruppo dei Socialisti e Democratici, che dopo il caso del partito slovacco SMER di Robert Fico si ritrovano in pancia un’altra realtà con posizioni ambigue sui migranti, sui rapporti con la Russia e sulla stessa Unione europea. «il voto croato non sposterà gli equilibri a Bruxelles anche se le posizioni di Milanović sono in parte assimilabili a quelle di altri partiti sovranisti mitteleuropei. Non so se questo aprirà un dibattito interno al gruppo S&D anche perché già da un po’ di tempo la socialdemocrazia europea si sta accomodando su alcune posizioni politiche che fino a qualche decennio fa appartenevano alla destra» conclude Fruscione.