L’altro dittatoreSostenere la diaspora bielorussa è il miglior modo per contrastare l’egemonia putiniana

Domenica si terranno le nuove elezioni, chiamiamole così, a Minsk. Dall’aumento allarmante delle repressioni in seguito alle proteste del 2020, l’Unione europea ha continuato a sostenere le forze democratiche in esilio, ma le difficoltà sono ancora tante

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Le elezioni del prossimo 26 gennaio in Bielorussia non possono essere ritenute credibili in un contesto politico dominato da una censura onnipresente e dalla scomparsa degli organi di informazione indipendenti. Lo ha dichiarato recentemente anche il Segretario di Stato americano Antony Blinken in un comunicato. Sono diventati infatti millequattrocento i prigionieri politici nel regime di Aleksandr Lukashenko: di questi, centosessantatre sono figure legate al mondo della cultura. Per questo il Consiglio europeo ha ribadito lo scorso dicembre l’impegno dell’Unione a sostenere e promuovere la lingua e la cultura bielorussa, soprattutto tramite le forze democratiche della diaspora in Europa.

«È una delle principali crisi a noi vicine, le repressioni vanno condannate. Queste elezioni sono una farsa» sono le parole che arrivano dalla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo di ieri, durante la quale diversi europarlamentari hanno sottolineato l’ulteriore stretta repressiva avvenuta nel 2024, che ha contribuito a consolidare «l’auto-rielezione di Lukashenko». Il neo commissario per la difesa e lo spazio Andrius Kubilius ha concluso la sessione ribadendo che: «la lotta dei bielorussi è la lotta per la dignità umana, l’Unione europea continuerà ad appoggiare coloro che si battono per la democrazia e la giustizia».

Gli sforzi portati avanti dai gruppi democratici in esilio si trovano tuttavia ancora a fare i conti con gravi difficoltà, a partire dalla carenza cronica di fondi, come rivela a Linkiesta Siarhei Budkin, amministratore delegato del Consiglio bielorusso per la cultura, il principale ente culturale esterno al Paese che mira a «formare manager culturali, facilitare la creazione di istituzioni indipendenti, intraprendere azioni per la promozione del settore culturale e sostenere gli artisti colpiti dalla repressione».

Dal 1996, la Bielorussia ha assistito a un lento e metodico smantellamento della sua lingua e cultura in un processo di russificazione da parte di Mosca. Un fenomeno che non solo ha segnato l’identità nazionale, ma ha avuto un impatto devastante sulla vita quotidiana dei suoi cittadini, sopprimendo ogni forma di espressione culturale libera. Mentre l’identità bielorussa è soppressa all’interno del Paese, la diaspora bielorussa è emersa come principale custode e promotrice culturale. L’attenzione internazionale che aveva raggiunto picchi significativi dopo le proteste del 2020, sta ora progressivamente svanendo all’interno dell’Unione europea. Proprio in questo momento, il sostegno esterno risulta più che mai fondamentale per la sopravvivenza della cultura del Paese, ma soprattutto per il rafforzamento delle forze di opposizione pro-democrazia in esilio contro i piani di Mosca. 

Un chiaro drammatico esempio di russificazione riguarda il settore dell’istruzione: nel 1994, circa il quaranta per cento degli studenti riceveva insegnamento in bielorusso, oggi questo dato è crollato a un misero nove per cento. Secondo l’Unesco, la lingua è considerata ora come «vulnerabile» a causa della sua limitata presenza nell’istruzione e nella politica, un fenomeno che contribuisce al suo progressivo declino. Inoltre, «la lingua bielorussa è diventata un chiaro indicatore di opinioni democratiche» spiega Budkin, rendendo pericolo parlarlo in pubblico.

L’Unione europea ha la responsabilità di promuovere la preservazione della lingua bielorussa come parte del suo impegno per la diversità culturale. Supportando la lingua e la cultura bielorusse, non solo dimostra la propria solidarietà verso un popolo che lotta per la propria identità, ma riafferma anche il proprio impegno per la democrazia e i diritti umani. In un contesto in cui il bielorusso è sempre più marginalizzato, e dove i libri scritti in questa lingua vengono accusati di essere “estremisti”e, ci racconta Budkin, anche pagine social, musicisti e band, e lo stesso Consiglio hanno ricevuto questa etichetta. L’Unione europea, ribadisce il Ceo, ha quindi il dovere di mantenere aperte le porte per chi fugge dalla repressione, concentrandosi in particolare sui giovani e ampliando i programmi di mobilità «facilitando il rilascio di visti Schengen e semplificando le procedure di residenza nei Paesi membri». Inoltre, servirebbe stimolare lo sviluppo di «progetti congiunti, borse di studio e programmi di riabilitazione per artisti repressi».

La situazione è particolarmente critica per i media indipendenti, che sono stati soffocati dalla repressione governativa, dall’instabilità finanziaria o, per quanto riguarda le istituzioni che operano all’interno, dall’autocensura necessaria per evitare gravi ritorsioni. Secondo un’inchiesta della Rete internazionale di giornalisti (Ijnet), la situazione in cui sono relegati i dissidenti bielorussi è addirittura comparabile a quella di un gulag. Come racconta Olga Loiko in un’intervista per la Ijnet, lei che al tempo delle proteste del 2020 era caporedattore della sezione politica ed economica di Tut.by, all’epoca il più grande organo di informazione indipendente della Bielorussia, è stata detenuta per ben dieci mesi per poi essere successivamente «inserita nella lista delle persone coinvolte in attività terroristiche, costringendola a lasciare il Paese». Ma i casi così sono davvero tantissimi: Reporter senza frontiere ha collocato la Bielorussia al quarto posto a livello mondiale nel 2024 per numero di giornalisti incarcerati, riportandone ben quaranta. 

Quello che questi giornalisti cercano di combattere è una propaganda di regime mirata a rappresentare i Paesi occidentali come ostili e in crisi, come rivela uno studio dello scorso dicembre del Friedrich ebert foundation. La ricerca intitolata “Mappatura della propaganda online bielorussa spiega come una narrativa distopica della guerra in Ucraina, dove «un presunto rafforzamento militare da parte di Polonia e Stati baltici si starebbe preparando in vista di un attacco alla Bielorussia» e un peggioramento del benessere dei cittadini nell’Europa occidentale, vengano usati per legittimare l’operato di Lukashenko. Ed è proprio quello che ci dice anche Budkin: «la Russia mira ad assorbire completamente la Bielorussia nella propria sfera culturale e mediatica».

Gli eventi recenti dimostrano però un impegno costante da parte dell’Unione europea verso il popolo bielorusso, specialmente in vista delle elezioni presidenziali previste per il 26 gennaio 2025. L’Unione europea ha risposto a questa crisi con numerosi interventi. Ad esempio, Bruxelles ha ad esempio ospitato le Giornate bielorusse nel Parlamento europeo e stanziato oltre centoquaranta milioni di euro per sostenere le forze democratiche antiregime, aprendo anche le porte dell’Unione a oltre quattrocentomila bielorussi in fuga dalle persecuzioni. Anche organizzazioni come l’Istituto culturale danese hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere le attività culturali in Bielorussia, con programmi come ArtPower, che si distingue come un esempio virtuoso di come l’arte bielorussa possa essere integrata nel panorama culturale internazionale, creando «piattaforme che collegano artisti, istituzioni e pubblico», rafforzando i legami della diaspora. L’Italia è stata in questo caso una delle destinazioni più frequenti del progetto, con mostre principalmente a Pisa e Firenze.

Questo sostegno si configura quindi non solo come un impegno morale, ma anche come una necessità strategica per garantire la pace e la stabilità nella regione. Una Bielorussia democratica, infatti, indebolirebbe l’influenza russa nell’Est, e migliorerebbe la sicurezza dell’Unione nel suo complesso. Le sanzioni contro il regime bielorusso, insieme al sostegno per la società civile e i movimenti democratici, sono perciò strumenti cruciali per sostenere la resistenza contro la disinformazione e la repressione che dilaga nel paese ormai da troppo tempo, e combattere la complicità del regime nella guerra della Russia contro l’Ucraina. Come coraggiosamente sostiene Sviatlana Tsikhanouskaya, capo dellopposizione bielorussa in esilio,  «le dittature sembrano invincibili finché non crollano all’improvviso, e nemmeno un potente alleato può salvare un dittatore».

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