Tempi lunghi I limiti del disegno di legge per il ritorno del nucleare in Italia

I decreti legislativi andranno adottati «entro ventiquattro mesi» dall’entrata in vigore della legge. In più, la proposta non indica chiaramente quali tecnologie e tipologie di impianti verranno prese in considerazione

Roberto Monaldo / LaPresse

Nella serata del 22 gennaio il ministero dell’Ambiente ha inviato a Palazzo Chigi una proposta di disegno di legge per reintrodurre la produzione di energia nucleare in Italia. O meglio: per ripristinare un quadro normativo dopo i referendum del 1987 e del 2011. La bozza verrà discussa al prossimo Consiglio dei ministri e prevede l’adozione di decreti legislativi «recanti la disciplina per la produzione di energia da fonte nucleare sostenibile sul territorio nazionale, anche ai fini della produzione di idrogeno, la disattivazione e lo smantellamento degli impianti esistenti, la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia da fusione, nonché la riorganizzazione delle competenze e delle funzioni in materia». 

Il testo mette insieme passato, presente e futuro dell’energia atomica; i tempi, però, saranno probabilmente lunghi, visto che i decreti in questione andranno adottati «entro ventiquattro mesi» dall’entrata in vigore della legge. 

Il governo di Giorgia Meloni – e in particolare il ministro Gilberto Pichetto Fratin – ha espresso più volte la volontà di riportare il nucleare in Italia. Tanto che nel Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, erano stati inseriti degli scenari che immaginavano per l’atomica un contributo dell’undici-ventidue per cento al soddisfacimento del fabbisogno elettrico nel 2050. Tuttavia, le dichiarazioni di Pichetto, in particolare, restituivano l’impressione di un governo sì favorevole a questa fonte energetica ma più concentrato sulle tecnologie emergenti (i piccoli reattori modulari, la fissione di quarta generazione, la fusione) che su quelle disponibili.

Nel disegno di legge non viene espresso chiaramente quali tecnologie e quali tipologie di impianti verranno prese in considerazione per l’Italia; d’altra parte, non c’è nemmeno un’esclusione esplicita delle centrali di terza generazione avanzata, cioè l’ultima presente sul mercato. Intervistato dal Sole 24 Ore su questo punto, il ministro dell’Ambiente ha risposto in maniera evasiva: «In questo momento il dibattito sulle possibili opzioni è aperto e vogliamo garantirci un margine ampio d’azione. Per cui spetterà ai decreti attuativi […] dettagliare le strade da intraprendere».

I tempi, come detto, saranno lunghi. Sempre Pichetto ha anticipato che la definizione del testo unico del nucleare, cioè la sistematizzazione normativa da affiancare a un programma sulla produzione energetica vera e propria, «è un percorso a tappe che credo arriverà a traguardo per la fine del 2027». 

La tempistica è comunque compatibile con quella della transizione ecologica, che non terminerà nel 2030, anche perché il nucleare non è inteso come un sostituto delle fonti rinnovabili bensì come un compagno. Il fotovoltaico, in particolare, ha costi più bassi, ma è intermittente e ha bisogno di stoccaggio e connessioni; il nucleare richiede maggiori investimenti iniziali ma garantisce una generazione stabile e continuativa, sempre a emissioni zero.

Gli obiettivi dell’inserimento di una quota atomica nel mix elettrico italiano, poi – come si apprende dalla relazione illustrativa abbinata al disegno di legge –, hanno a che vedere non solo con il raggiungimento dei target di decarbonizzazione, ma anche con la sicurezza energetica, con la stabilità del sistema elettrico e con la riduzione del prezzo dell’energia per i cittadini e le imprese.

La relazione tra prezzi dell’energia e competitività dell’industria italiana – la produzione è in calo da ventidue mesi – è stata sottolineata recentemente da Aurelio Regina, delegato per l’energia del presidente di Confindustria, nel corso di un’audizione alla Camera. «Ormai da anni Confindustria ripete quanto sia necessaria una strategia energetica che permetta alla manifattura italiana di poter competere con il resto d’Europa e del mondo», ha detto

«Sicuramente è importante trasformare il nostro parco impianti, considerando l’opzione nucleare nel medio termine a beneficio anche della sicurezza nazionale, ma non si può prescindere da azioni concrete per ottenere una riduzione del costo dell’elettricità e del gas per le imprese già nel breve termine». L’organizzazione ha proposto di rivedere il meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità, allentandone il legame con quello del gas e lasciare che si basi «anche sui costi (minori) della generazione da fonti rinnovabili».

Quanto alla forma, ancora poco chiara, che avrà il nucleare italiano, a settembre il ministro delle Imprese Adolfo Urso aveva parlato di una «newco italiana con partnership tecnologica straniera che consenta di produrre a breve in Italia il nucleare di terza generazione avanzata». Circa un mese dopo Pichetto aveva rivelato le trattative con il gruppo francese EDF e con l’americana Westinghouse. Tra le aziende coinvolte nei piani governativi per l’energia atomica ci sarebbe anche la startup Newcleo di Stefano Buono, mentre ancora non si hanno notizie della joint venture per lo studio dei reattori modulari tra Enel, Leonardo e Ansaldo.

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