Attivismo civicoIl giornalismo indipendente di IranWire è un faro sull’oscuro regime degli ayatollah

Il portale fondato dal giornalista iraniano-canadese Maziar Bahari documenta da tempo gli abusi dei Pasdaran, andando oltre l’obiettività tradizionale dei media occidentali e promuovendo valori democratici attraverso storie e progetti che sfidano l'ideologia di Teheran

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Il 19 dicembre scorso la giornalista italiana Cecilia Sala veniva arrestata in Iran e condotta alla prigione di Evin, poco fuori dalla capitale Teheran. La storia del suo arresto, delle negoziazioni per liberarla e del suo ritorno in Italia l’8 gennaio hanno occupato le prime pagine dei giornali italiani e della stampa internazionale. Se la vicenda di Sala ha avuto un lieto fine, tuttavia, molte storie simili alla sua hanno avuto un esito diverso.

Negli stessi giorni in cui si trattava per liberare Cecilia Sala, un cittadino svizzero detenuto in Iran è morto in cella: secondo le autorità si è suicidato. Qualche giorno dopo, una donna è deceduta nell’ospedale della prigione dove era detenuta dopo che le erano state rifiutate le cure mediche. Il 9 gennaio scorso, l’avvocato dell’attivista curdo-iraniana Pakhshan Azizi ha informato l’opinione pubblica che la condanna a morte per «ribellione» della sua assistita è stata confermata. 

Se il trattamento inumano dei detenuti, stranieri e non, nelle carceri iraniane e la loro uccisione (novecentouno pene capitali eseguite nel solo 2024) ricevono qualche attenzione fuori dall’Iran, è soprattutto per il lavoro prezioso di alcuni media in esilio. Tra loro spicca IranWire, un’esperienza ormai decennale di giornalismo partecipativo. 

Fondato nel 2013 dal giornalista iraniano-canadese Maziar Bahari (a sua volta imprigionato per centodiciotto giorni nel 2009), IranWire era diventato famoso a livello globale nel 2022. Era stata una sua giornalista, Aida Qajar, a scoprire e raccontare la storia di Mahsa Amini, la ragazza curdo-iraniana picchiata a morte dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo islamico.

Grazie a una capillare presenza di informatori sul territorio e a una professionale attività di fact-checking, IranWire rappresenta, infatti, una delle fonti più affidabili su quanto avviene all’interno della Repubblica islamica. Come noto, le fonti ufficiali utilizzate dal regime si limitano a riportare la versione ufficiale, come si è visto nella vicenda che ha riguardato Cecilia sala su IrnaNews e FarsNews, due canali informativi gestiti dalle autorità iraniane, la motivazione fornita per il suo arresto era l’aver «violato le leggi della Repubblica islamica», la grottesca spiegazione tautologica (essere arrestati per aver infranto la legge) fornita dal regime.

IranWire, tuttavia, non è solo un osservatorio sugli abusi delle autorità iraniane. È anche una sorta di laboratorio di cittadinanza ed educazione civica per gli iraniani e le iraniane che sognano un Iran diverso, più tollerante, inclusivo e democratico. In questo, IranWire offre un esempio interessante di contaminazione tra giornalismo professionale e attivismo dal basso, che si distanzia dall’ideale di giornalismo oggettivo, imparziale e terzo a cui si rifanno i media professionali in Occidente. Oltre a promuovere un giornalismo indipendente e professionale, il sito propone infatti approfondimenti sui principali temi dove si concentra la censura dell’autocrazia iraniana. 

In contrasto con l’ideologia patriarcale promossa dalla teocrazia islamica, che relega le donne un ruolo secondario, il sito dà ampio spazio alle storie delle donne iraniane che «andrebbero conosciute», sia quelle di oggi che quelle di ieri, come Farrokhroo Parsa, ministra dell’Educazione prima della rivoluzione khomeinista (1979), giustiziata nel 1980. 

Per controbilanciare l’antisemitismo programmatico del regime, IranWire ha curato vari progetti educativi sull’Olocausto. Il più popolare, “The Sardari Project”, propone vari contenuti legati al nazismo e allo sterminio degli ebrei. Il progetto presenta sia la storia di molti iraniani che contribuirono a salvare gli ebrei dallo sterminio (in primis quell’Abdol Hossein Sardari da cui deriva il nome dell’iniziativa) che alcuni parallelismi tra l’autocrazia nazista degli anni trenta e quella al potere oggi in Iran. 

Infine, a fronte dell’emarginazione sistematica delle minoranze religiose ed etniche in Iran, il giornale dedica molta attenzione alle vicende delle comunità minoritarie: oltre agli ebrei, anche curdi, arabi, baluci. Coerentemente, i contenuti del sito sono disponibili solo in persiano e in inglese, ma anche in curdo, arabo, azero e turco.  

Come auto-evidente dal titolo di alcuni articoli (esempio:La lezione che gli iraniani possono apprendere dalla transizione sudafricana”) il giornalismo ibrido praticato da IranWire punta a costruire l’Iran di domani, senza rinunciare a perseguire alti standard di qualità e professionalità.

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