L’anno scorso i partecipanti al Veganuary nel mondo sono stati circa venticinque milioni. Quest’anno ci si aspetta che quelli che seguiranno la dieta vegana per tutto il mese di gennaio saranno anche di più. Eppure, nonostante i cibi senza derivati animali stiano diventando ormai sempre più popolari, per le imprese vegane le cose in Borsa non vanno bene. Anzi.
Nuove linee di alimenti, startup e aziende specializzate stanno popolando supermercati e negozi di alimentari. Persino i grandi brand, da Mc Donald’s a Starbucks, da Ikea a Nutella, fanno a gara nel lancio di prodotti a base vegetale. Ma il successo a tavola non trova più riscontro nelle performance dei titoli delle aziende.
La società di servizi finanziari eToro ha analizzato l’andamento del prezzo delle azioni delle principali società del business vegano a livello mondiale. E il risultato è che la maggior parte ha visto un crollo drastico del valore in borsa negli ultimi tre anni. Dopo il picco del 2021, anche brand consolidati come Oatly e Beyond Meat hanno segnato cali di oltre il 90 per cento. E mentre i principali indici mondiali macinavano record storici, nell’ultimo anno il Vegan Index ha registrato un -49 per cento.
Gabriel Debach, market analyst di eToro, spiega che «a soffrire maggiormente sono soprattutto i “puristi” del veganesimo», ovvero i marchi cento per cento vegani. È il caso di Modern Plant Based Foods ed Else Nutrition, crollati entrambi del 98 per cento in tre anni. Le aziende diversificate, invece, hanno registrato performance migliori. Ingredion, ad esempio, che produce dolcificanti e proteine vegetali derivate dai piselli per diversi marchi, è cresciuta del 34 per cento negli ultimi tre anni.
Un caso scuola resta però Beyond Meat, prima azienda del settore ad approdare in Borsa nel 2019. Sei anni fa, questi hamburger vegetali – con un sapore molto simile a quello della carne – spopolavano sui social e nelle migliori hamburgerie del pianeta. Si parlò di una vera e propria rivoluzione, come se fossimo destinati a diventare tutti – vegani e non – consumatori abituali di questi prodotti. L’azienda ha saputo cavalcare l’onda con una quotazione in borsa da record: in partenza il titolo raggiunse i 14 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato (+257% rispetto all’Ipo), spinto dalla narrazione che vedeva un futuro in cui un numero significativo di consumatori si sarebbe convertito alla carne vegetale, considerata una risposta sostenibile e innovativa alla produzione tradizionale.
Ma la realtà si è rivelata meno entusiasmante delle aspettative. Il mercato della carne vegetale ha continuato a crescere certo, ma non al ritmo annunciato. E l’arrivo sul mercato di altri marchi concorrenti ha eroso i margini di Beyond. La domanda del mercato è salita, ma allo stesso tempo numerose nuove aziende si sono fatte spazio. A questo si è aggiunto poi l’impatto dell’inflazione e degli alti tassi di interesse, con il rincaro dei prezzi dei prodotti che hanno fatto desistere i consumatori dall’acquisto di alimenti non percepiti come prioritari. Non a caso, molti supermercati hanno introdotto i proprio marchi di carni vegane a prezzi più bassi rispetto ai grandi brand.
Secondo il rapporto annuale del Good Food Institute, negli Stati Uniti le carni di origine vegetale costano in media il 77 per cento in più rispetto agli equivalenti animali. E per le carni più economiche come il pollo, il rincaro supera addirittura il 150 per cento. Risultato: le vendite di carne e pesce vegetale negli States sono diminuite del 13 per cento negli ultimi due anni. Solo nel 2023, Beyond Meat ha visto calare le vendite del 32,3 per cento. E nonostante in Europa i numeri siano più positivi, anche oltre i confini americani le cose non sono andate come sperato.
Senza dimenticare poi la maggiore attenzione dei consumatori (quelli vegani soprattutto) alla salubrità di questi cibi, spesso ricchi di sale e grassi. Le preoccupazioni per gli alimenti ultraprocessati, con una lunga lista di ingredienti, hanno colpito infatti anche l’industria della carne vegetale. La principale rivale di Beyond Meat, Impossible Foods, non a caso ha ridisegnato logo e packaging per fare breccia soprattutto sui consumatori di carne. Ma nel frattempo altri marchi come Meatless Farm e Nowadays sono falliti.
I bilanci di Beyond Meat parlano chiaro. «La società ha registrato un peggioramento significativo della redditività, con il margine lordo passato da -5,7% nel 2022 a un pesante -24,1% nel 2023, un dato che evidenzia costi elevati di produzione e problemi di inventario», spiega Gabriel Debach. Le fluttuazioni dei prezzi delle azioni sono dovute proprio alle preoccupazioni sulla redditività, poiché molte aziende stanno ancora investendo molto in ricerca e sviluppo e nell’espansione del mercato ben oltre i confini del veganesimo puro.
Eppure, il mercato legato allo stile di vita vegano sembra comunque rientrare tra i trend a lungo termine. Un report della società di ricerca Precedence Research stima che la dimensione del mercato globale degli alimenti vegani raggiungerà i 55,42 miliardi di dollari entro il 2034 dai 20,18 miliardi di dollari nel 2024, con un tasso di crescita annuo composto del 10,63 per cento.
A farla da padrone è il mercato Nord Americano, seguito da Asia Pacifico e dall’Europa. Nel Vecchio continente, la Germania guida il mercato dei prodotti vegetali, con un valore di quasi due miliardi di euro nel 2022 (+16 per cento rispetto al 2021). Seguono il Regno Unito, con un miliardo di euro, e l’Italia, dove il mercato ha raggiunto i 680,9 milioni di euro (+9 per cento).
Secondo Eurispes, nel 2024 il 9,5 per cento degli italiani è vegetariano o vegano, in crescita rispetto al 6,6 per cento del 2023. E sono sempre di più quelli che, pur continuando a mangiare carne e pesce, hanno introdotto a tavola anche prodotti plant based. Lo scorso anno ben 22 milioni di italiani hanno consumato prodotti a base vegetale, con una crescita del 2,8 per cento nelle vendite nella grande distribuzione e nel settore della ristorazione fuori casa rispetto al 2022.
Le prospettive di crescita, insomma, ci sono. Ma ci vorrà tempo, probabilmente, perché tutto questo si traduca in valutazioni di borsa.