La premier immobile La sostenibile inconsistenza del governo, e lo spread tra propaganda e realtà

Giorgia Meloni consolida il suo potere senza aver realizzato niente, sfruttando il vuoto di leadership internazionale per apparire sui media compiacenti come una grande statista

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Giorgia Meloni si appresta a guidare il 2025 da Palazzo Chigi, alle viste non c’è nessuna crisi, al netto di pazzi Papeete salviniani, avendo alle spalle un biennio fumoso, avaro di realizzazioni concrete che tuttavia l’ha innalzata a livello di grande protagonista addirittura mondiale. Lo spread è molto calato, è vero. Ed è cresciuta l’occupazione, gli italiani lavorano e producono, sennò come si fa. Ma quello che veramente cresce è lo spread tra l’apparenza e la sostanza, tra il racconto dei Fratelli d’Italia e gli italiani veri. 

L’Azione parallela della Meloni machine produce assalti ai posti, prebende Rai e mostre di serie B in un’orgia di potere da berlusconismo senza luci: alla fine molto fumo, poco arrosto. Contribuisce molto al mito della statista l’indebolimento pauroso dei leader stranieri, specie europei: la presidente del Consiglio italiana non deve fare i conti con Helmut Kohl, Margaret Thatcher e François Mitterrand e nemmeno con Angela Merkel, Tony Blair e Jacques Chirac, ma con politici deboli o indeboliti come Olaf Scholz ed Emmanuel Macron, per non parlare degli inesistenti capi politici del nord Europa, mentre con quelli dell’est per lo più parafascisti bene si trova.

Sicché Giorgia emerge come una grande leader laddove basta un po’ di politicismo e parlare fluently, meglio ancora se nella cornice finta di Borgo Egnazia per fare un figurone. Carina con Joe Biden, esaltata con Javier Milei, occhi negli occhi con i padroni del mondo Donald&Elon, la presidente del Consiglio non ha fatto nulla di concreto sulla scena internazionale (salvo, le va dato atto, mantenere una buona coerenza nella difesa dell’Ucraina), è corsa da Buenos Aires a Pechino alla Lapponia per la felicità della figlioletta e per ampliare i suoi orizzonti effettivamente sin qui circoscritti nell’asse Garbatella-Colle Oppio. 

Tutta aria fritta, cappottini eleganti e baci con tutti. Giusto l’ex montiano Mario Sechi, che copiando Gian Marco Chiocci ieri ha messo sul suo giornale che curiosamente si chiama “Libero” il Mascellone come uomo dell’anno; giusto uno così si può esaltare dinanzi alla filiera della nuova destra miliardaria mondiale. 

La nostra destra è come al solito più ridicola, più da Subiaco che da Mar-a-Lago, è Francesco Lollobrigida che fa fermare il treno, è Andrea Delmastro che va a buttare la mondezza mentre sopra si spara, è Daniela Santanchè che vende tutto, non lo si sarebbe mai detto che avrebbero diretto un Paese del G7, eppure la fortuna con la F maiuscola, come voleva Machiavelli, ha sin qui sorretto Giorgia e i suoi Fratelli in ogni modo. 

Anche nella politica nazionale, a partire dalla circostanza di avere come avversario alle elezioni politiche Enrico Letta, un mite dirigente che non è stato in grado di mettere su una squadra se non vincente, almeno decente, e poi un alleato in caduta libera come Matteo Salvini e una Forza Italia allo sbando, morto Silvio Berlusconi. Vero che il Partito democratico si è poi inventato una ragazza tosta come Elly Schlein (vedremo che farà) ma che intanto ha buttato al vento la lezione più seria da anni a questa parte, quella di Mario Draghi, senza sostituirvi alcunché – Carlo Calenda, Luigi Marattin, Matteo Renzi ancora giochicchiano a bordo campo, e il riformismo può attendere come il cielo del vecchio film di Ernst Lubitsch. 

A guardar bene, Meloni ha avuto proprio tutte le condizioni migliori, interne e internazionali, per costruire una sua immagine forte ma molto imbellettata per coprire un passato che non passa ed evidenti buchi di cultura politica. 

A Palazzo Chigi, presidiato dal cardinal Giovanbattista Fazzolari e da monsignor Alfredo Mantovano, non c’è uno straccio di idea in giro, il premierato è come per le allodole lo specchietto, e sull’economia «io speriamo che me la cavo» potrebbe essere il motto nella stanza di Giancarlo Giorgetti, magari The Donald s’inventa una ripresa alla Ronald Reagan e comunque benedetti siano i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’odiata Unione europea: questi qui li stanno buttando in mille rivoli invece di implementare tre-quattro grandi interventi strutturali, ma per loro va bene così non sanno proprio come trovare i soldi, nemmeno i condoni funzionano più come una volta. 

Le rendite, le incrostazioni, la vecchiezza di questo Paese, il suo albertosordismo: tutto questo non è stato minimamente scalfito. Forse perché le riforme sono troppo difficili a farsi per una classe di governo poco preparata come questa, altro che egemonia culturale.

La sanità, la scuola, la ricerca: la presidente del Consiglio non ha tempo per queste cose, l’importante è sgranare gli occhioni davanti ai cosiddetti potenti della Terra e occupare il Tg1 militarizzato, gli italiani brava gente ci credono, Giorgia Meloni tira a campare, non si fa nulla di serio anche se si fa credere che l’Italia corre. Ed è questo spread fra finzione e vita reale che, non nell’anno che nasce, ma presto o tardi la seppellirà.

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