Dal punto di vista istituzionale, le parole pronunciate ieri dal presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia, sono persino più blasfeme di quelle usate dal suo omologo campano, il democratico (si fa per dire) Vincenzo De Luca, quando qualche giorno fa è arrivato ad arruolare persino papa Wojtyla nella santa crociata contro il vincolo dei due mandati («Non abbiate paura», aveva detto ironicamente al governo qualche giorno fa, citando Giovanni Paolo II). Zaia ieri si è espresso così: «Il blocco al terzo mandato è un’anomalia tutta nostra e che riguarda un centinaio di sindaci e alcuni governatori, compreso il sottoscritto. La motivazione è: così si evita che si creino dei centri di potere. Cosa che però non vale per esempio per deputati, senatori e ministri e tanti altri incarichi istituzionali. Trovo assurdo e inaccettabile che si utilizzi questa motivazione dei centri di potere, ma ancora peggio che tali osservazioni arrivino da gente che è trent’anni che sta in Parlamento».
Ovviamente non è un’anomalia tutta nostra, ma la fisiologia dei paesi democratici, dove all’elezione diretta per una carica monocratica, con una legittimazione e un potere particolarmente ampi e deboli contrappesi, si accompagna regolarmente un limite dei mandati. Non per niente anche per il presidente degli Stati Uniti è previsto un tetto analogo, mentre non ne è previsto alcuno per i parlamentari, che possono venire rieletti anche per mezzo secolo.
So che delle parole di Zaia i giornali di oggi preferiscono sottolineare la minaccia di correre da solo e lo scontro interno alla maggioranza (e sottotraccia anche interno alla Lega, dove il presidente del Veneto è considerato la più credibile alternativa a Matteo Salvini), ma dopo trent’anni di chiacchiere su federalismi e presidenzialismi di ogni tipo a me sembra particolarmente significativa la dimostrazione di quale sia la cultura democratica di questi sedicenti governatori, e naturalmente parlo anche di De Luca, che ha lanciato un’analoga sfida a Elly Schlein. Se la legislatura si chiudesse con la loro sconfitta, insieme con quella dell’Autonomia e del premierato (ammesso che ai relativi referendum si arrivi davvero prima del voto, cosa che per ragioni diverse appare sempre meno probabile), sarebbe davvero un lieto fine insperato. Se poi l’unica riforma a restare in piedi e ad andare a referendum prima delle politiche fosse quella della giustizia, ebbene, non sarebbe forse una splendida nemesi per il trentennio populista nato sulla scia di Mani Pulite?
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