La nostra nuova rubrica dedicata alla sala e all’accoglienza ha raccolto moltissimi commenti e sta creando un bel dibattito qui e altrove: abbiamo ricevuto moltissimi contributi, che condivideremo con voi nelle prossime settimane. Iniziamo con le idee di Guido Martinetti, che ha analizzato la situazione e propone le sue soluzioni.
Ho aperto un ristorante. Ho sofferto. Con enorme entusiasmo, e insieme a un brillante cuoco, pochi anni fa ho aperto Radici, un ristorante al confine tra le Langhe e il Monferrato, nel sud del Piemonte, con due anime: quella gourmet, volta a esaltare la storia della regione e delle sue materie prime povere, e quella bistrot, a supporto del Relais Le Marne, quattordici stanze dedicate alla poesia, all’arte e allo sport, che insiste nello stesso contesto.
È stata un’esperienza travolgente, faticosissima, che mi ha insegnato molto: la superficialità con cui osservavo questo genere di attività da cliente è stata ribaltata dalla comprensione dei fenomeni culturali e sociali che permeano la vita dei due manager – tali dovrebbero essere – che guidano il ristorante: maître e cuoco (detto volgarmente, e sottolineo volgarmente, chef).
Molti ambiscono a fare i cuochi, pochi a condurre il servizio di sala: problema enorme.
Come mia abitudine, passo subito alle proposte per migliorare un settore, riducendo il più possibile lo schema dialettico ai fini di non annoiare i poveri lettori.
Tesi: l’Italia
L’Italia ha un’incredibile vocazione turistica, urlata dalle opere d’arte presenti in ogni luogo e sostenuta da un sistema agricolo, paesaggistico e gastronomico unico al mondo.
La parola turismo fa rima con la parola ricchezza: per la maggior parte i turisti arrivano dall’estero, portando con sé capitali e benessere economico.
In questo contesto, la ristorazione dell’anima e del corpo sono il momento più gradevole della visita del turista. La prima è servita nel suo apice da una chiesa, un quadro, una musica, una montagna e così via, la seconda è servita nel suo apice da due categorie di persone: il cuoco, con il suo team, ed il maître, con il suo.
Tre ambienti, tre proposte.
Il cuoco e la sua squadra: problemi e proposta di una soluzione
I cuochi della ristorazione edonistica (non quelli della ristorazione calorica) esercitano una nuova “forma d’arte” e, quindi, di benessere: cucinare cibi per dare piacere, contraccambiati – chi più, chi meno – e gratificati dal ricevere conferme sociali, emotive, economiche.
Hanno la ribalta mediatica e l’obiettivo personale della constatazione delle loro capacità da parte degli esperti del settore, molti dei quali del tutto improvvisati, e dei clienti del ristorante ove esercitano.
Fanno un mestiere faticoso, con orari strampalati che impediscono una vita sociale sana e affetti stabili, sopportano una dose di stress emotivo e fisico ai limiti del sopportabile. Questi i fatti: non perdiamo tempo a paragonarli ad altre categorie professionali, sono semplicemente pressioni diverse.
Hanno spesso – ma non sempre – una cultura umanistica, sociale ed economica di basso livello, e un’arroganza ingiustificata, inadeguata a condurre una squadra di persone, spesso giovani e con le stesse caratteristiche attitudinali, dei quali condizioneranno la vita per sempre.
L’idea è semplice:
1) rivoluzionare la difficoltà dei nostri attuali istituti alberghieri, aumentandola, e portarla poi a un secondo livello, universitario; rendere quindi questo tipo di istruzione qualificante per il ruolo (oggi, incredibile, di fatto non lo è), esattamente come fosse una laurea in medicina o economia, approfondendo i temi più determinanti per il ruolo, quali la microbiologia, la pedagogia (sì, la pedagogia!), la contabilità e l’informatica.
Oggi un cuoco incide sulla vita di tante persone, ma la maggior parte non ha le basi per utilizzare questo bisturi, per il quale ci vuole consapevolezza, precisione, mano ferma e saggia.
2) il lavoro deve essere qualificato come “usurante”, con i relativi diritti pensionistici.
Il maître e la sua squadra: problemi e proposta di una soluzione
I maître e i camerieri esercitano una nuova “forma d’arte” e, quindi, di benessere: accogliere e confortare persone e personaggi che danno fiducia al locale ove lavorano e dove conducono la difficilissima relazione tra la sala macchine (cucina) e la sala d’ascolto (sala ristorante): due mondi diversissimi, con caratteristiche di personalità diversissime altrettanto, ed educazione simile.
Fanno un mestiere faticosissimo, con orari strampalati che impediscono una vita sociale sana e affetti stabili, sopportano una dose di stress emotivo e fisico ai limiti del sopportabile.
Come i cuochi, hanno una cultura umanistica, sociale ed economica di livello modesto, inadeguata a condurre una squadra di persone, sempre più difficili da trovare, delle quali condizioneranno la vita per sempre.
Le idee sono semplici:
1) aumentare significativamente la retribuzione netta: se l’Italia vuole continuare ad accogliere i turisti stranieri nelle sale dei locali gastronomici o calorici (meglio se con professionisti italiani, a dare coerenza all’esperienza del cliente), la società civile deve contribuire alla retribuzione di un lavoro che più nessuno è disponibile a fare.
La retribuzione lorda dovrà coincidere con quella netta per tutta la categoria del personale di servizio, aumentando di fatto gli stipendi e il rilievo sociale della categoria (questo, sia chiaro, dovrebbe accadere anche per altre categorie di rilievo sociale, come per esempio gli infermieri).
2) il lavoro deve essere qualificato come “usurante”, con i relativi diritti pensionistici.
La politica
Ultimo, ed esula dai ruoli professionali, la qualità professionale dei manager che guidano il ministero del Turismo ed i suoi apparati: credo che ogni commento in merito sia semplicemente pleonastico.
Tocca a noi cittadini, nel silenzio dell’urna, e a seguire alla politica, dare una svolta culturale e gestionale a un settore che, compreso l’indotto (ma senza considerare l’agricoltura, la trasformazione dei prodotti alimentari e la logistica di competenza), contribuisce per oltre il quindici per cento al Pil del Paese.
Se aggiungiamo le tre voci di cui sopra, fanno il venti per cento circa: la nostra vita, quella dei nostri figli, è già enormemente influenzata da queste attività, e lo sarà di più in futuro.
Se non troviamo soluzioni, quindi, solo i locali a conduzione familiare potranno sopravvivere, e annacqueremo una delle esperienze più desiderate al mondo: visitare l’Italia.