Più grammatica alle elementari: bene, utile in una stagione di peana ai social, alle abbreviazioni, all’uso sconsiderato degli avverbi e degli acronimi. Imparare a scrivere un racconto con la penna su un foglio bianco è indispensabile, significa andare incontro alla vita, meditare, raccogliersi in un pensiero. Significa scrivere non come contabili ma con una maggiore vibrazione emotiva. Latino facoltativo alle medie: perché no, un piede nel passato utile a tenere l’altro piede nel futuro. Conoscere le nostre radici per sconfiggere la malattia del secolo: il presentismo, l’incapacità al confronto. Poesia e musica, le arti del sentimento, delle emozioni: bene, davvero bene.Bene anche restituire centralità alla storia, costretta in un angolo, e cancellare l’abominio della geostoria.
E però c’è dell’altro. Perché ripassare i salmi, perché concentrarsi sui popoli italici e sulla storia dell’Occidente come fosse un’isola? Più patria e meno mondo non ha senso al tempo della globalizzazione, della complessità, di studenti che sono cittadini di tutti i continenti, che intrattengono relazioni stabili ben oltre i confini nazionali, di fronte a classi eterogenee dove si confrontano ragazze e ragazzi di fedi diverse, provenienti da storie diverse, con usi e costumi diversi. Non è con il ritorno al presepe invocato anni fa da Salvini che si risolve il problema della scuola italiana.
Siccome lo studio della storia sconfigge l’oblio e ci obbliga a confrontarci con il diverso e con le questioni universali, a ragionare sulla nostra esistenza, circoscrivere entro frontiere occidentali ogni approfondimento e conoscenza è un errore, un controsenso. Non servono a nessuno menti sonnambule, tantomeno nostalgie passatiste. Quel che serve è un bagno nella contemporaneità senza lacci, senza limiti. Ciò che siamo è figlio di incesti culturali, di legami partoriti in ogni angolo del mondo. O raccontiamo questa verità o la partita è truccata. Potrà servire anche a qualcuno ma di sicuro è un danno per i nostri figli.