Sotto sottoIl nuovo libro di Francesco Piccolo affronta con sincerità le fragilità maschili

“Son qui: m’ammazzi” (Einaudi) esplora il mito della mascolinità attraverso tredici capolavori della letteratura italiana. Un viaggio tra vulnerabilità, gelosie e violenze raccontate con la consueta acutezza e consapevolezza dell’autore

Unsplash

Con “La bella confusione” (Einaudi, 2023), Francesco Piccolo ci aveva fatto rivivere l’incantesimo di un’intera epoca a partire da un anno preciso, quel mitico 1963 in cui vengono girati in contemporanea due film destinati a segnare la storia, il Gattopardo e Otto e mezzo, un anno scisso tra Visconti e Fellini, e declinato fra le tante casualità, e il talento, e le stroncature, e i tradimenti che costellano il mondo del cinema, ma più in generale la vita. 

Piccolo torna ora in libreria con un altro saggio d’autore: “Son qui: m’ammazzi” (Einaudi), in cui al centro dell’indagine c’è il mito pervasivo della mascolinità ragionato attraverso tredici capolavori della letteratura italiana, dal “Decameron” di Boccaccio a “Via Gemito” di Domenico Starnone, un mito che si dipana sulle pagine attraverso il piglio analitico e un po’ guascone che da sempre caratterizza l’autore, questa sua voce sospesa fra il brutale e il romantico, una voce schietta, appassionata e poetica.

Non una denuncia di come gli uomini, e l’immaginario sociale e culturale che ha contribuito a formarli, possano essere spesso inadeguati se non nocivi, mostrandosi così gelosi, violenti, arroganti o furiosi, ma al contrario una calorosa, e a volte struggente, testimonianza. Nella prefazione, Piccolo puntualizza che «bisogna diffidare di quelli che raccontano per dare un giudizio sommario e definitivo, che di solito vi sembra sia giusto, e lo è anche – del resto i giudizi sommari e definitivi si possono dare solo se si è sicuri che siano giusti. Ma non servono a nient’altro se non a seppellire. Invece bisogna raccontare e raccontare, a prescindere se lo si faccia con coscienza o no».

Risiede in questo particolare sguardo la misura del talento di Francesco Piccolo, sia romanziere che saggista, nell’indulgenza con cui l’autore accoglie le piccinerie di chi porta sulla scena, e nello spirito di comprensione che accorda alle fragilità umane – in questo caso, come spesso accade nei suoi libri, alle fragilità maschili –, rischiarandole con l’intelligenza che profonde nei ragionamenti e con il cuore che gli accorda.

Francesco Piccolo non sta all’opposizione, ma al governo. Non si batte sulle pagine per ciò che è giusto, ma si scontra con quanto persiste nella vita, facendo i conti con la consistenza delle cose senza il timore d’imbattersi nella sgradevolezza e senza l’ambizione di uscirne come un puro o un onesto. Alla verità, Francesco Piccolo preferisce la realtà. Così come alla salvezza, la consapevolezza.

La frase che dà il titolo al libro è una delle frasi più belle della letteratura italiana, ed è pronunciata non da un uomo, ma una donna: è ciò che Lucia, nei “Promessi Sposi”, mormora all’innominato nel momento in cui tutto le sembra perso, e ogni tentativo fin lì messo in atto per salvarsi oramai nullo. L’arrendevolezza è il rovescio della violenza, di cui Piccolo rintraccia i germi o le conseguenze in ognuno dei personaggi che esplora, così come il rovescio della cieca arroganza che spesso i protagonisti della letteratura infondono nelle loro storie è la prostrazione. Ma è un sentimento, la prostrazione, che non si esaurisce nella replica delle donne davanti alla superbia degli uomini, di cui uno dei più fulgidi esempi è lo Zeno Cosini de “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, ma che ha a che fare anche con gli uomini, nella misura in cui soggiace senza estinguersi dietro l’aggressività o la violenza. 

Uno dei capitoli più loquaci, da questo punto di vista, è quello che Piccolo dedica a “Una questione privata” di Beppe Fenoglio, in cui a essere ricostruita è la storia in superficie di Milton, quella a cui fa da sfondo la Resistenza, fino allo svelamento di ciò che davvero si agita nel cuore del protagonista, non tanto l’eroismo di chi nella Storia sta dalla parte giusta, ma le pene di un giovane sfinito dalla gelosia e assediato, anche di fronte alla guerra, dal sentimento d’amore che nutre per la sua Fulvia. «L’idea che tutto questo succeda perché un ragazzo che non è stato ricambiato da Fulvia cerchi a tutti i costi di sapere se è stato tradito; l’idea che tutto questo succeda perché un ragazzo sta soffrendo a tal punto che deve sapere cosa è successo, è un fatto che lascia senza parole il lettore, che pure segue pagina dopo pagina le avventure di Milton, e spesso finisce per dimenticare il suo obiettivo particolare, la sua questione privata, dentro l’enormità della Resistenza e di questa parte di Storia della seconda guerra mondiale», scrive Piccolo. 

Raccontare gli uomini che fanno la guerra, nella vita o nella Storia, che usano la forza o la sopraffazione, non significa volerli incriminare, ma più nel profondo: volerli conoscere. Queste le armi che la letteratura mette a servizio di Piccolo, e che l’autore impugna senza pietire a chi legge un’assoluzione, seppure colpevole di appartenere alla categoria dei maschi. «La denuncia in letteratura è imbarazzante, se non stupida».

Siamo d’accordo con Piccolo, per non dire di quanto sia anche noiosa e inutile, l’assoluto contrario della goduria che le pagine di questo saggio accordano a chi si metterà in viaggio insieme ai protagonisti meschini, gelosi, minacciosi e furiosi a cui la nostra letteratura ha saputo dar vita.

Copertina del libro Son qui: m’ammazzi di Francesco Piccolo

X