I commenti di Donald Trump sull’annessione del Canada – e magari anche di Groenlandia e Panama – sono borderline tra il comico e un caso clinico di megalomania, ma le loro implicazioni economiche e geopolitiche sono tutt’altro che trascurabili. Il premier dimissionario canadese Justin Trudeau ha commentato a riguardo che non c’è «a snowball’s chance in hell» che ciò accada, le possibilità di una palla di neve di sopravvivere all’inferno, mentre alcuni politici canadesi lanciano la seducente idea di prendersi la California. Intanto Politico ha fatto notare come l’annessione del Canada gli porterebbe via voti ed elettori, dato che i sondaggi danno il paese come principalmente favorevole al Partito Democratico.
Trump ha annunciato un aumento di tariffe per le importazioni canadesi, ma funzionerà questa tattica per indurre con prepotenza economica la futura annessione? Proviamo a guardare la questione dal punto di vista opposto: gli Stati Uniti dipendono ormai sempre di più dalle risorse naturali canadesi, in primis dal petrolio: una dipendenza quasi raddoppiata negli ultimi dieci anni. Le importazioni del greggio sono infatti cresciute esponenzialmente nell’ultimo decennio, e hanno raggiunto un nuovo massimo storico questo mese: 4,42 milioni di barili al giorno. Questa cifra rappresenta oltre la metà delle importazioni totali degli Stati Uniti di questa fonte energetica, praticamente il sessanta per cento. La decisione di aumentare le tariffe – parrebbe addirittura fino al venticinque per cento – colpirebbe molte aziende statunitensi, ad esempio nel Nord-Est e il Midwest, che dipendono da queste risorse primarie.
Inoltre il Canada è uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di legname di conifere e, nel 2023, gli Stati Uniti ne hanno importato 28,1 milioni di metri cubi, principalmente per l’edilizia residenziale e commerciale, rendendolo il primo partner di scambio per questo materiale: sotto c’è la Cina con grande distacco a quota dieci milioni. Ma chi ci perderebbe da questi aumenti? Come riporta l’istituto di ricerca americano Brookings, principalmente i consumatori statunitensi. Aumenterebbero inoltre anche i prezzi di attrezzature mediche e di altri prodotti agricoli. Un disastro. Ma una bella notizia per i canadesi e la loro capacità di manovra: se conquistassero il Michigan o il Minnesota, che dipendono attorno al sessanta per cento dai loro beni intermedi, prenderebbero le stesse grandi aziende produttrici che riforniscono. O, più in pratica, potrebbero fare leva con le loro risorse naturali per avere accordi più vantaggiosi con questi Stati.
Spaventa soprattutto però la componente automobilistica. Trump ha sognato anche, e sfortunatamente dichiarato ai giornalisti a Mar-a-Lago, che gli Stati Uniti non hanno alcun bisogno delle aziende canadesi per produrre automobili, parlando di un inutile venti per cento di manifatturato in Canada: il paese settentrionale è infatti anche un importante produttore di materie prime tra cui alluminio, acciaio e componenti per batterie e veicoli elettrici. Ma come sostengono diversi esperti, Trump, almeno da queste dichiarazioni, non ci capisce una mazza.
Secondo Dimitry Anastakis, professore della Rotman School of Management, Donald non tiene conto delle parti che attraversano continuamente il confine, andando avanti e indietro, e che interrompere questo commercio transfrontaliero significa causare più problemi a Detroit e Dearborn, Michigan, che a Ottawa. Il Grande Nord tiene quindi sotto scacco i produttori di auto dei vicini oltre confine: posizione di cui potrebbe usufruire per ricattare economicante gli Usa e imporre loro accordi più liberali. Basti guardare ai volumi di questi scambi.
Canada, Stati Uniti e Messico condividono una delle più grandi relazioni commerciali del mondo, rappresentando insieme quasi un terzo del prodotto interno lordo globale. L’accordo che li unisce, quello Nordamericano per il Libero Scambio (Usmca), era già stato modificato nel 2020 nell’era Trump I, quando era aumentata la percentuale minima di componenti per auto da produrre nel Nord America. Aumenta quindi la preoccupazione per questo preoccupante venticinque per cento, vista la minaccia per un’enorme fetta di mercato. Secondo un report di S&P, le nuove tariffe potrebbero comportare una diminuzione dei profitti del diciassette per cento per alcune case automobilistiche: danni che colpirebbero anche Stellantis «a causa del volume di auto che assemblano in Messico e, in parte, in Canada»
Consola il fatto che per numerosi commentatori economici questa tattica sembra essere parte di «una strategia più ampia per strappare concessioni in vista della revisione dell’Usmca». Forse meglio immaginarsi quindi che l’invasione parta davvero da Nord, portando con sè magari un sistema sanitario universale e politiche ambientali un po’ più sul pezzo. E visto lo studio della Camera di Commercio canadese post dichiarazioni di Trump – la produttività del lavoro potrebbe diminuire di quasi l’uno per cento, con una perdita di reddito reale annuo di circa millecento dollari per persona – lo motiverebbe anche la paura di grossi contraccolpi da entrambi le parti. In particolare, province come Alberta, Manitoba, Ontario e New Brunswick dipendono fortemente dal commercio con gli Stati Uniti, che rappresenta oltre il quarantuno per cento del loro Pil. Le tariffe influirebbero quindi anche su questo flusso commerciale, con un impatto negativo sul Pil di molte province e Stati a nord.
Per questo, le Trumponomics 2.0 suonano – come in realtà il Presidente rivela anche nei suoi libri e memoir – più un bluff da gioco d’azzardo: puntare altissimo, anzi altissimissimo, e invece del Canada o di un protezionismo fantastico e datato, you get a better deal. Sul piano geopolitico, le relazioni tra i due paesi potrebbero davvero essere danneggiate da queste dichiarazioni. E tornando un attimo alla realtà, come sottolineato da Adam Chapnick, esperto delle forze armate canadesi, un’eventuale annessione degli Stati Uniti al Canada potrebbe avvenire solo se «se gli americani volessero davvero conquistarci militarmente».
Comunque, il primo luglio del 2026, Canada, Stati Uniti e Messico prenderanno una decisione riguardo all’eventuale estensione dell’Usmca, per un ulteriore periodo di 16 anni. Se ciò non dovesse accadere, gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump potrebbero intraprendere un periodo di accordi bilaterali, non più contenuti dall’accordo continentale, trasformando i sogni protezionistici del Presidente in realtà, riducendo la capacità del Canada di trattare.