I russi, i russi, gli americani Trump rischia una catastrofica sconfitta in Ucraina, ma può ancora evitarla

Putin non ha nessun interesse a trattare un accordo di pace, perché sa che il presidente americano non vuole più aiutare Kyjiv. L’illusione trumpiana causerebbe agli Stati Uniti una débâcle senza precedenti. Ecco che cosa dovrebbe fare la nuova Casa Bianca se volesse davvero “fare di nuovo grande l’America”

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Il vicepresidente eletto J.D. Vance una volta ha dichiarato di non preoccuparsi di ciò che accade all’Ucraina. Presto scopriremo se il popolo americano condivide la sua indifferenza, perché senza un’immediata e consistente nuova iniezione di aiuti da parte degli Stati Uniti, l’Ucraina rischia di perdere la guerra nei prossimi dodici, diciotto mesi. L’Ucraina non perderà dopo una negoziazione piacevole, con la cessione di territori importanti ma rimanendo un Paese indipendente, sovrano e protetto dalle garanzie di sicurezza occidentali. Affronterà invece una sconfitta totale, la perdita della sovranità e il completo controllo russo.

Questo pone un problema immediato per Donald Trump. Ha promesso di risolvere rapidamente la guerra una volta insediatosi, ma ora deve affrontare la dura realtà: Vladimir Putin non ha alcun interesse a negoziare un accordo che lasci l’Ucraina intatta come nazione sovrana. Putin vede inoltre l’opportunità di infliggere un colpo devastante al potere globale americano. Trump deve ora scegliere tra accettare una sconfitta strategica umiliante sulla scena globale e rafforzare immediatamente il sostegno americano all’Ucraina finché c’è ancora tempo. La scelta che farà nelle prossime settimane determinerà non solo il destino dell’Ucraina, ma anche il successo della sua presidenza.

La fine di un’Ucraina indipendente è, ed è sempre stato, l’obiettivo di Putin. Mentre gli analisti di politica estera elaborano teorie su quale tipo di accordo Putin potrebbe accettare, quanto territorio potrebbe richiedere e quali garanzie di sicurezza, zone smilitarizzate o aiuti esteri potrebbe permettere, lo stesso Putin non ha mai mostrato interesse per nulla di meno che la completa capitolazione dell’Ucraina. Prima dell’invasione russa, molti non potevano credere che Putin volesse davvero tutta l’Ucraina. Il suo obiettivo iniziale era decapitare il governo di Kyjiv, sostituirlo con un governo subordinato a Mosca e, attraverso di esso, controllare l’intero Paese. Subito dopo l’inizio dell’invasione, quando le forze russe stavano ancora avanzando in Ucraina, Putin avrebbe potuto accettare un’offerta ucraina di cedere territori alla Russia, ma anche allora ha rifiutato qualsiasi garanzia per la sicurezza dell’Ucraina. Oggi, dopo quasi tre anni di combattimenti, gli obiettivi di Putin non sono cambiati: vuole tutto.

I termini dichiarati da Putin per un accordo sono stati coerenti per tutta la durata della guerra: un cambio di governo a Kyjiv a favore di un regime filorusso; la «de-nazificazione», il suo eufemismo preferito per annientare il nazionalismo ucraino; la smilitarizzazione, ovvero lasciare l’Ucraina senza una capacità di combattimento sufficiente a difendersi da un altro attacco russo; e la neutralità, che significa niente legami con organizzazioni occidentali come la Nato o l’Ue, né programmi di aiuti occidentali mirati a rafforzare l’indipendenza ucraina. Gli esperti occidentali che riempiono le pagine degli editoriali dei giornali e delle riviste con idee su come garantire un’Ucraina post-accordo stanno, di fatto, negoziando con loro stessi. Putin non ha mai accettato l’idea di una zona smilitarizzata, di truppe straniere sul suolo ucraino, di un rapporto militare continuo tra l’Ucraina e l’Occidente di qualsiasi tipo, né la sopravvivenza del governo di Volodymyr Zelensky o di un qualunque governo filoccidentale a Kyjiv.

Alcuni ottimisti sostengono che Putin sarà più flessibile una volta avviati i colloqui. Ma questa idea si basa sull’errata supposizione che Putin creda di aver bisogno di una pausa dai combattimenti. Non è così. Sì, l’economia russa sta soffrendo. Sì, le perdite russe al fronte restano incredibilmente alte. Sì, Putin manca della forza lavoro necessaria sia per combattere sia per produrre armamenti vitali, ed è riluttante a rischiare un tumulto politico interno istituendo una leva militare su larga scala. Se la guerra dovesse protrarsi per altri due anni o più, questi problemi potrebbero eventualmente costringere Putin a cercare una tregua, forse persino quel tipo di accordo che gli americani immaginano. Ma Putin pensa di poter vincere prima di allora e crede che i russi possano sopportare le difficoltà attuali abbastanza a lungo da ottenere la vittoria.

Siamo davvero sicuri che si sbagli? Le previsioni americane sull’incapacità della Russia di resistere a sanzioni devastanti si sono dimostrate corrette finora? Le sanzioni occidentali hanno costretto i russi ad adattarsi e a trovare soluzioni alternative per il commercio, il petrolio e i finanziamenti, e sebbene questi aggiustamenti siano stati dolorosi, si sono rivelati in gran parte efficaci. Il prodotto interno lordo della Russia è cresciuto di oltre il tre per cento nel 2023 e si prevede una crescita simile per il 2024, trainata da una spesa militare massiccia. 

Le proiezioni del Fondo monetario internazionale per il 2025 sono più basse, ma prevedono comunque una crescita positiva. Putin sta sovietizzando nuovamente l’economia: imponendo controlli sui mercati e sui prezzi, espropriando beni privati e concentrandosi sulla produzione militare a scapito delle esigenze dei consumatori. Questa potrebbe non essere una strategia economica sostenibile nel lungo termine, ma, come si suol dire, nel lungo termine saremo tutti morti. Putin crede che la Russia possa resistere abbastanza a lungo da vincere questa guerra.

Non è affatto chiaro che Putin desideri davvero un ritorno alla normalità che la pace in Ucraina comporterebbe. A dicembre, ha aumentato la spesa per la difesa a un livello record di centoventisei miliardi di dollari, pari al 32,5 per cento di tutta la spesa pubblica, per soddisfare le esigenze della guerra in Ucraina. L’anno prossimo, si prevede che la spesa per la difesa raggiunga il quaranta per cento del bilancio russo. (Per confronto, la maggiore potenza militare mondiale, gli Stati Uniti, dedica il sedici per cento del proprio bilancio totale alla difesa.) 

Putin ha riformato il sistema educativo russo per inculcare valori militari dalla scuola primaria all’università. Ha nominato veterani militari a posizioni di alto profilo nel governo, come parte di uno sforzo per creare una nuova élite russa composta, come dice Putin, esclusivamente da «coloro che servono la Russia, lavoratori instancabili e militari». Ha resuscitato Stalin come eroe. Oggi, la Russia appare esteriormente come la Russia della Grande Guerra Patriottica, con un nazionalismo esuberante stimolato e il più piccolo dissenso brutalmente represso.

Tutto questo è solo una risposta temporanea alla guerra, o rappresenta anche la direzione in cui Putin vuole guidare la società russa? Putin parla di preparare la Russia alle future lotte globali. Il conflitto continuo giustifica sacrifici e repressioni continuative. Modificare radicalmente una società, accendendo e spegnendo queste trasformazioni come un interruttore – come sarebbe necessario se Putin accettasse una tregua per poi riprendere l’attacco un paio di anni dopo – non è così semplice. Potrebbe richiedere lo stesso livello di sacrificio durante un lungo periodo di pace? Per Putin, far avanzare i russi attraverso il dolore per cercare la vittoria sul campo di battaglia potrebbe essere il percorso più semplice. Il popolo russo ha storicamente dimostrato una notevole capacità di sacrificio sotto la doppia spinta del patriottismo e del terrore. Pensare che la Russia non possa sostenere questa economia di guerra abbastanza a lungo da resistere più dell’Ucraina sarebbe ingenuo. Potrebbe bastare un altro anno. La Russia affronta problemi, anche seri, ma Putin crede che senza nuovi aiuti sostanziali i problemi dell’Ucraina la porteranno al collasso prima della Russia.

Questo è il punto cruciale: Putin vede le tempistiche giocare a suo favore. Le forze russe potrebbero iniziare a esaurire l’equipaggiamento militare nell’autunno del 2025, ma per allora l’Ucraina potrebbe già essere vicina al collasso. L’Ucraina non può sostenere la guerra per un altro anno senza un nuovo pacchetto di aiuti dagli Stati Uniti. Le forze ucraine soffrono già di carenza di soldati, esaurimento nazionale, e morale in caduta libera. Il tasso di perdite della Russia è più alto di quello dell’Ucraina, ma ci sono più russi che ucraini, e Putin ha trovato il modo di continuare a riempire i ranghi, anche con combattenti stranieri. Come ha recentemente osservato uno dei principali generali ucraini, «il numero di truppe russe è in costante aumento». Stima che quest’anno siano arrivati 100.000 soldati russi aggiuntivi sul suolo ucraino. Nel frattempo, la mancanza di equipaggiamenti impedisce all’Ucraina di allestire unità di riserva.

Il morale ucraino è già vacillante sotto gli attacchi di missili e droni russi e l’incertezza prolungata sul fatto che il supporto vitale e insostituibile degli Stati Uniti continuerà. Cosa succede se quell’incertezza diventa certezza, se nei prossimi mesi diventa chiaro che gli Stati Uniti non forniranno un nuovo pacchetto di aiuti? Questo da solo potrebbe essere sufficiente a causare un crollo completo del morale ucraino, sia tra i militari che tra i civili. Ma l’Ucraina ha anche un altro problema. Le sue linee difensive sono ora così deboli che, se le truppe russe riuscissero a sfondarle, potrebbero avanzare rapidamente verso ovest, fino a Kyjiv.

Putin crede di stare vincendo. «La situazione sta cambiando in modo drammatico», ha osservato in una recente conferenza stampa. «Ci stiamo muovendo lungo l’intera linea del fronte ogni giorno». Il capo dell’intelligence estera, Sergei Naryshkin, ha recentemente dichiarato: «Siamo vicini a raggiungere i nostri obiettivi, mentre le forze armate ucraine sono sul punto di collassare». Potrebbe essere un’esagerazione per ora, ma ciò che conta è che Putin ci crede. Come confermano le parole di Naryshkin, oggi Putin vede la vittoria a portata di mano, più che in qualsiasi altro momento dall’inizio dell’invasione.

Le cose potrebbero essere difficili per Putin in questo momento, ma la Russia ha fatto molta strada rispetto al primo anno di guerra. Il fallimento disastroso della sua invasione iniziale aveva lasciato le sue truppe intrappolate e immobilizzate, con le linee di rifornimento esposte e vulnerabili, mentre l’Occidente agiva all’unisono per opporsi a lui e per fornire aiuti a una controffensiva ucraina sorprendentemente efficace. Quel primo anno di guerra ha segnato un momento di massimo splendore per la leadership americana e la solidarietà dell’alleanza, e il punto più basso per Putin. Per molti mesi, Putin ha combattuto di fatto contro il mondo intero con poco aiuto da parte di chiunque altro. Ci saranno stati momenti in cui ha pensato che avrebbe perso, anche se nemmeno allora ha rinunciato agli obiettivi massimalisti.

Ma è riuscito a risalire la china, e le circostanze oggi sono molto più favorevoli per la Russia, sia in Ucraina che a livello internazionale. Le sue forze sul campo stanno facendo progressi costanti – a costo di orribili perdite, ma Putin è disposto a pagarle finché i russi le tollerano e lui crede che la vittoria sia vicina.

Nel frattempo, la linea vitale dell’Ucraina verso gli Stati Uniti e l’Occidente non è mai stata più a rischio. Dopo tre anni con un’amministrazione americana che ha cercato di aiutare l’Ucraina a difendersi, Putin avrà presto un presidente americano e una squadra di politica estera che si sono costantemente opposti a ulteriori aiuti all’Ucraina. L’alleanza transatlantica, un tempo così unita, è in disordine, con gli alleati europei dell’America in preda al panico per il timore che Trump possa ritirarsi dalla Nato o indebolire le loro economie con dazi, o entrambe le cose.

L’Europa stessa si trova in un momento critico; il tumulto politico in Germania e Francia ha lasciato un vuoto di leadership che non sarà colmato per mesi, nel migliore dei casi. Se Trump taglierà o ridurrà gli aiuti all’Ucraina, come ha recentemente suggerito, non solo l’Ucraina collasserà, ma le divisioni tra gli Stati Uniti e i suoi alleati, e tra gli stessi europei, si approfondiranno e si moltiplicheranno. Putin è più vicino al suo obiettivo di frammentare l’Occidente di quanto non sia mai stato nei venticinque anni da quando è salito al potere.

È questo il momento in cui aspettarsi che Putin negozi un accordo di pace? Una tregua darebbe agli ucraini il tempo di riprendere fiato e di ricostruire le loro infrastrutture danneggiate, così come le loro psicologie ferite. Permetterebbe loro di riarmarsi senza consumare le armi che già possiedono. Ridurrebbe le divisioni tra l’amministrazione Trump e i suoi alleati europei. Risparmierebbe a Trump la necessità di decidere se cercare un pacchetto di aiuti per l’Ucraina, consentendogli di concentrarsi su parti del mondo in cui la Russia è più vulnerabile, come il Medio Oriente post-Assad.

Oggi Putin ha il vento in poppa in quello che considera, a ragione, il teatro principale decisivo. Se vince in Ucraina, la sua sconfitta in Siria sembrerà insignificante al confronto. Se non ha battuto ciglio dopo quasi tre anni di miseria, difficoltà e quasi sconfitta, perché dovrebbe farlo ora, quando crede, a ragione, di essere sull’orlo di una vittoria così grande?

Una vittoria russa significa la fine dell’Ucraina. L’obiettivo di Putin non è un’Ucraina indipendente, seppur più piccola, né un’Ucraina neutrale o autonoma all’interno di una sfera di influenza russa. Il suo scopo è che l’Ucraina non esista. «L’Ucraina moderna è interamente un prodotto dell’era sovietica», ha dichiarato. Putin non vuole semplicemente spezzare le relazioni dell’Ucraina con l’Occidente, mira a cancellare l’idea stessa di Ucraina, a eliminarla come entità politica e culturale.

Questo non è un obiettivo nuovo per la Russia. Come i suoi predecessori pre-sovietici, Putin considera il nazionalismo ucraino una minaccia storica che precede le Rivoluzioni colorate dei primi anni 2000 e l’espansione della Nato negli anni Novanta — e persino la Rivoluzione Americana. Nella mente di Putin, la minaccia rappresentata dal nazionalismo ucraino risale allo sfruttamento degli ucraini da parte del Commonwealth polacco-lituano nel XV e XVI secolo, alle macchinazioni dell’Impero austriaco nel XVIII e XIX secolo e all’uso da parte dei tedeschi dell’odio nazionalista ucraino contro la Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. Pertanto, l’appello di Putin alla de-nazificazione non riguarda solo la rimozione del governo Zelensky, ma è un tentativo di eliminare ogni traccia di un’identità politica e culturale ucraina indipendente.

La vigorosa russificazione che le forze di Putin stanno imponendo in Crimea, nel Donbas e in altri territori ucraini conquistati è la prova della serietà letale delle sue intenzioni. Organizzazioni internazionali per i diritti umani e giornalisti hanno documentato sul New York Times la creazione, nell’Ucraina occupata, di «un sistema di repressione altamente istituzionalizzato, burocratico e spesso brutale gestito da Mosca» che comprende «un gulag di oltre cento prigioni, strutture di detenzione, campi informali e scantinati», distribuiti su un’area approssimativamente delle dimensioni dell’Ohio. 

Secondo un rapporto del giugno 2023 dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, quasi tutti gli ucraini rilasciati da questo gulag hanno riferito di essere stati sottoposti a torture e abusi sistematici da parte delle autorità russe. Le torture includevano «pugni e tagli inflitti ai detenuti, l’uso di oggetti appuntiti sotto le unghie, colpi con manganelli e calci di fucile, strangolamenti, waterboarding, elettrocuzioni, posizioni di stress prolungate, esposizione a temperature rigide o a box surriscaldati, privazione di cibo e acqua, esecuzioni simulate o minacce di morte». 

Gran parte degli abusi è stata di natura sessuale, con donne e uomini stuprati o minacciati di stupro. Sono state documentate centinaia di esecuzioni sommarie, e probabilmente ve ne sono molte altre: numerosi civili detenuti dalla Russia non sono ancora stati ritrovati. I fuggitivi dall’Ucraina occupata parlano di una «società carceraria» in cui chiunque esprima opinioni filoucraine rischia di essere mandato «nello scantinato», dove lo attendono torture e possibile morte.

Questa oppressione va ben oltre il razionale militare di identificare potenziali minacce alle forze di occupazione russe. «La maggior parte delle vittime», secondo il Dipartimento di Stato americano, sono state «funzionari pubblici locali attivi o ex, difensori dei diritti umani, attivisti della società civile, giornalisti e operatori dei media». Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, «le forze militari russe e i loro delegati spesso detenevano civili sulla base di sospetti riguardo alle loro opinioni politiche, in particolare legate a sentimenti filoucraini».

E così arriviamo al presidente eletto Donald Trump, che ora si trova intrappolato in una situazione solo in parte creata da lui stesso. Quando Trump ha dichiarato durante la sua campagna elettorale che avrebbe potuto porre fine alla guerra in ventiquattro ore, presumibilmente credeva a ciò che la maggior parte degli osservatori pensava: che Putin avesse bisogno di una pausa, che fosse disposto a offrire la pace in cambio di territori, e che un accordo avrebbe incluso una sorta di garanzia di sicurezza per ciò che restava dell’Ucraina. 

Poiché la proposta di pace di Trump all’epoca era considerata un accordo molto sfavorevole per Kyjiv, la maggior parte degli osservatori presumeva che Putin l’avrebbe accolta favorevolmente. Non sapevano che per gli ucraini l’accordo non era neanche lontanamente pessimo abbastanza da essere accettabile per Putin. Ora Trump si trova nella posizione di aver promesso un accordo di pace che non può assolutamente ottenere senza costringere Putin a rivedere i suoi calcoli.

A complicare l’errore di valutazione di base di Trump è il mito di Trump come uomo forte. Una parte non trascurabile dell’aura e del successo politico di Trump risiede nell’aspettativa, condivisa da molti, che gli altri leader mondiali faranno quello che vuole lui. Quando di recente ha convocato il primo ministro canadese Justin Trudeau, già in difficoltà, a Mar-a-Lago e lo ha umiliato definendolo il «governatore del cinquantunesimo stato» americano, i sostenitori di Trump nei media hanno esultato per la sua capacità di «proiettare forza come leader degli Stati Uniti facendo apparire Trudeau debole».

Molti, e non solo i sostenitori di Trump, hanno allo stesso modo ipotizzato che la sola elezione di Trump sarebbe bastata a costringere Putin ad accettare un accordo di pace. L’immagine di Trump come duro e le sue presunte abilità di negoziatore gli avrebbero dato, secondo un ex funzionario della Difesa, «il potere e la credibilità con Putin per dirgli che deve accettare una pace giusta e duratura».

È sempre pericoloso credere troppo alla propria narrazione. Lo stesso Trump sembrava convinto che la sua elezione sarebbe stata sufficiente a convincere Putin che era arrivato il momento di negoziare un accordo. Nel dibattito con Kamala Harris, Trump ha dichiarato che avrebbe risolto la guerra prima ancora di diventare presidente, affermando che, da presidente eletto, avrebbe riunito Putin e Zelensky per raggiungere un accordo. Secondo lui, poteva farlo perché «mi rispettano; non rispettano Biden». Le prime mosse di Trump dopo il 5 novembre trasudavano fiducia nel fatto che Putin si sarebbe adattato al nuovo sceriffo in città.

Due giorni dopo le elezioni, in una telefonata con Putin che il suo staff ha fatto trapelare alla stampa, Trump avrebbe «consigliato al presidente russo di non intensificare la guerra in Ucraina e gli ha ricordato la considerevole presenza militare americana in Europa». Oltre a queste velate minacce, Trump sembra credere che qualcosa come amicizia, stima o lealtà possa facilitare la negoziazione di un accordo.

Che Trump, l’uomo più pragmatico e transazionale di tutti, potesse davvero credere che Putin sarebbe stato mosso da tali sentimenti è difficile da credere. Pochi giorni dopo la telefonata in cui Trump gli consigliava di non intensificare, Putin ha lanciato un missile balistico intermedio ipersonico, con capacità nucleare, contro l’Ucraina, continuando ad intensificare il conflitto da allora. Ha inoltre fatto smentire dai suoi portavoce che quella telefonata fosse mai avvenuta. Ancora oggi, Putin insiste che lui e Trump non hanno parlato dopo le elezioni.

Putin ha inoltre chiarito di non essere interessato alla pace. Nei giorni precedenti al lancio del missile, ha osservato: «Nel corso di secoli di storia, l’umanità si è abituata a risolvere le dispute con la forza. Sì, succede anche questo. Il diritto del più forte prevale, e questo principio funziona».

In un messaggio chiaramente rivolto alle pretese di potere di Trump, Putin ha suggerito all’Occidente di fare una «valutazione razionale degli eventi e delle proprie capacità». I suoi portavoce hanno ripetutamente affermato che Putin non ha alcun interesse a «congelare il conflitto» e che chiunque creda che Mosca sia pronta a fare concessioni «ha poca memoria o scarsa conoscenza dell’argomento». Hanno anche avvertito che le relazioni tra Stati Uniti e Russia sono «sull’orlo della rottura», con la chiara implicazione che spetta a Trump riparare i danni. Putin è particolarmente furioso con il presidente Joe Biden per aver finalmente revocato alcune restrizioni sull’uso ucraino dei missili americani a lungo raggio Atacms contro obiettivi russi, minacciando di rispondere con il lancio di missili balistici a medio raggio contro obiettivi americani e dei loro alleati.

Trump ha un problema di credibilità, in parte a causa dei fallimenti dell’amministrazione Biden, ma anche per colpa sua. Putin sa quello che sappiamo tutti: che Trump vuole uscire dall’Ucraina. Non vuole prendersi la responsabilità della guerra, non vuole passare i primi mesi del suo mandato in uno scontro con la Russia, non vuole la stretta cooperazione con la Nato e altri alleati che il continuo sostegno all’Ucraina richiederebbe e, soprattutto, non vuole trascorrere i primi mesi del suo nuovo mandato cercando di far approvare al Congresso un pacchetto di aiuti per l’Ucraina, dopo aver fatto campagna elettorale contro quegli stessi aiuti.

Putin sa anche che, anche se Trump dovesse alla fine cambiare idea, forse per frustrazione di fronte ai suoi rinvii, sarebbe troppo tardi. Passerebbero mesi prima che un disegno di legge sugli aiuti venisse approvato da entrambe le camere e che le armi iniziassero ad arrivare sul campo di battaglia. Putin ha già osservato questo processo lo scorso anno, e ha saputo sfruttare bene quel tempo. Può permettersi di aspettare. Dopotutto, se tra otto mesi Putin sentisse che la guerra sta per volgere a suo sfavore, potrebbe fare lo stesso accordo che Trump vorrebbe fargli fare ora. Nel frattempo, può continuare a colpire i demoralizzati ucraini, distruggere ciò che rimane della loro rete energetica e ridurre ulteriormente il territorio sotto il controllo di Kyjiv.

No, per cambiare i calcoli di Putin, Trump dovrebbe fare esattamente ciò che finora non ha voluto fare: dovrebbe rinnovare immediatamente gli aiuti agli ucraini, in quantità e qualità sufficienti a cambiare la traiettoria sul campo di battaglia. Dovrebbe anche indicare in modo convincente di essere disposto a continuare a fornire aiuti fino a quando Putin non accettasse un accordo ragionevole o affrontasse il collasso del suo esercito. Azioni di questo tipo da parte di Trump cambierebbero le tempistiche abbastanza da dare a Putin motivo di preoccuparsi. In assenza di ciò, il presidente russo non ha alcuna ragione per discutere i termini della pace. Deve solo aspettare il collasso dell’Ucraina.

A Putin non interessa chi sia il presidente degli Stati Uniti. Il suo obiettivo, da oltre due decenni, è indebolire gli Stati Uniti, distruggerne l’egemonia globale e la leadership dell’ordine liberale occidentale per consentire alla Russia di riprendere quello che considera il suo giusto ruolo come grande potenza europea e impero con influenza globale. Putin ha molte ragioni immediate per voler sottomettere l’Ucraina, ma crede anche che una vittoria inizierebbe a disgregare otto decenni di supremazia globale americana e l’opprimente ordine mondiale liberale guidato dagli Stati Uniti.

Pensate a cosa potrebbe ottenere dimostrando, con la conquista dell’Ucraina, che persino il duro numero uno d’America, l’uomo che dovrebbe «rendere di nuovo grande l’America», colui che ha ottenuto il sostegno della maggioranza degli elettori maschi americani, è impotente nel fermarlo e nell’impedire un colpo significativo al potere e all’influenza americana. In altre parole, pensate a cosa significherebbe per l’America di Donald Trump perdere. Lungi dal voler aiutare Trump, Putin trae vantaggio dall’umiliarlo. Non sarebbe una questione personale, ma puramente di affari, in questo mondo duro e cinico.

Trump si trova davanti a un paradosso. Lui, insieme con molti dei suoi consiglieri e sostenitori più eloquenti, condivide l’ostilità di Putin verso l’ordine americano, di cui la Nato è un pilastro centrale. Alcuni condividono persino la sua idea che il ruolo americano nel sostenere quell’ordine sia una forma di imperialismo, oltre che una scommessa svantaggiosa per l’americano medio. 

Il vecchio movimento America First degli inizi degli anni Quaranta cercava di impedire agli Stati Uniti di diventare una potenza globale con responsabilità globali. L’obiettivo del nuovo America First è far uscire gli Stati Uniti dal business delle responsabilità globali. È qui che la destra trumpiana e alcune parti della sinistra americana si incontrano, ed è per questo che alcuni a sinistra preferiscono Trump ai suoi avversari neoliberali e neoconservatori. 

Trump stesso non è un ideologo, ma le sue simpatie chiaramente si allineano con coloro che nel mondo condividono un odio verso quello che percepiscono come l’oppressivo e prepotente ordine mondiale liberale, figure come Viktor Orbán, Nigel Farage, Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin.

Il problema di Trump, tuttavia, è che, a differenza dei suoi compagni di viaggio nell’antiliberalismo, sarà presto il presidente degli Stati Uniti. L’ordine mondiale liberale è inseparabile dal potere americano, e non solo perché dipende da esso. Gli Stati Uniti stessi non sarebbero così potenti senza le alleanze e il sistema economico e politico internazionale aperto che hanno costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale per proteggere i loro interessi a lungo termine. Trump non può smettere di difendere l’ordine mondiale liberale senza cedere un’influenza significativamente maggiore a Russia e Cina. Come Putin, anche Xi Jinping, Kim Jong Un e Ali Khamenei considerano l’indebolimento dell’America essenziale per le loro ambizioni. Trump può condividere la loro ostilità verso l’ordine liberale, ma condivide anche il loro desiderio di indebolire l’America e, di conseguenza, sé stesso?

Sfortunatamente per Trump, l’Ucraina è il teatro in cui si sta combattendo questa titanica battaglia. Oggi, non solo Putin, ma anche Xi, Kim, Khamenei e altri che il popolo americano generalmente considera avversari, credono che una vittoria russa in Ucraina infliggerà un grave danno alla forza americana ovunque. È per questo che stanno riversando denaro, armamenti e, nel caso della Corea del Nord, persino i loro stessi soldati nella battaglia. Quali che siano i benefici a breve termine che potrebbero ottenere assistendo la Russia, il grande guadagno che cercano è un colpo mortale al potere e all’influenza americani, che li hanno limitati per decenni.

Inoltre, anche gli alleati dell’America in tutto il mondo concordano con questa visione. Anche loro credono che una vittoria russa in Ucraina, oltre a minacciare direttamente la sicurezza degli stati europei, smantellerà il sistema di sicurezza guidato dagli Stati Uniti su cui fanno affidamento. È per questo che persino alleati asiatici, lontani dal teatro di guerra, stanno dando il loro contributo alla lotta.

Se Trump non sostiene l’Ucraina, si troverà di fronte alla prospettiva poco allettante di presiedere a una grande sconfitta strategica. Storicamente, questo non è mai stato positivo per la posizione politica di un leader. Jimmy Carter apparve debole quando l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan, che aveva un’importanza strategica molto inferiore rispetto all’Ucraina. Henry Kissinger, nonostante il Premio Nobel, fu emarginato dal Partito Repubblicano a metà degli anni Settanta, in gran parte per il fallimento americano in Vietnam e la percezione che l’Unione Sovietica stesse guadagnando terreno durante il suo mandato. Joe Biden ha posto fine a una guerra impopolare in Afghanistan, solo per pagarne il prezzo politico.

Barack Obama, che aveva aumentato la presenza americana in Afghanistan, non ha mai pagato un prezzo politico per aver prolungato la guerra. Biden ha pagato quel prezzo in parte perché l’uscita dall’Afghanistan è stata, per usare un eufemismo, disordinata. La caduta dell’Ucraina sarà molto più disordinata — e meglio documentata in televisione. Trump ha costruito e valorizzato un’aura di potere e durezza, ma questa può svanire rapidamente. Quando arriverà la caduta dell’Ucraina, sarà difficile presentarla come qualcosa di diverso da una sconfitta per gli Stati Uniti e per il suo presidente.

Questo non era ciò che Trump aveva in mente quando disse che avrebbe potuto ottenere un accordo di pace in Ucraina. Senza dubbio immaginava di essere celebrato come lo statista che aveva convinto Putin a fare un accordo, salvando il mondo dagli orrori di un’altra guerra infinita. Il suo potere e il suo prestigio sarebbero stati accresciuti. Sarebbe stato un vincitore. Nei suoi piani non c’era l’essere respinto, schiacciato e, secondo il giudizio della maggior parte del mondo, sconfitto. Riuscire a capire dove lo porterà il percorso che sta attualmente seguendo è una prova del suo istinto. Non si trova sulla strada della gloria. E se non cambia rapidamente, la sua scelta determinerà molto più del futuro dell’Ucraina.

Robert Kagan è l’autore di Insurrezione; questo articolo è stato pubblicato in inglese su The Atlantic

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