Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dice che almeno un battaglione di fanteria sarebbe stato distrutto dalla nuova offensiva nel Kursk. Un’unità in cui c’erano sia soldati nordcoreani sia paracadutisti russi. Il ministero della Difesa russo ammette l’azione, ma assicura che sarebbe stata respinta, e che la principale forza ucraina sarebbe stata distrutta vicino all’abitato di Berdin.
Impossibile avere conferme indipendenti, dice la Reuters nel riportare le dichiarazioni. Ma osserva che della cosa si stanno occupando vari blogger di guerra russi: gente che appoggia l’attacco all’Ucraina ma critica spesso il modo in cui è gestito, e perciò riporta anche notizie scomode. E stando a loro, l’offensiva va avanti. «La mattinata nella regione di Kursk sta iniziando di nuovo in modo preoccupante. È ovvio che il fallimento di ieri non fermerà il nemico, che cercherà di imporre la sua volontà anche oggi», ha scritto ad esempio su Telegram Yuri Podolyaka.
Anche il think tank statunitense Institute for the Study of War conferma che «le forze ucraine hanno ripreso le operazioni offensive in almeno tre aree nella regione di Kursk e hanno compiuto progressi tattici il 5 gennaio. Fonti russe hanno affermato che le forze ucraine hanno condotto assalti meccanizzati multipli con una compagnia in direzione di Berdin-Novosotnitsky (a nord-est di Sudzha) in tre ondate utilizzando un battaglione di veicoli blindati. Fonti russe hanno affermato che le forze ucraine hanno anche intensificato le operazioni offensive in direzione di Leonidovo (a sud-est di Korenevo) e hanno condotto un assalto meccanizzato rinforzato con un plotone vicino a Pushkarnoye (a est di Sudzha)».
I riferimenti sono abbastanza precisi. «I filmati geolocalizzati pubblicati il 5 gennaio indicano che le forze ucraine sono avanzate nei campi a sud-ovest e a sud di Berdin e sono entrate nella parte meridionale dell’insediamento. Blogger militari russi hanno pubblicato mappe aggiornate dell’area di operazioni di Kursk che indicano che le forze ucraine hanno occupato anche Cherkasskoye Porechnoye, Martynovka e Mikhaylovka (tutte a nord-est di Sudzha e a sud-ovest di Berdin) a partire dal 5 gennaio e hanno riferito che le forze ucraine sono entrate recentemente a Novosotnitsky (appena a est di Berdin); e sono avanzate nei campi a ovest di Yamskaya Step (immediatamente a nord-ovest di Berdin) e a ovest di Novaya Sorochina (a nord di Sudzha e a nord-ovest di Berdin). I blogger militari russi hanno riferito che le forze ucraine hanno anche condotto operazioni offensive nei pressi di Nikolskiy e Alexandriya (rispettivamente a est e a sud-est di Leonidovo) e a nord di Russkaya Konopelka (a est di Sudzha) verso Pushkarnoye in piccoli gruppi di fanteria, ma non hanno fornito dettagli sull’entità di eventuali avanzate ucraine in queste aree. I blogger militari russi hanno ampiamente espresso la preoccupazione che il rinnovato sforzo ucraino nell’Oblast’ di Kursk possa essere un diversivo e hanno affermato che è troppo presto per determinare se queste operazioni a Kursk possano essere parte di un futuro sforzo principale». È il sito ucraino Online.Ua che, citando anche il sito russo RosZmi, riferisce di come «gli ucraini hanno riunito sei brigate per un attacco e stanno avanzando con mezzi corazzati in direzione del villaggio di Velike Soldatske e del vicino villaggio di Berdin lungo l’autostrada 38K-004 e hanno anche attaccato le posizioni russe nel villaggio di Pushkarne, nella regione di Kursk».
Nel frattempo le forze russe rivendicano un’ulteriore avanzata nel Donbas, con la conquista di Dachens’ke: un centro abitato da un centinaio di persone meno di cinque chilometri a sud dell’importante hub logistico ucraino di Pokrovsk, nella regione di Donetsk. Lo ha dichiarato il ministero della Difesa russo, ma lo conferma il progetto Deep State, vicino alla Difesa ucraina. Deep State ammette anche il controllo russo di Kurakhove: una città in cui erano rimasti cinquemila abitanti, dai ventimila che aveva prima del 2022, e che è stata conquistata dall’esercito russo dopo circa cinque mesi di combattimenti.
Ma lo stesso segretario di Stato statunitense Antony Blinken conferma che le avanzate ucraine nella regione del Kursk potrebbero essere più importanti delle sanguinosissime e lente conquiste russe nel Donbas. «La loro posizione a Kursk è importante, perché è certamente un elemento da tenere in considerazione in qualsiasi negoziato che possa aver luogo nel corso del prossimo anno», ha dichiarato in una conferenza stampa a Seoul: prima tappa di un tour di addio che lo porterà anche in Giappone, Francia e Italia.
Secondo Blinken, la Russia chiaramente non ce la fa a sostenere contemporaneamente lo sforzo nel Kursk e nel Donbas. Presumibilmente è un problema anche per l’Ucraina, che ha per questo scelto di far dissanguare l’avversario con le sue offensive nel Donbas per poi colpirlo in contropiede nel Kursk. Così Mosca è stata costretta a chiedere aiuto a Pyongyang, e dovrà chiederne altro. Sempre secondo Blinken «la Repubblica Democratica Popolare di Corea beneficia già dell’equipaggiamento e dell’addestramento militare russo. Oggi abbiamo ragione di credere che Mosca intenda condividere con Pyongyang tecnologie spaziali e satellitari avanzate». Come diceva l’ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield a dicembre, anche Antony Blinken ritiene che la Russia «potrebbe essere sul punto» di riconoscere formalmente lo status di potenza nucleare della Corea del Nord, che mentre lui si trovava in Corea del Sud ha fatto a mo’ di saluto il suo primo lancio missilistico dell’anno.
Sta seguendo l’offensiva nel Kursk dall’inizio anche Roberto Casalone, esperto in Scienze Strategiche e Geopolitica che da ufficiale dell’Esercito Italiano ha comandato unità in operazioni di peacekeeping e peace enforcing in Albania, Kurdistan, Somalia, Ruanda, Timor Est, Iraq e Afghanistan, e dopo essere passato alla sicurezza civile nel 2019 ha anche fornito programmi addestrativi tecnici a truppe ucraine impegnate nel Donbas. «Le forze ucraine hanno costruito circa tre gruppi di manovra su sei brigate penetrando senza trovare alcuna resistenza degna di nota, per molti chilometri, in territorio russo. Gli ucraini avanzano di quasi venticinque chilometri in tre ore, mentre i russi nel Donbas sono da sei mesi all’attacco a un ritmo di circa duecentocinquanta metri ogni due giorni», dice Casalone, che riferisce di una riunione di analisti militari a cui ha partecipato e che ha sollevato serie preoccupazioni sulle potenziali conseguenze di un cessate il fuoco «politicamente imposto» in Ucraina: una proposta sostenuta da personalità come il primo ministro ungherese Viktor Orbán e forse lo stesso Trump.
Gli analisti si sono detti «concordi nel sostenere che una simile mossa potrebbe consentire alla Russia di ricostruire la propria forza militare, ponendo le basi per future aggressioni contro i Paesi vicini, eventualmente con il sostegno militare (e soprattutto finanziario ad usura) cinese». In questa analisi, «Mosca è ben consapevole di non poter ottenere la vittoria in Ucraina con le sue attuali risicate forze. Il Cremlino sa che le sue risorse militari, mezzi, munizioni e soprattutto uomini non lo sosterranno per più di due anni di conflitto ad alta intensità. Questa urgenza spinge la Russia a suggerire, ai suoi megafoni occidentali, un cessate il fuoco, non per buona volontà, quando mai, ma come pausa strategica per riorganizzarsi e riarmarsi. Le forze armate ucraine, sostenute dal supporto occidentale, si sono dimostrate resistenti ed efficienti, umiliando spesso le forze armate russe su diversi fronti, un cessate il fuoco avvantaggerebbe in modo sproporzionato Mosca, dandole la possibilità di stabilizzarsi e prepararsi per una nuova offensiva, piuttosto che pensare alla pace».
L’analisi dà una valutazione sulle perdite materiali della Russia in quasi due anni di conflitto: più di ottomilacento carri armati, quindicimilaseicento altri veicoli blindati e circa dodicimila droni, oltre a quasi settecentomila perdite umane. «Sebbene questi numeri abbiano messo a dura prova la capacità bellica della Russia, una tregua consentirebbe a Mosca di trovare nuove risorse per ricostruire il proprio arsenale, anche grazie a denaro e aiuti occidentali (in primis Ungheria, Italia, Germania, Slovacchia e ambienti americani). L’esaurimento delle scorte di carri armati e di altri sistemi d’arma, spingerebbe probabilmente la Russia a cercare assistenza esterna, in particolare dalla Cina, tale cooperazione potrebbe accelerare la rinascita militare della Russia e incoraggiare ulteriori aggressioni. Questo scenario non solo destabilizzerebbe l’Europa, ma avrebbe anche ramificazioni geopolitiche più ampie, potenzialmente coinvolgendo alleati occidentali come Taiwan o la Corea del Sud».
Dunque, una tregua non poterebbe la pace in Europa. Invece, «una Russia temporaneamente menomata, rimarrebbe una minaccia, probabilmente rivolgendo in futuro la sua criminale attenzione verso altre nazioni, tra cui la Polonia e gli Stati baltici. La storia ha dimostrato che il Cremlino vede un conflitto, in genere, come uno strumento per sopire i suoi problemi interni ed esterni. Questa prospettiva trova eco nelle immagini satellitari e nei rapporti Osint (Open Source Intelligence) e Humint, che indicano un rapido svuotamento dei depositi militari russi. Questi segni di logoramento sottolineano la necessità cruciale di un sostegno più serio dell’Occidente all’Ucraina, piuttosto che di concessioni che potrebbero rafforzare solo Mosca. Facendo un parallelo con le passate politiche di appeasement, rischiamo di ripetere un errore simile all’Accordo di Monaco del 1938. Ignorare l’annessione dell’Austria, ha rafforzato la Germania nazista, tollerare l’aggressione russa rischia di legittimare ulteriori invasioni e massacri. Bisogna costringere la Russia a ritirarsi dall’Ucraina e ritenere la sua leadership responsabile dei crimini di guerra e la sua popolazione complice di una responsabilità collettiva, finendola, una volta per tutte, con la favola dei “russi buoni e dei russi liberi”. Solo attraverso tali misure, l’Europa potrà garantirsi una pace duratura e scoraggiare futuri conflitti. Un approccio occidentale coeso, per contrastare l’aggressione russa, rimane fondamentale non solo per la stabilità regionale, ma anche per rendere credibile il diritto internazionale, a tutela dalle invasioni non provocate, qualsiasi segno di divisione, o compromesso, potrebbe indebolire la determinazione collettiva e incoraggiare gli avversari».