L’anno del progettoSe vuole vincere le elezioni, Schlein deve aprire il Pd a mondi esterni al Pd

La segretaria del Partito democratico è convinta che il governo Meloni sia quasi al capolinea, ma si deve ancora dotare di idee, programmi e dirigenti adeguati alle prossime sfide. Le iniziative cattoliche di Delrio e quelle riformiste con Gentiloni aiutano, certo più delle formulette politicistiche, ma non sono sufficienti

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Era il 15 dicembre del 2023, in un’intervista a Repubblica Elly Schlein disse che «questo governo non arriva a fine legislatura. L’ho sempre pensato. Per questo dobbiamo prepararci». È passato poco più di un anno e la segretaria del Partito democratico non ha certo cambiato idea, anzi. A leggere l’intervista rilasciata ieri alla Stampa si intuisce che vede le urne nel 2026. Solo propaganda? O ci crede davvero? Perché se ci crede davvero vuol dire che alle elezioni mancherebbe un anno e mezzo: non un’eternità. Nell’intervista di ieri ha usato più o meno le stesse parole di un anno fa: «Noi dobbiamo lavorare insieme per farci trovare pronti perché ormai è chiaro che Meloni ha esaurito la sua spinta, naviga a vista senza una rotta, galleggia senza una visione». 

La tempistica, un po’ generica ma meglio di niente, prevede che il 2025 sia «l’anno del progetto». In teoria ci dovrebbe già essere, ma il cronoprogramma di Schlein prevedeva che la prima parte del suo mandato da segretaria del Pd fosse dedicata in massima parte alla rianimazione di un partito uscito tramortito dalle elezioni del settembre 2022 con la catastrofica gestione di Enrico Letta dopo quella neopopulista di Nicola Zingaretti: l’operazione, abbastanza riuscita, era necessaria ma non sufficiente. 

Adesso dovrebbe aprirsi una fase diversa, quella del «progetto», delle policies, come dicono i politologi, cioè le idee, i programmi, le soluzioni dei problemi del Paese. La visione. Qui sta ancora il punto debole della gestione-Schlein più che il bricolage politicista della costruzione di una coalizione credibile, tema che pure esiste ma che deve vivere appunto sulle idee. Le formulette lasciano il tempo che trovano. 

La verità è che servono programmi seri. Sulla politica internazionale, dall’Ucraina alle spese militari al Medio Oriente, le indicazioni del Pd restano viziate da una genericità che celano male i contrasti interni. Lo stesso dicasi per l’energia nucleare, per certe questioni etiche, per la sicurezza, per le politiche sulle grandi città, e l’elenco potrebbe continuare. Ma se ti candidi a governare il Paese questo, semplicemente, non è ammissibile. 

In più, la leader del Pd deve preoccuparsi anche di una certa insufficienza professionale dei gruppi dirigenti nel padroneggiare temi fondamentali, a partire dalle questioni economiche, e dovrà per forza fare appello all’esterno del partito. Per questo ben vengano i convegni come quelli di cui tanto si parla, ma giusto perché in essi si scorgono manovre ai danni della segretaria. Ma non è esattamente così. 

L’appuntamento organizzato da Graziano Delrio a Milano il 18 gennaio vuole essere uno stimolo ad affrontare problemi che il mondo cattolico democratico, orfano di leader e di truppe, avverte da tempo. Anche se inaugurare per l’occasione una nuova sigla (“Comunità democratica”) effettivamente dà il senso di voler fare una “Cosetta bianca”. Ma niente paura: un nuovo partito cattolico non nascerà mai più. Non è il tempo. E sarebbe paradossale dar vita a una nuova correntina dopo che è stata sciolta “Areadem”, che era la più grande. 

Poi ci sarà il convegno di LibertàEguale a Orvieto il 18 e 19 gennaio, tradizionale appuntamento dei riformisti di ascendenza veltroniana, per intenderci. Al primo sarà presente Ernesto Maria Ruffini, frettolosamente indicato da qualcuno come il nuovo Romano Prodi; al secondo ci sarà Paolo Gentiloni, secondo molti la personalità più forte del mondo democratico. Due mondi diversi e su cose di non poco conto – l’Ucraina come paradigma di due diverse visioni della politica internazionale – persino opposti. 

Sarebbe forse stata una buona cosa se Schlein avesse scelto di essere presente a entrambi gli appuntamenti, perché sarebbe stata una buona occasione per allargare i suoi orizzonti. Ma se ne informerà certamente anche per arricchire la sua proposta politica generale. Ecco, se il 2025 vuole davvero essere «l’anno del progetto» in vista di un possibile scontro elettorale l’anno prossimo, Elly Schlein deve ascoltare altri mondi che non stanno al Nazareno. La politichetta dei campi larghi viene dopo, molto dopo.

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