Seppur con ritardo, anche in Italia abbiamo messo in discussione il consumo di caffè. La maggior parte di noi lo beve quotidianamente – si parla di circa trenta milioni di tazzine al giorno solo nei bar italiani –, poi c’è il caffè a casa, il distributore dell’ufficio. È tutto un bere, un consumo radicalizzato concentrato sulla tecnica estrattiva, rigorosamente espresso o moka, perché in quegli strumenti e nella piccola tazzina abbiamo imparato a identificarci. Non ci è mai molto importato del caffè in quanto ingrediente: qualità, provenienza, tostatura, non sono mai entrati, fino a ora, nella conversazione maniacale che possiamo fare sul cibo.
Tuttavia, l’apertura culturale che stiamo sperimentando individualmente attraverso i viaggi sempre più frequenti all’estero, la maggiore esposizione ai racconti gastronomici dai social media, uniti alle nuove occasioni di consumo e a una diversa sensibilità rispetto al cibo, ci spingono a prendere in considerazioni modi alternativi a quelli cui siamo tradizionalmente abituati.
È così che via via abbiamo sostituito la moka con la macchina in capsule, stiamo aprendoci all’idea di bere un caffè filtro seduti al bar quando ne abbiamo il tempo, e prendiamo sempre più familiarità, in fatto di caffè, con i Paesi di origine del chicco. A stimolare questi cambiamenti sono state le aziende di settore, prima le piccole pioniere, poi le grandi industry, tutte più o meno coinvolte nel portare al consumatore una conoscenza più dettagliata di un mercato che sta cambiando approccio.
Perché fare cultura sul caffè?
Per quanto ci abbiano convinti che il caffè fosse un affare italiano, è emerso come consumatore e barista non fossero poi così consapevoli sulla filiera del caffè. Ci bastava conoscere la marca per avere rassicurazioni sulla qualità, finché abbiamo capito che, quella del caffè, è una filiera troppo lunga e complessa per spiegarsi attraverso brand che non ci raccontavano abbastanza. A loro volta, i brand hanno capito che oggi i consumatori desiderano maggiore trasparenza e si confrontano con nuove richieste che impongono un’attenzione speciale all’impatto socio-ambientale dei prodotti, sia da parte del consumatore che da parte delle istituzioni.
Nel corso del 2023 il Parlamento Europeo ha approvato una legge utile a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, attraverso una normativa che impone alle aziende, che vendono in Unione europea, di garantire che i prodotti venduti non siano all’origine di deforestazione globale. Inoltre, «le imprese dovranno verificare che i prodotti siano conformi alla legislazione pertinente del Paese di produzione, anche in materia di diritti umani, e che i diritti delle popolazioni indigene interessate siano stati rispettati».
Il regolamento nasce da una allarmante stima dell’Onu per il suo Istituto su alimentazione e agricoltura (la Fao), che evidenzia come tra il 1990 e il 2020, 420 milioni di foreste sono stati convertiti per uso agricolo (un territorio più grande dell’Unione Europea). Olio di palma e soia sembrano le coltivazioni responsabili per i due terzi di questa deforestazione, ma sono coinvolti anche ingredienti come il caffè e il cacao. I consumi dell’Unione europea sono responsabili di circa il dieci per cento della deforestazione globale.
Il regolamento sarebbe dovuto entrare in vigore alla fine del 2024, ma le regole stringenti hanno spinto lo slittamento a dicembre 2025.
Inizia tutto dalla terra
Il caffè, quindi, non è più un argomento liquido, la sua storia non inizia dal chicco tostato e dal suo profumo, ma si riparte dalle origini, dalle mani di chi lo lavora e dalle terre che ne hanno accolto le radici, perché è lì che si fa la qualità e l’etica del caffè, ed è alle origini che si deve lavorare per una sostenibilità ambientale completa che inizia dall’agricoltura e finisce nella consapevolezza di come è bene consumare una tazzina.
Per spiegare tutto questo al consumatore non basta un caffè al banco del bar. Molti esperti come i coffee specialist, già da anni, stanno trovando modi e spazi per raccontare il caffè prima del consumo. A questo si sono uniti piccoli torrefattori, che hanno messo a disposizione la conoscenza della materia prima per condividerla con gli appassionati e creare un racconto più circolare intorno al caffè. Oggi intervengono le grandi aziende, che stanno cercando nuovi modi per fare cultura e aprire una finestra più ampia di dialogo rispetto alla filiera e al lavoro fatto sul caffè, a partire dai campi.
Nespresso nel piatto
In linea con la necessità di fare cultura sul caffè, l’azienda leader che ha rivoluzionato il mercato del caffè porzionato, Nespresso, sta esplorando nuovi territori di consumo per valorizzare il proprio impegno nella filiera e raccontare i programmi di sostegno nei Paesi di origine del caffè, utili a integrare le pratiche di sostenibilità nelle aziende agricole, oltre che migliorare le rese in termini quantitativi e qualitativi e assicurare migliori condizioni di vita dei coltivatori e delle loro comunità.
La necessità di assicurarsi l’approvvigionamento di caffè a livello mondiale passa dal migliorare le condizioni socio-ambientali dei Paesi di provenienza. Questo impone alle aziende una maggiore responsabilità nel reperimento del chicco, ma deve spingere il consumatore a una presa di coscienza sul valore del caffè.
Tra i vari modi per portare avanti questo racconto, Nespresso, insieme allo chef Alessandro Dal Degan, del ristorante La Tana Gourmet e l’Osteria della Tana, ad Asiago (iI), hanno ideato un menu incentrato sul caffè, partendo proprio dai Paesi di origine della pianta per un percorso di sei portate in pairing con altrettante bevande, con lo scopo di far emergere le caratteristiche uniche che le terre di origine donano al caffè. Un modo speciale, attraverso un professionista della cucina attenta al territorio, per rimarcare l’importanza della provenienza dell’ingrediente anche quando si tratta inevitabilmente di Paesi lontani.
Sei caffè monorigine da Brasile, Perù, Congo, Guatemala, India e Indonesia affiancati a ingredienti dell’Altopiano di Asiago, attraverso acquisti dai piccoli produttori locali come nel caso dei formaggi del caseificio Pennar, o dalla raccolta nei boschi limitrofi. Tra bevande e piatti di un menu interamente vegetale, il caffè presidia ogni piatto in modo differente, ma senza invadenza, lasciando le differenti note delle sue terre di coltivazione. Il menu, disponibile per alcune serate evento del primo periodo del 2025 (la prima serata è prevista il 28 febbraio) all’Osteria della Tana di Alessandro Dal Degan, è composto da:
Bignè craquelin al caffè Brazil Organic, ripieno di fonduta di formaggio di montagna in pairing con un bitter al caffè;
Polenta, funghi e arrosto di caffè Peru Organic con un infuso di fungo fermentato con zenzero e caffè Peru Organic;
Linguine in brodo di cavolfiore tostato, caffè Congo Organic, semi di senape e dragoncello con pairing di anice, mezcal e caffè Congo Organic;
Risotto al carciofo, ostrica e caffè Guatemala con una kombucha di gambo di carciofo, sambuco e caffè Guatemala;
Topinambur e bagna caoda al caffè India accompagnato a brodo di topinambur tostato alla brace e infusione di caffè India;
Gelato al caffè Indonesia e cioccolato, cremoso alla mandorla e uvetta alla grappa con pairing di Irish Coffee con caffè Indonesia.
Tuttavia, il menu potrà subire delle variazioni in base alla stagionalità degli ingredienti, nel rispetto della ciclicità delle stagioni e delle materie prime.
Per lo chef Dal Degan «rendere il caffè protagonista di un intero percorso, in un alternarsi unico di piatti e bevande, mi ha dato la possibilità di intrecciare innovazione e sostenibilità rendendoli elementi centrali: innovazione applicata alle differenti tecniche attraverso le quali il caffè viene proposto; sostenibilità che si eleva dal concetto di “chilometro zero” a quello di “chilometro buono”. Un passaggio in cui la scelta del caffè, ingrediente che ha origini lontane, è guidata dalla scelta di prodotti che sono certo provenire da filiere sostenibili, rispettose dell’ambiente e dei territori e di reale sostegno alle comunità locali. Da qui la scelta naturale dei caffè Nespresso per questa mia ultima creazione».
C’è ancora un gran lavoro da fare affinché tutti i soggetti coinvolti siano realmente consapevoli sull’impatto del caffè a livello globale. Per quanto è lunga e complessa la filiera del chicco, è altrettanto complesso il sistema che serve ad assicurarci un caffè buono, al giusto prezzo, senza che nessuno, tantomeno l’ambiente, paghino per le nostre tazzine. Servono esperti e comunicatori che ci aiutino a capire, aziende che guardino gli interessi dell’ambiente e consumatori assetati di conoscenza su ciò che consumano, al punto da poter essere autonomi nel sapere quale caffè bere ogni giorno.