De-sidusAntonella Lattanzi esplora il cuore umano attraverso Emma Bovary

“Capire il cuore altrui” (Harper Collins Italia) riflette sul ruolo del desiderio come forza vitale essenziale raccontato attraverso la figura dell’emblematica eroina di Flaubert, accostata sia alla stessa autrice che al protagonista di un altro romanzo di Lowry

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Un saggio d’autore sul personaggio letterario che più degli altri ha saputo incarnare la forza tragica del desiderio: “Capire il cuore altrui” (HarperCollins), il saggio in cui Antonella Lattanzi ragiona su una propria personale ossessione, una delle eroine più controverse della letteratura moderna, Emma Bovary. L’esergo del libro è tratto da “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry, un romanzo che l’autrice porrà, a conclusione di questo viaggio, in rapporto dialettico con la paladina di Gustave Flaubert. È un accostamento inaspettato e luminoso, quello fra il Console Firmin, abbandonato dalla moglie, e di cui lui brama il ritorno mentre prova a ingannare la nostalgia con un bicchiere di troppo, e la donna viziata e capricciosa, lasciva e un po’ indolente di Charles Bovary.

Se Lowry, infatti, ci ha consegnato un romanzo in cui tutto è nebbia – a partire dalla densa coltre di fumo che avvolge la bocca dei vulcani, lì all’orizzonte –, una storia dove vige l’indeterminato dato che a dettare il ritmo non mai sono le azioni, ma una straziante attesa, un romanzo alcolico e irrimediabilmente sfumato, Flaubert ci ha posto invece di fronte un meccanismo limpido nella sua misura, un libro a cui l’autore ha dedicato anni di riscritture, tornando di volta in volta sulle pagine per limarle ancora, e ancora stravolgerle. E tuttavia, ciò che rende interessante il ragionamento di uno scrittore su un romanzo che già conosciamo, e magari amiamo degli stessi sentimenti scissi fra l’ammirazione per il talento autoriale e l’empatia per la protagonista nata da quel talento, è proprio il ribaltamento di prospettiva. 

Lattanzi accosta due opere che altri occhi avrebbero potuto giudicare distantissime in quanto a stile, drammaturgia o voce, partendo da ciò su cui riflette lungo il saggio: il desiderio. Un desiderio che, per entrambi i protagonisti dei diversi romanzi, un uomo e una donna, un marito e una moglie, un Console e una consorte, non si risolve nel conseguimento di quanto atteso, ma propaga con una forza irriducibile pure nell’attimo della conquista. Lattanzi scrive: «perché Firmin, come Emma, è tutto desiderio. La grandezza ineguagliabile di questo romanzo sta nel saper raccontare, tramite lo stile – ancora una volta come Flaubert –, qualcosa che forse non ha a che fare con tutti. Perché “Sotto il vulcano” è un romanzo grandioso, è certo. Ma non è un romanzo per tutti. La prosa è come questi vulcani, per quattrocento pagine non succede quasi nulla, forse la trama non esiste neanche, e se esiste non serve.”

Gustave Flaubert si dedica a Madame Bovary, lì sepolto a Croisset, nella villa di famiglia, e in una lettera confessa che il romanzo a cui sta lavorando sarà un libro «sul nulla», in quanto «non dipenderà da nessun fattore esterno, ma avrà come collante la forza dello stile». Una donna che tradisce il marito. Una donna che dilapida i soldi del marito e si toglie la vita. Una donna presa dal desiderio di niente, visto che niente riuscirà ad essere all’altezza di quanto desiderato. 

È per questo che Lattanzi giudica il romanzo di Lowry un’opera percorsa dalle stesse note che vibrano, con simile prepotenza, anche nel romanzo di Flaubert. Ed è per questo che conclude che entrambi i romanzi non sono per tutti. Non per lo stile, e dunque per la complessità dell’universo formale – un dato su cui il punto di vista dell’autrice, più intimo, per nulla accademico, caldo, giocoso e colloquiale, sceglie di non soffermarsi – ma per la natura umana di quel desiderio. 

L’etimologia della parola desiderio è di per sé un racconto: dal latino de-sidus, senza stella, quasi a prefigurare un cielo notturno verso cui rivolgere lo sguardo nell’impossibilità conclamata di allungare una mano e raccogliere quanto sta brillando nel buio. Il desiderio, prima del resto, è mancanza di possesso. Qualora pure ottenessimo ciò che ci ha portato a deragliare, nella vita, o quanto abbiamo invocato nell’ingenua speranza di sanare il vuoto, smetteremmo subito di desiderare. 

Lattanzi è interessata soprattutto a questo: l’atto della fantasticheria, la brama che accende e spinge, l’anelito che plasma i giorni e i sogni. Lo stesso desiderio che muove un’eroina controversa come Emma, Lattanzi lo sente da sempre come suo. È un desiderio che ha a che fare con Flaubert, certo, ma più in generale con l’amore di una scrittrice per i libri.

Nel condividere con i lettori questo suo afflato per Emma, l’autrice si riappropria di alcuni pezzi della propria infanzia, offrendo una prospettiva del come, e quando, si sia acceso in lei il desiderio di leggere – e più in là, di scrivere. Risaliamo così insieme a lei il crinale del tempo, tornando a quella bambina che andava a scuola dalle suore e che, ogni giorno, restava incantata dalla Bibbia. Non tanto per il contenuto, ma per l’incantesimo di quelle pagine sottili e quasi trasparenti che venivano sfogliate in un fruscio destinato a diventare, nella vita da adulta, un suono familiare. Dopo la Bibbia, i Meridiani Mondadori, che sua madre comprava e metteva da parte per fargliene dono. E dopo i Meridiani Mondadori, la stessa voglia di Epifania, anche se stavolta non di stampo religioso: una manifestazione ugualmente potente di fede che ha avrà luogo, tuttavia, nella letteratura. 

È un saggio, quello di Lattanzi, che racconta il desiderio come forza motrice disinteressata al raggiungimento della meta. Desiderio di ritagliarsi uno spazio di fantasticheria, salvandosi da una dose troppo letale di realtà. Desiderio di sottrarsi al veleno di un’esistenza tutta concentrata sulla prosaicità dei gesti. E l’ambizione, dunque, di chi legge – e scrive – di rivolgere ancora una volta lo sguardo al cielo, ma stavolta immaginando di riuscire cogliere una delle stelle nel buio.

Emma Bovary siamo noi, nella misura in cui i desideri inestinguibili sono ciò che ci accorda una cittadinanza nel regno della fantasia. E del sogno. Fondamentalmente, una presenza nel regno delle storie.

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