Camillo di Christian RoccaLa vera gara inizia ora: Casa Bianca 2008

New York. Chiuse le urne di metà mandato, analizzati i risultati e fatta la conta di chi ha vinto e di chi ha perso, oggi comincia ufficialmente la vera gara: la corsa alla Casa Bianca 2008. Se c’è una cosa certa, almeno stando alla tradizione politica americana, è che dalle elezioni di mid-term di ieri non si avranno indicazioni sul profilo del prossimo presidente degli Stati Uniti. Un vecchio adagio di Washington ricorda che gli americani eleggono alla Casa Bianca soltanto governatori, generali e, ovviamente, vicepresidenti uscenti. Dal 1933 a oggi c’è stata soltanto un’eccezione a questa regola, il senatore John Fitzgerald Kennedy nel 1960. Le elezioni presidenziali del 2008 saranno anomale sotto questo punto di vista, perché per la prima volta dal 1952 non ci sarà in campo né un presidente né un vicepresidente uscente, visto che George Bush non potrà candidarsi per il limite costituzionale dei due mandati e Dick Cheney ha detto chiaramente di non averne alcuna intenzione. In campo, a causa delle difficoltà afghane e irachene, non ci saranno nemmeno generali. Restano in corsa alcuni governatori sia tra i repubblicani sia tra i democratici, Mitt Romney (repubblicano, Massachusetts), Tom Vilsack (democratico, Iowa), Bill Richardson (democratico, New Mexico). La novità, questa volta, è che potrebbero esserci un’ex first lady, Hillary Clinton, e due sindaci di New York, Michael Bloomberg e Rudy Giuliani. La possibile candidatura di un ex vicepresidente come Al Gore, già sconfitto nel 2000 da Bush, non sarebbe inusuale perché ricorda il percorso politico di Richard Nixon che nel 1952 è stato vicepresidente di Dwight Eisenhower, nel 1960 ha perso con Kennedy e nel 1968 è stato eletto presidente degli Stati Uniti. I sondaggi condotti in questi mesi dicono due cose: i possibili candidati repubblicani sono in netto vantaggio e sembra emergere il profilo di un candidato ibrido, indipendente, fuori dagli schemi. In prima fila c’è il senatore repubblicano John McCain, un politico che piace soprattutto a chi non è né conservatore né liberal. Il problema di McCain è che ha pochi amici tra i vertici del suo partito. Il candidato dell’establishment era George Allen, ma la sua pessima campagna elettorale in Virginia gli ha chiuso la strada, così come sul fronte democratico l’ha sbarrata al gaffeur John Kerry. Se McCain dovesse vincere le primarie, il partito gli potrebbe affiancare come vice uno tra Jeb Bush, fratello del presidente e governatore uscente della Florida, e il mormone Mitt Romney. Uno dei due sarà il candidato del vertice repubblicano. McCain non è ritenuto affidabile nemmeno dai lobbisti del partito, come Grover Norquist. Altri critici più feroci dubitano addirittura sulla sua capacità di guidare il paese e ricordano che McCain si affida spesso alla lettura dei tarocchi (ma anche Ronald Reagan, tramite la moglie Nancy, ne era affascinato). Ci sono i neoMcCain e un nuovo beniamino McCain è certamente il più conservatore tra i repubblicani che pensano di candidarsi alla Casa Bianca, sia sui temi sociali sia sulla guerra in Iraq. I neoconservatori del Weekly Standard, che già lo appoggiarono nel 2000 contro Bush, sono gli unici che al momento sembrano stare dalla sua parte, tanto che i suoi consiglieri di politica estera sono del giro di Bill Kristol. Altri neocon preferiscono invece Rudy Giuliani, un altro conservatore anomalo in quanto favorevole all’aborto e al matrimonio gay. McCain non piace né all’ala libertaria della coalizione conservatrice né a quella religiosa. I libertari del Cato Institute e della rivista Reason lo accusano di aver limitato il diritto alla libertà di parola con la legge sul finanziamento della politica promossa insieme col democratico Russ Feingold (un altro papabile candidato, ma sull’estrema sinistra). Nel 2000 McCain si era lasciato sfuggire parole non proprio tenere nei confronti della destra religiosa, cosa che i leader evangelici non hanno dimenticato. Negli ultimi mesi è cominciato un tentativo di dialogo per ricucire i rapporti, ma non si conoscono ancora i risultati. Tra i democratici c’è Hillary, ovviamente. La sua candidatura può essere attaccata da Al Gore a sinistra e da entrambe le parti da Barack Obama, il quale se dovesse davvero scendere in campo sarebbe il beniamino dei media liberal. Infine c’è l’ipotesi del terzo partito con i miliardi di Mike Bloomberg, considerato un Ross Perot ma sano di mente, e magari con il senatore indipendente Joe Lieberman, l’ex candidato vicepresidente di Al Gore che qualche neoconservatore vorrebbe invece candidato nel ticket repubblicano.

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