Se è vero quello che ormai dicono tutti, e cioè che sarà Antonio Conte il nuovo allenatore della Juventus, temo che i tifosi bianconeri non abbiano ancora finito di soffrire. Non è tanto o soltanto per il curriculum, che pure non è così entusiasmante come adesso ci vogliono raccontare: quattro stagioni da tecnico titolare, tre in Serie B con una retrocessione (Arezzo) e due promozioni (Bari e Siena, due squadroni per la categoria) e una in Serie A (Atalanta), con esonero dopo poche giornate. E neanche tanto o soltanto perché non è una prima scelta. Se arriverà, come pare ormai scontato, sarà perché i vari Mancini, Villas Boas, Mazzarri si sono negati o sono risultati irraggiungibili. E’ il combinato disposto fra queste due condizioni (giovane con esperienze ovviamente limitate ma non brillantissime e seconda o terza o quarta scelta) a lasciar prevedere un’altra stagione tribolata. Dovendo ripartire quasi da zero.
Sì, perché quattro anni dopo l’immediata riconquista della Serie A perduta causa Calciopoli, la Juventus è ritornata alla casella di partenza. Nonostante un eccellente inizio. La ricostruzione operata sulle macerie della Triade dello scandalo era stata eccellente. Una struttura societaria giovane ma ben architettata: presidente (Cobolli Gigli) con ottime referenza nel campo imprenditoriale, amministratore delegato (Blanc) di riconosciute capacità manageriali proprio nel settore delle organizzazioni sportive, direttore sportivo (Secco) acerbo, ma entusiasta. E un allenatore (Deschamps) giovane, ma già esperto, amato dal pubblico e profondo conoscitore di un ambiente frequentato con successo da calciatore. Andava tutto bene: ottimo campionato di Serie B, ristrutturazione di un bilancio decente con il contributo finanziario dell’allora Ifil e finalizzazione del progetto di nuovo stadio di proprietà. Le dimissioni di Deschamps al termine di quel campionato furono la prima scintilla capace di far deflagrare un ambiente evidentemente roso da gelosie interne. I passi successivi sono stati l’allargarsi delle ambizioni di Blanc, forte al punto da ottenere l’allontanamento di Cobolli Gigli, ma non tanto da poter gestire da solo un club così complesso. E poi l’esonero di Ranieri, tecnico eccellente nel costruire le basi di un lavoro da affidare poi ad allenatori di categoria superiore. Ma dopo Ranieri la società è andata nel pallone, è il caso di dire: operazioni di mercato sconclusionate (tutto un fai e disfa, prese decine di giocatori mediocri con un esborso che avrebbe consentito nel corso degli anni l’arrivo di tre fuoriclasse veri) e susseguirsi di allenatori pescati dietro le quinte dei palcoscenici maggiori. Fino ad arrivare al cambio della gestione societaria – via anche Blanc e dentro Andrea Agnelli – e alla stagione sportiva più deludente dell’ultimo mezzo secolo.
Il neo-nuovo management ha toccato il fondo. L’Ad Marotta, eccellente direttore sportivo in passato, si è scontrato con le difficoltà di una società con la storia e il pubblico della Juventus. E Andrea Agnelli si avvia a concludere la prima stagione al timone con un solo risultato positivo: avere ricucito i rapporti con la parte più irrequieta della tifoseria. Ma a costo di avere riaperto il capitolo, che era meglio rimanesse chiuso, di Calciopoli per solleticare le velleità dei nostalgici di Moggi e di avere compiuto numerose scelte proprio ascoltando gli umori della pancia del popolo bianconero. Compresa l’ultima: Conte allenatore.
17 Maggio 2011