«Vedi questo? Si chiama Basim Subeih, è un giovane palestinese. Ovviamente l’ho ucciso io». Oren Beaton non accenna la minima emozione mentre parla davanti alla telecamera. Indossa una polo scura di un noto marchio occidentale, ha un pizzetto sottilissimo e occhiali “Ray Ban” sfumati. Dietro di lui c’è il sole al tramonto e delle barche che si agitano lentamente.
Oren Beaton non è un pentito qualsiasi. Non è nemmeno un pentito, a dire il vero. Ma un agente dello Shin Bet, i servizi interni di sicurezza, che svuota il sacco. E racconta quel che ha combinato – lui e altri suoi colleghi – in Cisgiordania. C’è un po’ di tutto. Soprattutto: omicidi mirati. Com’è successo con Basim Subeih, appunto.
È domenica sera, in Israele. Canale 10, una tv privata che spesso sforna dossier di grande impatto (e polemiche), manda in onda un lungo servizio video. Dove racconta gli agenti sotto copertura e quello che hanno fatto – e stanno facendo – nella West Bank palestinese.
L’agente Oren Beaton è quello che parla di più. Racconta nel dettaglio alcune operazioni, soprattutto nell’area di Nablus, dove lui era il capo dell’unità speciale. Arriva pure a mostrare il suo album fotografico degli orrori. Dentro c’è di tutto: palestinesi colpiti alla testa, al petto. Anche dei brandelli di carne, ch’è quel che resta – secondo Beaton – di un’operazione segreta.
Azioni non senza qualche conseguenza. L’agente dice di soffrire di stress post-traumatico e di aver chiesto un risarcimento allo Stato ebraico. Ma per ora senza successo.
«Non si tratta di vittime civili qualsiasi», avverte “D”, un altro agente in azione. «Ma di persone ricercate dalla polizia israeliana e ritenute pericolose per l’incolumità dello Stato ebraico». Precisano poi gli autori dello speciale tv che «nonostante la violenza perpetrata, dobbiamo essere grati agli agenti dei servizi segreti che garantiscono la nostra sicurezza quotidiana».
La video-inchiesta è stata girata nei Territori palestinesi. Mostra molti agenti dei servizi segreti israeliani vagare per le vie di Al-Ram, a Gerusalemme Est. Sotto le loro magliette c’è un po’ di tutto, a partire dalle pistole di piccolo calibro. Si tratta di persone che parlano molto bene l’arabo, che hanno anche i tratti somatici palestinesi. Come Oren Beaton. Lavorano con molti informatori arabi, visibili fisicamente nel documentario, ma con i volti – ovviamente – pecettatti.
Dopo un lungo periodo di osservazione, dove studiano le abitudini dell’obiettivo da eliminare, si passa al blitz vero e proprio. «Ma non uccidiamo mai senza avere l’ok del nostro capo», spiega l’agente “D”. «E, soprattutto, il colpo dell’arma da fuoco non parte fino a quando non abbiamo una conferma definitiva sull’identità del nostro target».
(Nell’immagine, l’agente Oren Beaton, mentre racconta le sue operazioni segrete in Cisgiordania alla tv privata israeliana “Canale 10”)