Mosche bianche. O meglio: mosche arabe. Perché nel settore pubblico israeliano i dipendenti arabi sono pochissimi. Nonostante gli sforzi del piano governativo che punta a far arrivare il tasso di presenza al 10% sul totale nazionale entro il 2012.
Le cose vanno peggio nel campo accademico. I dati, resi pubblici dal Consiglio per l’alta formazione della Knesset, il parlamento dello Stato ebraico, mostrano più ombre che luci sul processo di “nazionalizzazione” della componente arabo-israeliana (circa il 20% della popolazione). Dice il Consiglio che, per esempio, solo il 2,7% dello staff attivo nell’alta formazione – docenti, ricercatori, ecc – è composto da arabi (pari a 280 individui).
A questo si aggiunge la denuncia fatta dalla commissione parlamentare d’inchiesta apposita, guidata dal deputato Ahmed Tibi (numero uno del listone arabo United Arab List – Ta’al): gli arabo-israeliani che ricoprono ruoli di vertice nelle università statali sono pari a zero.
Va un po’ meglio ai livelli amministrativi più bassi – sempre in campo accademico – dove si registra uno striminzito 1,7%. Ma sono numeri che preoccupano il parlamento. Anche perché confermano, per l’ennesima volta, che all’interno dei confini d’Israele ce n’è un altro – anche se minoritario – di Stato.