Ho sempre avuto una predilezione per gli epistolarî, i libri di lettere, le corrispondenze. La nostra letteratura ne presenta esemplari eccelsi (per fare pochi nomi: Machiavelli, Leopardi, Manzoni). Se i suoi custodi ufficiali non fossero così miopi da privilegiare solo quanto rientra nel canone classico delle letture, ne guadagnerebbe anche la pratica scolastica, avvicinando gli studenti, tanto più ora che la scrittura epistolare è pressoché scomparsa, a una comunicazione nitida e non paludata.
Ma non vorrei parlare di questo. Tra i più interessanti scambi epistolarî del primo Novecento è quello intercorso tra Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss, pubblicato in Italia da Adelphi a cura di Franco Serpa. Non si tratta di una novità editoriale, ma ciò nulla conta. Conta invece che la conoscenza delle tante lettere che il poeta austriaco e il musicista tedesco si sono scambiati per quasi trent’anni sia in grado non solo di offrirci insostituibili notizie sulla collaborazione tra uno dei più grandi compositori del primo Novecento e il librettista raffinatissimo (di certo, con Da Ponte e Boito, tra i più grandi di ogni tempo) di tante sue opere; ma di consentirci di capire a cosa possa giungere lo sforzo di mutua comprensione tra due persone che sono decise a sfruttare fino in fondo le risorse della lettera. Tutto ciò sapendo bene quanto le loro nature siano distanti, per certi versi inconciliabili: colto fino alla sofisticazione ascetica il poeta, tracimante di creatività fino alla consapevolmente perseguita mancanza di buon gusto il musicista. Se notevoli risultano i casi in cui i due trovano, dopo estenuanti battaglie, il punto d’incontro, non meno memorabili si mostrano i ben più numerosi momenti di attrito. Qui si tocca con mano come sia possibile dirsi cosa anche dure e persino sgradevoli senza mai venir meno al rispetto reciproco.
La selezione in oltre 700 pagine di lettere è comunque arbitraria. Ma forse gli scambî più intriganti si trovano all’epoca della collaborazione per la Frau ohne Schatten (La donna senz’ombra), tra la primavera del 1911 e l’estate del 1916. Scrive Hofmannsthal al musicista nel luglio 1914: «Si goda il lavoro – non avrà mai un libretto più bello, né da me né da altri, è stato un favore del destino, un favore unico – e faccia in modo che la Sua gioia torni a profitto del lavoro». Due anni dopo, nel maggio del 1916, i toni cambiano e si fanno del tutto sferzanti. Ancora il poeta: «ho dovuto ridere di cuore della Sua lettera. Per il mio gusto sono davvero cose orrende quelle che mi propone, e potrebbero distogliere uno per tutta la vita dal fare il librettista, non so uno qualunque, ma certamente me. […] Ella è stato già troppo conciliante, è già troppo il sovrano del momento, è troppo gradito dappertutto: si arrabbi pure con me, rimastichi per un po’ la mia “inintelligibilità”». A stretto giro di posta risponde Strauss: «Rida, rida: ma io so bene quello che voglio. Quando avrà ascoltato il nuovo prologo […] mi capirà e si accorgerà che ho un grande talento per l’operetta – anche perché il mio lato tragico è un po’ spompato, e dopo questa guerra la tragedia in teatro mi sembra per ora alquanto fiacca e infantile, e il mio incoercibile talento (in fin dei conti sono l’unico compositore oggi che abbia veramente umorismo, arguzia e uno spiccato talento per la parodia) lo vorrei mettere alla prova».
La lettura completa dell’epistolario, che ci presenta due personaggi del tutto consapevoli delle proprie altissime qualità, fa avvertire uno squilibrio eloquente. Alla fine, non si può non avere la sensazione che, malgrado la faticosamente raggiunta ma indubitabilmente conquistata amicizia reciproca, Strauss si senta in soggezione nei confronti del suo corrispondente. E tenti di rispondere all’impeccabile eleganza di Hofmannsthal con formule che tradiscono un fondo di imbarazzo, vuoi imbrigliandosi in convenevoli di rito, vuoi volgendo il discorso sui risvolti economici, del resto inevitabili, della loro collaborazione. Eppure, lo stesso uomo che appare talora così distaccato, sa bene quale enorme fortuna lo abbia toccato facendogli incontrare il suo librettista. E, alla tragica fine di quest’ultimo, morto per un attacco di cuore mentre si preparava a partecipare al funerale del figlio Franz, suicida, trova gli accenti più grati e commossi nello scrivere alla vedova. Ma neppure lì è la testimonianza della sua terribile pena. A due giorni della morte del poeta, il 17 luglio del 1929, leggendo il primo atto di Arabella in casa di amici, Strauss si lasciò andare senza freni al dolore. Chi legga integralmente questo magnifico scambio epistolare non faticherà a capire il perché di un tale abbandono in un uomo spesso ritenuto costretto in abito di pura ambizione.
3 Luglio 2011