I videogames, simulacri di vite e storie immaginarie, hanno simulato di tutto, ultima la vita eterna ed anche l’arte non è stata esclusa.
La mostra-evento The Artist is present dell’artista Marina Abramovic, che si è fortemente distinta nel 2010 all’interno delle esposizioni e performance del Moma di New York, è diventata un videogioco ad opera del danese Pippin Bar.
La performance reale prevedeva che l’artista serba rimanesse seduta ad un tavolo all’interno del Museo di Arte Moderna per 7 ore al giorno per circa 3 mesi, ogni visitatore entrando nella sala diveniva parte integrante della performance, sedendosi al tavolo di fronte a Marina, con cui scambiava sguardi in silenzio per il tempo che riteneva opportuno.
Il videogame riproduce l’iter della performance artistica in 8-bit: si entra nel Moma si paga il biglietto di 25$ e passando nelle stanze del Museo neyworchese, tra la notte stellata di Van Gogh e la Campbell Soup di Andy Warhol, si arriva nella sala dove ci attende Marina Abramovic, ma anche una lunga fila che almeno nella mia esperienza di interazione con il gioco non mi ha permesso di prendere parte virtualmente alla performance, causa chiusura del museo che ha decretato per oggi il mio game over.
Le reazioni al videogames si sono divise tra gli scettici e disturbati da questo gioco, che di ludico ha veramente poco in quanto mancano interazione e divertimento, e gli entusiasti che ne riconoscono la capacità di ricreare l’atmosfera della performance vera: attesa, ansia, senso di ignoto.
Un tratto distintivo del mondo dell’arte è la sperimentazione: la capacità e la necessità di esplorare campi diversi creando espressioni creative inedite che spesso stupiscono, altre volte deludono, altre volte sono anch’esse diventano fonte d’ispirazione.
Se non avete avuto l’occasione di prendere parte dal vivo alla performance di Marina Abramovic ecco il link del videogame Artist is present, armatevi di pazienza però che la fila da fare è lunga.