Una settimana dopo, come se per tutto questo tempo non avessimo percorso nemmeno un metro di più in avanti. Allo stesso punto. Dan Wheldon lo conoscevamo in pochi. Di Marco Simoncelli abbiamo tutti presente qualcosa: dai capelli a quell’accento romagnolo che si portava in giro per il mondo, in tv, che si percepiva anche leggendo una sua intervista. Un po’ spaccone, un po’ bravo ragazzo che è di quelle parti lì, insomma, Dio bò.
Ci sarebbe una battaglia da raccontare, quella dell’Eden Park di Auckland dove la Nuova Zelanda è tornata a vincere un Mondiale di rugby, battendo la Francia in finale. C’è invece un ragazzo di 24 anni da ricordare dopo che è rimasto travolto sul circuito della Malesia: la moto che perde aderenza mentre percorre una curva, Simoncelli che finisce a terra sulla scia di chi gli arriva da dietro, Valentino Rossi e Colin Edwards che gli finiscono addosso. E’ sempre una questione di pochi attimi. Vasco aveva ragione: “La vita è un brivido che vola via”.
Sono piloti, ma sono soprattutto uomini. Frase fatta per occasioni tristi come queste. In realtà sono uomini che fanno i piloti, che arrivano a velocità elevatissime e sentono che stanno facendo ciò per cui stanno al mondo. E’ il loro mestiere, la loro vita che deve passare per di lì. Per un’accelerazione, per una frenata, una derapata, un riflesso felino. Che mettano la morte in conto o meno, è difficile saperlo con certezza: di fronte ai microfoni si dicono sempre un sacco di cose e spesso non sono quelle che davvero passano per la testa.
Una settimana dopo, un altro ultimo giro.