Fiumi di parole / fiumi di parole tra noi. Ve la ricordate? Era il 1997. Musicalmente parlando, quello fu per l’Italia un anno dai due volti. Mentre i Jalisse vincevano a Sanremo e Pino Daniele sbancava il Festivalbar, esordivano gli One Dimensional Man di Pierpaolo Capovilla e gli Afterhours pubblicavano “Hai paura del buio?”, il loro secondo album in italiano, tra i punti più alti mai toccati dalla musica rock nostrana. Da qualunque lato la si guardasse, quella era un’Italia in fermento. Era un’Italia di cose destinate a scomparire, come i Jalisse, appunto. Ma era anche un’Italia di cose destinate a restare. Tra queste, c’era un sito internet, nato come «hobby universitario» di due ingegneri del Politecnico di Milano, Giulio Pons e Daniele Baroncelli. Si chiamava Rockit, e l’anno prossimo compirà quindici anni.
«Studiavo architettura. Mi ricordo di aver trovato in aula una copia della fanzine cartacea di Rockit. Rimasi folgorato» racconta Stefano Bottura, all’epoca poco più che ventenne e oggi direttore della testata. «Li ho contattati per propormi come grafico. Fu così che entrai a far parte di quel gruppo. Era un passatempo. Poi, con gli anni, l’abbiamo trasformato in un lavoro. Abbiamo sperimentato molto, del resto non avevamo modelli da copiare». In quindici anni ne è passata di acqua sotto i ponti dei Navigli. La musica italiana è cambiata parecchio, Rockit anche. Il suo seguito ha continuato a crescere e il sito è diventato il portale di riferimento della musica indipendente italiana. Poi, dal 2005, l’«azzardo» del Mi Ami, festival che oggi rappresenta uno degli eventi musicali più attesi dell’anno. Niente male per quello che era nato come un «hobby universitario».
Cominciamo dai numeri. Quanto è grande oggi RockIt?
A tempo pieno ci lavoriamo in quattro, più altri due o tre part-time durante il periodo del Mi Ami o in occasione di altri eventi. I collaboratori esterni, invece, sono una cinquantina. Il sito registra tra i 12.000 e i 15.000 visitatori al giorno, circa 400.000 al mese.
Da pochi giorni è online una nuova versione del sito. Quali sono le principali novità?
Ci sono molti cambiamenti strutturali. Abbiamo lavorato parecchio sulla messa in sicurezza delle canzoni, per evitare il download illegale. Da oggi poi permettiamo alle band di vendere le loro canzoni direttamente sul sito, tramite PayPal. È un servizio totalmente gratuito su cui non prendiamo un centesimo di commissione. Vogliamo che i gruppi vedano in noi una piattaforma per promuoversi, ci teniamo molto.
Come sta oggi la musica italiana e cosa non va?
Dal nostro, che è un osservatorio privilegiato, posso assicurarvi che sta più che bene. In giro ci sono entusiasmo e passione e ogni giorno nascono nuovi gruppi. L’unica cosa che manca, forse, è un po’ di professionalità.
Grazie anche al successo dei vari Dente, Le Luci della Centrale Elettrica, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, oggi cantare in italiano sembra essere tornato di moda.
Si va a ondate: negli anni ’90 si cantava solo in italiano, poi c’è stata una fase di esterofilia compulsiva, oggi si è tornati all’italiano. Grazie anche a questi artisti, è cresciuta molto l’attenzione ai testi. Ci fa piacere, l’importante è che non ci si fissi solo su quello: nella musica le parole non sono tutto.
Spesso le band che “spingete” ottengono successo. Quanto incide una buona recensione su Rockit sulla popolarità di una band?
La convinzione che Rockit abbia il potere di decidere cosa funziona e cosa non funziona in Italia è un mito da sfatare. È semplicemente impossibile. Bisogna tenere a mente che siamo parte di un sistema mediatico, non siamo gli unici e non dettiamo legge. Semplicemente puntiamo a dare spazio a band che riteniamo di valore, che rispecchiano il nostro gusto.
Ma esiste un “gusto Rockit”?
Un gusto Rockit c’è ed è importante che si percepisca. È qualcosa di complesso, che racchiude in sé molte variabili. C’entra di sicuro con l’idea di bellezza e c’entra con l’onestà verso se stessi e il proprio percorso, senza cercare né la moda né la sperimentazione a tutti i costi, senza forzature intellettuali e senza snobismi. Ovviamente cerchiamo l’originalità, nel senso ampio dell’autenticità, ma soprattutto cerchiamo il talento, che è quella cosa impalpabile, non-misurabile e non-descrivibile di cui ti accorgi solo quando te la trovi davanti. Quando scatta la magia, insomma.
Siglate accordi con le etichette per la promozione delle band?
No. Gli unici accordi con le etichette riguardano gli spazi pubblicitari e, talvolta, gli streaming degli album. In tutto quello che facciamo, l’unica discriminante è se una cosa ci piace o no.
A proposito, ogni settimana Rockit mette uno o più album in ascolto gratuito. Come scegliete le band per gli streaming?
Dipende. Se c’è un disco che ci piace tantissimo, com’è successo ad esempio con lo stupendo “Call it Blazing” degli A Classic Education, contattiamo l’etichetta e vediamo se è possibile organizzare lo streaming. Oppure, se ci innamoriamo dell’album di qualche band sconosciuta, chiamiamo direttamente loro. Vedi quello che è successo settimana scorsa con una band pugliese. Li abbiamo chiamati ed erano increduli: “Come vi è arrivato il nostro disco?”. Altrimenti sono le etichette a proporci gli streaming delle loro nuove uscite. In quel caso valutiamo se la proposta si incastra con i nostri gusti musicali e con gli spazi liberi.
Sei anni fa Rockit organizzò il primo Mi Ami, un festival dedicato tutto alla musica italiana. Oggi il Mi Ami è diventato uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. Com’è cominciato il tutto?
Quando il Mi Ami è nato, sette anni fa, era un azzardo. Trincerati com’eravamo sul web, sentivamo la mancanza del confronto col reale: volevamo verificare se la musica di cui parlavamo avesse un seguito anche al di fuori di internet. Era una vera e propria scommessa e molti ce lo sconsigliavano: “Un festival indie a Milano? – dicevano – ma chi vuoi che venga…”. Il primo Mi Ami si tenne al Paolo Pini e durò due giorni. Costava 30.000 euro, i finanziamenti del Comune si fermavano a 3.000. Rischiavamo seriamente di dover tirar fuori 27.000 euro dalle nostre tasche. Ma andò bene, vennero tremila persone e finimmo in pari. Da lì in poi è stato sempre meglio: nel 2007 parteciparono in 12.000, nel 2009 in 20.000. Una cosa pazzesca. È stato come lanciare il messaggio che le cose, se ci credi pienamente, si possono realizzare davvero: sulla scia del Mi Ami sono nati tanti festival più piccoli in tutta Italia. E forse è stata questa la nostra vera vittoria.
Rockit ha sempre dato spazio alla musica indipendente. Ora che i Nomadi e Pino Daniele hanno annunciato che faranno un disco senza le major, gli darete lo spazio che si meritano?
(ride) Se Pino Daniele facesse il primo disco bello della sua carriera, perché no? ..a parte gli scherzi: la filosofia di Rockit si è evoluta in questi anni. Non vogliamo fossilizzarci solo sulla musica indipendente escludendo tutto il resto. Quello dei “poveri ma belli” è uno stereotipo che non ci piace, la qualità della musica non dipende dall’etichetta che la diffonde. Per farti un esempio, in settimana pubblicheremo un’intervista a Tiziano Ferro.
Tiziano Ferro?
Già… lui fa un pop come si deve, originale e emozionante. Da noi in redazione ci sono dei fan sfegatati del cantante di Latina. Non dobbiamo più avere paura di uscire al fuori del nostro orticello, se vogliamo davvero rappresentare tutta la musica italiana.
Concludendo: quali sono i consigli musicali di Rockit per il futuro?
Ti faccio alcuni nomi da tenere d’occhio assolutamente: Nicolò Carnesi, Foxhound, I Cani, Der Noir, Maria Antonietta, Salmo, Girless and the Orphan, Be Forest, The Jacqueries.
(illustrazioni di Ester Grossi, Alessandro Baronciani e Giordano Poloni)