Foto di Helmut Newton
Il nudo è sicuramente uno dei soggetti classici della fotografia.
Hanno fatto del nudo la propria bandiera, senza mai essere volgari, fotografi come Edward Weston, Helmut Newton, Guy Bourdin, Irving Penn. E più o meno tutti i grandi fotografi si sono prima o poi misurati con questo genere.
Foto di Edward Weston
Foto di Irving Penn
Foto di Guy Bourdin
C’è da dire però che purtroppo come genere si presta forse più di ogni altro a volgarità e cheesyness.
Leggendo in questi giorni della bellissima attrice iraniana Golshifteh Farahani, ripudiata dal suo paese perché apparsa nuda in un servizio su Madame Figaro, riflettevo su quanto diverse possano essere le motivazioni che spingono a mostrare il proprio corpo.
Golshifteh Farahani – Madame Figaro
L’attrice iraniana ha posato nuda per un fine nobile, la sua è un’elegante forma di protesta contro gli abusi quotidianamente perpetrati sulle donne in Iran.
In Italia, temo più che in ogni altro paese, siamo sommersi da brutte e volgari fotografie di donne nude che di poetico e rivoluzionario non hanno proprio nulla.
La donna nuda da noi è un must, serve per vendere qualsiasi cosa, dalla colla alle macchine passando per le patatine, e ahimé anche la politica.
Complice probabilmente certa televisione berlusconiana che dagli edonistici anni ’80 con i suoi colpi grossi (e soprattutto bassi) e drive in ha sdoganato definitivamente l’utilizzo del corpo femminile e della sua immagine come merce di scambio.
Abbondano i calendari di veline e simili che ammiccano in modo ovvio e sgarbato da fotografie che sono scontate, ovvie, banali e soprattutto brutte.
Che peccato e che differenza.
Poco tempo fa a novembre, era stata un’egiziana, la blogger Alya al Mahdi, a utilizzare il nudo come pacifica forma di protesta pubblicando in internet una fotografia ingenuamente amatoriale in cui appariva completamente svestita.
Alya al Mahdi
In Cina, dopo che l’artista dissidente Ai Weiwei è stato accusato di pornografia per alcune fotografie che lo ritraevano nudo, su internet si sono scatenate le reazioni di chi per solidarietà con l’artista pubblicava una propria foto senza veli.
Foto di Ai Weiwei
Utilizzare la nudità come forma di protesta non è una novità, basti pensare agli anni ’60, quando le donne mostravano i seni nudi nelle manifestazioni femministe o pacifiste.
Ma questo non è il punto.
Il punto è di come purtroppo sia cambiato l’approccio mainstream della fotografia al nudo. Dico mainstream perché i grandi fotografi che eseguono splendidi nudi ci sono anche oggi.
Non sono una bigotta e non credo assolutamente che l’unica ragione valida per farsi fotografre nudi sia la protesta, il mio è più un criterio estetico, basta che la foto sia bella.
Prendere (sì, prendere) una fotografia di un corpo nudo non è più visto come un’intrusione in uno spazio intimo e sacro da rispettare, resa possibile solo grazie all’artisticità della fotografia.
Probabilmente in Italia per essere davvero dei sovversivi rivoluzionari bisognerebbe farsi fotografare tutti vestiti da capo a piedi, anzi potrebbe essere un’ottima idea come campagna contro la volgarità.
Incredibile l’uso che si fa a volte della libertà, siamo proprio fortunati noi occidentali che possiamo permetterci di pubblicare squallide fotografie di donnette nude, questo è ovvio, ma lo saremmo molto di più se scegliessimo di non farlo, restituendo al corpo femminile la dignità che gli spetta.