Quando nel decretone delle seplificazioni sono incappato nell’articolo 62 e ho letto le “modificazioni” al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 stavo scrivendo il post fiume per raccontarvi la cronaca di come era andata la nostra avventura a Parigi e che trovate in questa rubrica. L’articolo recita:
“all’articolo 22, comma 2, al primo periodo sono aggiunte le seguenti parole: “e della promozione di forme di turismo accessibile, mediante accordi con i principali vettori operanti nei territori interessati attraverso pacchetti agevolati per i giovani, gli anziani e i soggetti portatori di disabilità.”
Se tra i principali vettori operanti nei territori interessati ci sono l’Alitalia e l’EasyJet siamo a posto. Perché oltre alle nostra esperienza castrante con la Compagnia di Bandiera si è aggiunta la notizia che ha coinvolto Martin Sabry (fatto sbarcare da EasyJet perché siccome paralizzato dalla vita in giù non avrebbe potuto utilizzare le uscite di emergenza). Da un lato ti fanno sbarcare, dall’altra non ti fanno nemmeno salire (se non hai 3700 euro in tasca). Non è che ci sia questa gran differenza.
Dell’articolo 22 mi preoccupa tutta la forma: le parole “promozione, turismo accessibile, pacchetti agevolati”. Ovvero niente: anche se vorrei tanto essere smentito. Perché il viaggio che abbiamo fatto a Parigi mette in luce quattro fattori oggettivi.
1) Accessibilità vuol dire essere ricchi. Il concetto di accessibilità è legato solo ed esclusivamente al denaro. Tutto il resto è aria.
2) I processi (di sicurezza, di gestione) servono a proteggere i gestori, non a difendere i gestiti.
3) Il gap non è legato alla disabilità che ti può impedire di fare quella cosa in quel momento. Se ci arrivi a quel momento, si può fare. La nostra avventura ne è la prova. Il gap, semmai, è dato dalla catena di fattori che stanno prima, che stanno tutte le volte che non hai potuto fare una cosa che gli altri hanno fatto e che costruisce, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto una frattura tra te e il resto della civiltà che solo la forza di volontà e, sembra patetico dirlo, l’amore di chi ti sta vicino possono in qualche modo ridurre.
4) Abbiamo da imparare e parecchio da Air France, quella stessa Air France che abbiamo cacciato via per far spazio ai patrioti.
Su queste considerazioni e tornando all’articolo 22 non si “promuove il turismo accessibile”: si fa.
Si fa una legge che, ad esempio, obbliga ad accettare un passeggero disabile a bordo; a farlo viaggiare alla tariffa più bassa possibile; a far viaggiare chi lo accompagna (magari per forza, non solo per piacere) con (almeno) il 50% di sconto sulla tariffa più bassa; che obbliga la compagnia di bandiera (l’abbiamo salvata “anche” un po’ noi: dov’è finito Toto di AirOne? Secondo me gli si potrebbe chiedere, così per dare una idea di marketing-sociale, di promuovere una bella inziativa e regalare gratis biglietti della sua ex-compagnia a tutti i disabili d’Italia per tutto il 2012 almeno) ad accettare l’acquisto di un biglietto 3 ore prima e non per forza 10 giorni prima; a poter prenotare normalmente attraverso un sito web (il sito sarà anche accessibile secondo la Legge 4/2004, ma chi se ne frega se poi non puoi prenotare&pagare come tutti gli altri?). E così via, ordinatamente – ma a tappeto – su tutti i “vettori operanti nei territori interessati”.
Il gap è prima, il gap è la burocrazia, sono i processi: che novità. Qui però nessuno ha voglia di pietismo. Nessuno chiede le corsie agevolate (che poi trovi e ci mancherebbe altro quando sei, ad esempio, in aeroporto), ma almeno la possibilità di poter fare (e pagare) come gli altri, se proprio Toto lo volessimo beneficiare anche sta volta. Niente di più, ma soprattutto niente di meno.