E così siamo andati e tornati. Ve l’avevo promesso e adesso ve lo racconto.
L’antefatto: Eleonora è su una sedia a rotelle dalla nascita. Ad aprile del 2011 si becca una polmonite, entra in coma per 40 giorni. Si risveglia e si fa sei mesi d’ospedale. Quando la vado a trovare le chiedo qual è il suo sogno di ritorno alla vita. Mi dice, andare a vedere la sua band preferita, i Pooh, all’Olympia di Parigi. Mi sembra fin da subito un desiderio pazzo a sufficienza per provare a realizzarlo.
Coinvolgo un caro amico che si chiama Marco Pozzi (che bytheway, per me, è uno dei più bravi registi di questo Paese) e gli chiedo se, nel caso riuscissi a mettere in piedi questa cosa, avesse voglia di farci un film in modo che il sogno di Eleonora potesse essere da stimolo per altri. Per capire cosa vuol dire viaggiare se sei disabile e per caso vuoi andare a vederti un concerto. Marco dice sì e chiede a tre suoi ex-allievi, oggi videomaker indipendenti (Claudia Di Lascia, Michele Bizzi, Federico Monti) se ci stanno: pure loro accettano a scatola chiusa. A questo punto c’è un’idea e non c’è un euro di budget. Dovrei far partire un fundraising, ma non so ancora se Eleonora potrà viaggiare: i sei mesi sdraiata le hanno danneggiato le ginocchia che non possono essere piegate. Devo aspettare la visita di fine novembre. La visita dà esito positivo: Eleonora non deve essere operata e pare possa viaggiare anche in queste condizioni. Rischio il tutto per tutto e con un ritardo imprevisto (scopro colpevolmente tardi che Kickstarter non accetta progetti di residenti extra-USA) scelgo Ulule piattaforma per lanciare quello che poi chiameremo Il viaggio verso l’Olympia. Ulule mi passa al setaccio il progetto e perdo un’altra settimana. Siamo ormai a metà dicembre. Lancio il progetto di raccolta fondi online. Il concerto dei Pooh all’Olympia non si sposta: la data fissata è sabato 21 gennaio 2012. Il fundraising mi incoraggia e grazie a colleghi, amici, perfetti sconosciuti, italiani e stranieri raggiungiamo circa il 50% di quello che avevamo stimato come target. Due settimane prima del concerto dobbiamo decidere che fare. Se, ancora, rischiare o vista la distanza dall’obiettivo finanziario abortire il progetto. Intanto Eleonora scopre cosa stiamo progettando anche perché non me la sentivo di giocare proprio fino alla fine e magari forzarla a partire. Facciamo un consiglio di guerra io e la mia faccia allo specchio, perché questa decisione spetta solo a me. La mia faccia decide. Si va. Componiamo una squadra perché Eleonora ha bisogno di almeno due persone oltre sua mamma per potere essere aiutata nei passaggi tra la carrozzina, i sedili dell’aereo, il letto. Uno sarò io, l’altro sarà Piero un gigante silenzioso che l’aiuta da sempre. A noi si aggrega Carla, anche lei disabile, che condivide con Eleonora il lavoro, la vita, l’amicizia. Sommati alla troupe in totale siamo otto.
Per cercare di risparmiare all’osso cerco ingenuamente di prenotare tutto online, ma è letteralmente impossibile. Dopo tre giorni di balletti tra un sito e l’altro (che continuano però a illudermi con cifre assolutamente ragionevoli vicine al target del nostro fundraising) decido che serve una agenzia di viaggi. Siamo al martedì della settimana precedente il concerto. Ne cerco tra contatti ed amici e finalmente vengo indirizzato a quella che si rivelerà una vera chiave di volta. Orietta di Viaggimmagine viene coinvolta il giovedì. Sabato arriva la prima mazzata. Alitalia ci chiede 3700 euro: Eleonora ha bisogno di 6 sedili per viaggiare (il suo e quello davanti steso per poter allungare le gambe e i 4 sedili a fianco che dovranno restare liberi perché, per ragioni di sicurezza non possono essere occupati da nessuno). Chiedo a Orietta come mai se il costo del mio biglietto è 158 euro quello di Eleonora non sia di 948 euro (158×6). Con Orietta scopriamo che Alitalia pretende per l’assistenza (siamo in tre noi con lei!) la tariffa full-fare, la tariffa piena che paga un Parlamentare qualsiasi.
Ormai è lunedì, mancano 5 giorni al concerto e dobbiamo trovare una alternativa. La prima cosa che facciamo è spostare tutto il viaggio tra sabato e domenica, tagliando l’arrivo di venerdì e quindi impedendo di fatto ad Eleonora di poter fare un giretto per Parigi che lei non ha mai visto. Ma così risparmiamo il costo di una notte. Poi Orietta si scatena sulle compagnie alternative: esclude da subito le low-cost, troppo rischioso per una persona nelle condizioni di Eleonora (e l’esperienza di Martin Sabry le darà doppiamente ragione). Tra le richieste inviate si fa viva Air France. Ci dà una tariffa più bassa di più di un terzo rispetto Alitalia: 6 sedili andata e ritorno 1197 euro. C’è anche posto per tutti gli altri 7, peccato che essendo già al lunedì, negli orari vincolati a cui siamo costretti il costo degli altri salga a 475,63 euro a testa, ma non abbiamo alternativa, dobbiamo viaggiare tutti assieme sia per assistere Eleonora, sia per filmarla. Diamo un ok a un budget che di fatto si mangia tutto il nostro target del fundrasing. Sembra fatta, ma non è così: Air France pretende tutta una serie di documenti e certificati medici (ma Eleonora non è malata). Inizia un nuovo balletto di fax tra Milano, Nettuno, Roma. Grazie alla pazienza di Orietta, all’entusiamo dello staff del Reparto di Rianimazione del Policlinico Umberto I di Roma dove è stata ricoverata e ad Eleonora stessa i fax (mi sembra un po’ anacronistico il concetto di fax, tipo quando sento nel calciomercato che “il fax è stato depositato in Lega” roda da Nicolò Carosio) viaggiano alla velocità della luce. Nel frattempo dobbiamo trovare un modo per trasportare Eleonora dall’aeroporto di Parigi all’albergo e poi al concerto. Ah già l’albergo a Parigi, stavo per dimenticarmelo. Non possiamo correre il minimo rischio: Eleonora sta bene, ma non si può affaticare, è praticamente la prima volta che esce di casa e noi le faremo fare 24 ore di roundtrip. Anche qui, tra un Booking e un Tripadvisor dobbiamo cambiare strategia e chiamare un corrispondente a Parigi che ci garantisca un hotel (l’ingresso all’hotel, l’ascensore, la camera, il bagno) capace di far accedere una carrozzina come quella di Eleonora. L’unico di cui siamo sicuri è il Lotti. Vicino all’Olympia, gran bell’albergo sulla carta, ma un notte costa 503 euro. Non c’è tempo per fare altre ricerche. Prenotiamo (per la cronaca noi “normali” spenderemo 125 euro). Così come prenotiamo un servizio di trasporto ad hoc che si chiama Ulysses: per i due giorni 449,50 euro. Tutto sommato un costo accettabile visto che poi ci nasconderemo tutti e 8 dentro – nonostante le proteste dell’autista – sdraiandoci sulle valigie e risparmiando così taxi e tempo.
Finalmente giovedì Air France conferma: possiamo partire. Paghiamo tutto anticipando con il famoso sistema delle carte di credito (per tutto il resto c’è Mastercard…), stipuliamo una polizza di assicurazione online (più per scaramanzia Maya che altro), noleggiamo le macchine da presa e l’attrezzatura. Venerdì pomeriggio partiamo alla volta di Nettuno per iniziare a filmare. Il costo di Trenitalia si fa sentire. In quattro andata e ritorno Milano-Nettuno-Milano spendiamo più di 700 euro.
L’incontro a casa di Eleonora il venerdì sera è emozionante, indescrivibile. Sentiamo che stiamo tutti per fare qualcosa di cui non abbiamo una singola certezza. Potrebbe andare tutto storto: arriveremo all’aeroporto o saremo bloccati dallo sciopero dei taxi? Ci accetteranno al check in? Ci faranno salire a bordo o ci sbarcheranno per motivi di “sicurezza”?
Ore 5, siamo svegli (siamo un gruppo di disabili che credete, dobbiamo arrivare in aeroporto almeno due ore prima), passiamo a prendere Eleonora e andiamo verso Fiumicino. Qui siamo aiutati dal Servizio Disabilità del Comune di Nettuno che ci fa da tender. Dire che sono nervoso è dire poco: da adesso in avanti è una sfida dietro l’altra, almeno per me che non ho mai fatto una cosa così. Al check-in arrivo abbastanza nervoso e come capo-gruppo mi infilo sparato a un desk. Siamo una piccola tribù in viaggio, gli adepti del volo ci guardano con curiosità, ma il sorriso di Piero, Carla, Eleonora riesce a stemperare tutto. Al check in (gestito da Alitalia) non sanno nulla dei nostri mille fax, dei codici stampati dappertutto, delle mail allegate. Fermi tutti, dove credete di andare. Si congela l’area. Ci impediscono di filmare. L’addetta al desk sparisce. E passano 10 minuti di inferno. Quando torna ci comunica che “sì, effettivamente” esistiamo. E, devo dire con parecchia cortesia, procediamo con tutto il tran tran di valige, ticket e sticker. In attesa che arrivi qualcuno dell’assistenza aeroportuale fanno spostare “i disabili” tra noi in un angoletto. Pensavo una sala d’attesa, pensavo male. Lì in mezzo. Ma che ci frega: partiamo!
Ci accolgono le persone di ADR, ci scortano (tutti e otto) verso il passaggio riservato ai Parlamentari. Mentre siamo lì transita Alfano e qualche altra moglie di qualcuno che bypassa tutti i controlli attraverso il gabbiotto della Polizia. A me viene chiesto se sono parlamentare. Rispondo: “ no, disabile” anche se non è vero, “vabbè, lo stesso” dice l’addetto ai controlli.
Siamo tutti dentro, ci presentiamo al gate e – prima di tutti gli altri – ci fanno imbarcare. Qui veniamo passati di consegna: da ADR all’Air France. Stiamo per salire a bordo solo che, ovviamente, la carrozzina di Eleonora non può passare nel corridoio dell’Airbus 320. Dobbiamo trasferirla su una carrozzina più stretta e senza appoggio per le gambe. E’ una operazione dolorosa per lei e vedo nei suoi occhi la paura: per il male, per questo momento, per l’abbandono del suo guscio. Dovete sapere che la sua carrozzina è un modello “custom” tipo Harley. Nessuno ne aveva una con le caratteristiche che voleva lei e allora gliel’ha fabbricata suo cugino. E’ fichissima, solo che non si può smontare. Passiamo cinque minuti a convincere (facilmente devo dire) il comandante che va messa in stiva così com’è. Alla fine tra un “mercì” a bordo e un “dimo, famo” sul finger, accettano. Tre, due, uno io e Piero mettiamo Ele a bordo di questo piccolo tender. Tenendole le gambe dritte facciamo tutto il corridoio in retromarcia e arriviamo in fondo all’aereo. Tre sedie piegate davanti e tre sedie libere sono il trono di Eleonora. Facciamo un altro trasferimento e così sarà tutte le volte che ci dovremo spostare da una sedia e un’altra carrozzina e da quella carrozzina alla sua carrozzina e dalla sua carozzina al letto. E viceversa. E ogni volta sarà una smorfia di dolore accompagnata da un “tutto bene, va tutto bene”. Non so con che coraggio e che forza ce lo dica, perché l’espressione di dolore non mente. Ma lei è bravissima a prenderci per il sedere. E noi a crederci.
L’assistenza di Air France a bordo è a dir poco esemplare. Sorrisi, attenzione, cura, ma senza stress e soprattutto senza pietismo. Siamo passeggeri come tutti gli altri. Solo qualche visita in più per chiedere se va tutto bene (in italiano, mica in francese o in inglese). Decolliamo: ed è una vera emozione. Perché è il corpo di Eleonora a staccarsi da terra. Per la prima volta. E siamo tutti con lei. Non fosse per lo show del Giglio dall’alto con la Costa Concordia arenata che spinge tutti i guardoni di bordo a slacciarsi le cinture durante una turbolenza e a scagliare il naso contro gli oblò del lato sinistro (tra gli strepiti degli steward e del comandate) fila tutto liscio. Al punto che prima di atterrare vengono a consegnare ad Eleonora l’attestato di “battesimo dell’aria”. E tenete presente che nessuno di noi aveva detto al comandate che era la prima volta. Questi di Air France o sono degli angeli o sono dei paraculi fantastici.
Allo sbarco si ripete la trafila: c’è la solita capo-scalo-caporale. Inflessibilmente franco-magrebina, accetta di portare la carrozzina di Eleonora fuori bordo alla terza richiesta. Ma lo fa. Tutti i passaggi sono perfettamente accessibili, l’assistenza dell’aeroporto e di Air France ci scorta fino a fuori dal CDG dove ci aspetta Monsieur Ulysse. Siamo tutti a bordo, siamo tutti a Parigi. Tappa all’Hotel Lotti. Veniamo accolti come principi&principesse nonostante l’aspetto post-atomico di noi della troupe. La mia faccia in particolare deve essere tracciata dal verde delle vene pulsanti, la barba serve anche a nascondere questo.
La stanza di Eleonora mantiene le promesse e la cosa ancora più bella è che lo fa mantenendo lo stile di tutte le altre, boiserie, moquette, quadri eccetera. Non è il solito scarto di linoleum. Per me, questo vuol dire davvero “accessibile”. Spostiamo Eleonora sul letto. Appuntamento alle 7 per andare al teatro. Entriamo dal retro dell’Olympia (un vero tempio, il velluto canta) e senza dire niente ad Eleonora veniamo accolti dai Pooh che erano stati (con scarso preavviso…) preallertati e che si dimostrano attenti e sensibili. Sembra una reimpatriata tra amici.
Il sogno di Eleonora prende tutta la forma che – forse – avevamo immaginato. Assistiamo al concerto dalla galleria, le emozioni le racconterà il film che Claudia, Federico e Michele stanno girando. Torniamo in albergo sempre chez Ulysse. Quando adagiamo Eleonora sul letto siamo tutti stremati. E’ forse il momento più toccante di tutto questo viaggio: passato il dolore fisico di una giornata massacrante, resta il senso disperato dell’induplicabilità delle emozioni, un senso che le rende così importanti e così bastarde al tempo stesso.
E’ la mattina di domenica, Parigi è grigia, pigra e bellissima, chiediamo al nostro driver di fare un giro lungo sotto la Tour e attorno all’ Arc, e far vedere un briciolo di Parigi a Eleonora, Carla, Piero, la mamma: per tagliare tutti i costi e non avere overnight siamo obbligati a ripartire. Al CGD il check in di Air France è come se ci stessero aspettando. Non fanno una grinza, ci danno appuntamento con l’assistenza. Chiedo se è vera la storia che Air France è così attenta ai disabili perché il figlio dell’ex CEO Spinetta era disabile e che aveva imposto un decalogo per tutta la compagnia. La ragazza al desk è giovane e ne sa poco, ma mi conferma di avere sentito la stessa cosa. Se è vero, è vero che noi, esseri umani, facciamo qualcosa solo quando ci siamo in mezzo. Se no che ci frega.
Passiamo tutti i controlli da una area riservata (no Parlamentari), veniamo scortati con simpatia (ah Les Italiens!), nessuno parla italiano qui, ma ce la caviamo. Reincotriamo lo stesso caporale del giorno prima, ma non dobbiamo più spiegare nulla, ci riconosce e sa già tutto. Il volo è pieno, lo staff ci fa sentire coccolati, senza esagerare, ma si vede che sanno bene come si fa a far sentire importante qualcuno senza superare la misura del patetico. Questa volta l’Airbus è un 321: le sedie si piegano meno e la molla della tasca ferma giornali spinge le gambe di Eleonora, che soffre in silenzio: per chi dovesse rifare la nostra esperienza meglio cercare di volare con un Airbus 320. Siamo a Roma: veniamo presi in carico dal “dimo/famo” di turno che è gentile, ma ci fa una filippica sul fatto che lui sa il suo lavoro eccetera eccetera, due palle. E poi a Nettuno, in silenzio, nessuno parla. E’ notte.
Penso solo a una cosa: che si può fare. Se vuoi si può fare. Se hai i soldi per farlo si può fare. Se hai una carta di credito si può fare. Se sei pazzo a sufficienza si può fare. Salutiamo Eleonora, saliamo su una littorina Nettuno-Termini che sà di piscio stantio. Sembra il terzo mondo o forse è solo quello che viviamo tutti i giorni.
PS: oggi che pubblico questo post abbiamo raggiunto e superato il nostro target iniziale di fundraising (verificate su www.ulule.com/olympia) siamo ancora lontani dal coprire i costi generati dalla “disabilità” vs. la “normalità”, ma se c’era bisogno di una prova del fatto che la rete, in senso lato, quella web, quella di relazioni, quella sociale funziona, be’ io sono pronto a testimoniare.